malagiustizia

Dopo tre anni assolti tutti gli imputati (ma l'azienda intanto ha chiuso). L'ultimo flop di Gratteri

Ermes Antonucci

Il procuratore di Napoli polemizza col governo sull'interrogatorio preventivo: "Grottesco". Chissà come definirebbe l'ennesimo risultato disastroso ottenuto sul piano giudiziario: otto imputati assolti (e un'azienda distrutta)

Martedì, durante una conferenza stampa per illustrare i dettagli di una maxi operazione antidroga, il procuratore di Napoli Nicola Gratteri ha polemizzato col governo (in particolare col ministro Nordio) definendo “grottesca” la norma introdotta di recente che prevede l’interrogatorio preventivo davanti al gip in caso di richiesta di custodia cautelare. “Se uno spacciatore viene avvisato, potrà far sparire le prove prima che venga bloccato”, ha detto Gratteri, dimenticando però di riferire ai giornalisti che la nuova norma si applica solo ai casi in cui (per certi reati ritenuti meno gravi) i pubblici ministeri rintracciano esclusivamente il pericolo di reiterazione del reato. Se il pm invece sospetta, come è probabile che avvenga, che lo spacciatore indagato possa inquinare le prove (o fuggire), potrà comunque chiedere l’arresto e interrogarlo solo successivamente, senza quindi che egli possa “far sparire le prove”. Pazienza. In fondo non è la prima volta che Gratteri si lancia in dichiarazioni non corrette. Data la facilità con cui definisce “grottesche” riforme volute dal governo, comunque, sarebbe curioso sapere come Gratteri definirebbe la notizia dell’ennesima sentenza di assoluzione con cui la scorsa settimana si è conclusa un’indagine da lui coordinata quando era ancora alla guida della procura di Catanzaro.

 

Era il marzo 2021 quando la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro lanciava l’indagine “Erebo Lacinio”, accusando otto persone di associazione a delinquere per traffico illecito di rifiuti. Al centro dell’inchiesta l’impianto di biogas utilizzato dalla società Verdi Praterie, facente parte del gruppo Marrelli di Crotone, presieduto da Antonella Stasi (tra l’altro vicepresidente della regione Calabria dal 2010 al 2014). Un gruppo con quarant’anni di storia e oltre 400 dipendenti. Secondo i pm, l’impianto di biogas era alimentato con biomasse di origine vegetale e animale “in modo non conforme alla normativa”. Veniva inoltre contestata la violazione delle norme relative allo smaltimento dei rifiuti e persino sversamenti illeciti. 

 

Ne risultava l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al conseguimento degli incentivi pubblici erogati dal Gse (Gestore dei servizi energetici), per la produzione di energie da fonti rinnovabili oltre che al traffico illecito di rifiuti. L’inchiesta portò all’emissione della misura cautelare del divieto di dimora nei confronti di Stasi e di altri indagati. Vennero tutti interdetti dall’esercizio dell’attività professionale per 12 mesi, la Guardia di Finanza procedette al sequestro di oltre 14 milioni e mezzo di euro e la società venne posta sotto amministrazione giudiziaria. 

 

La scorsa settimana, dopo tre anni e mezzo, a conclusione del processo con rito abbreviato tutti e otto gli imputati – tra cui Stasi, difesa dall’avvocato Francesco Verri – sono stati assolti da ogni accusa. La procura aveva chiesto la condanna per tutti gli imputati (addirittura 4 anni e 6 mesi di reclusione per Stasi). Il gup ha anche disposto la revoca del sequestro dei beni mobili e immobili deciso a suo tempo. Già nell’aprile 2021, il tribunale del Riesame aveva annullato  le misure cautelari, ritenendo che non sussistessero elementi per configurare il reato di associazione a delinquere sia per il traffico di rifiuti sia per la gestione dell’impianto di biogas (decisione poi confermata dalla Cassazione). Peccato che intanto l’inchiesta abbia prodotto danni irreparabili al gruppo guidato da Stasi. 

 

“L’azienda, sottratta alla mia custodia e consegnata agli amministratori giudiziari, oggi è distrutta e l’impianto biogas chiuso”, ha dichiarato Stasi in una nota, aggiungendo di aver “dovuto licenziare diversi operai” e di aver “accumulato debiti e ritardi con i fornitori”. “Grazie alla forza del gruppo e delle altre aziende siamo riusciti a resistere. Oggi è il momento in cui possiamo tirare un sospiro di sollievo”, ha detto Stasi.

 

“Questo processo costituisce il frutto maturo di quello che viene chiamato panpenalismo, cioè l’abitudine delle procure a criminalizzare qualsiasi fenomeno sociale, produttivo e aziendale”, afferma al Foglio l’avvocato Verri. “Nel nostro ordinamento esiste una norma che permette la riparazione per ingiusta detenzione, ma non esiste uno strumento per ottenere la riparazione dei danni da ingiusto sequestro, conseguente all’assoluzione”, sottolinea Verri. Chissà se Gratteri definirebbe “grottesca” anche una legge del genere. 
 

  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]