editoriali
Viva la procura di Venezia, che sul processo Turetta dice "no alla spettacolarizzazione"
Le parole coraggiose del capo della procura veneziana, Bruno Cherchi: "Questo non è il processo contro i femminicidi, ma un processo contro il singolo che si chiama Turetta. No alla pressione mediatica". Il precedente del procuratore di Parma
“Questo non è il processo contro i femminicidi, ma un processo contro il singolo che si chiama Turetta e che risponderà dei reati che gli sono stati contestati. Se si sposta questo quadro a obiettivi più ampi si snatura totalmente il processo. Il processo non è uno studio sociologico, che si fa in altre sedi, il processo è l’accertamento di responsabilità dei singoli”. A dirlo è stato Bruno Cherchi, procuratore capo di Venezia, a margine dell’udienza di apertura del processo nei confronti di Filippo Turetta, reo confesso per l’omicidio di Giulia Cecchettin.
“Questa è la posizione della procura, e lo è fin dall’inizio, quando abbiamo detto che il processo deve svolgersi in aule giudiziarie con i diritti che anche l’imputato ha, secondo la Costituzione e il codice di procedura penale”, ha aggiunto Cherchi, respingendo “la spettacolarizzazione” del processo stesso: “Sarebbe grave se Filippo Turetta non partecipasse a un processo pubblico, a cui ha il diritto di partecipare e difendersi, per questa pressione mediatica che c’è stata fin dal primo momento”.
Alla prima udienza, in effetti, Turetta non si è presentato. Venerdì, a poche ore dall’inizio del processo, il programma “Quarto grado” ha trasmesso alcuni spezzoni del video dell’interrogatorio reso da Turetta dopo l’arresto. In precedenza, erano persino state mandate in onda le intercettazioni dei colloqui avuti da Turetta con i suoi genitori, dal contenuto penalmente irrilevante (attività censurata dal Garante per la privacy). “Il clamore mediatico in questa prima udienza gli ha suggerito di non essere presente”, ha dichiarato il suo legale, l’avvocato Giovanni Caruso, auspicando che il processo non si trasformi nel “vessillo di una battaglia culturale contro la violenza di genere”.
A colpire sono soprattutto le parole contro il circo mediatico pronunciate in maniera coraggiosa dal procuratore Cherchi, cioè dal rappresentante dell’accusa, che troppo spesso punta proprio alla spettacolarizzazione delle indagini e del processo per favorire il clima di colpevolizzazione degli imputati. La posizione di Cherchi contro il circo mediatico sembra rievocare quella espressa sabato scorso sul Foglio dal procuratore di Parma, Alfonso D’Avino, che si occupa del delicato caso dei neonati uccisi a Traversetolo da una ragazza 22enne ("Indagare una persona non significa che questa debba essere messa alla berlina").
Come sempre, ciò che dovrebbe essere ordinario appare straordinario. Ma intanto vien da dire: dopo Parma, viva la procura di Venezia.