Si chiude “Toghe lucane”, una disfatta giudiziaria lunga un ventennio

Luciano Capone

Dopo le trenta archiviazioni su trenta del primo filone, arriva l'assoluzione definitiva di Gaetano Bonomi nel bis. Termina così la saga De Magistris-Woodcock iniziata nel 2003

Assolto perché il fatto non costituisce reato. Si conclude così una storia giudiziaria, e anche politico-mediatica, iniziata oltre 20 anni fa. E solo per due ragioni: l’ostinazione dell’imputato, l’ex sostituto procuratore generale di Potenza Gaetano Bonomi (e del suo avvocato Alberto Barletta), che ha rinunciato alla prescrizione; e la sua fortuna di non essere morto prima, nonostante l’età avanzata e i problemi di salute.

Si tratta della saga “Toghe lucane”, l’inchiesta monstre del giovane Luigi de Magistris, nata nel 2003 e che poi ha un impulso nel 2007: l’allora pm di Catanzaro ipotizzava l’esistenza di un “comitato d’affari” in Basilicata composto da magistrati, politici, imprenditori e ufficiali colpevoli di un lungo elenco di reati. Tra gli indagati tanti nomi eccellenti lucani: l’allora sottosegretario del governo Prodi Filippo Bubbico, l’ex senatore di An Nicola Buccico, l’ex presidente della regione Vito De Filippo e cinque magistrati tra cui l’allora procuratore generale di Potenza Vincenzo Tufano e, appunto, Bonomi.

L’inchiesta era talmente piena di anomalie che De Magistris venne trasferito dal Csm e il pm che ereditò questo malloppone da 200 mila pagine chiese l’archiviazione per tutti: trenta indagati su trenta. L’en plein venne poi confermato nel 2011 dal gup per l’“impianto accusatorio lacunoso” e l’assenza di “un qualunque accordo criminoso”. Naturalmente, in un paese come l’Italia, la disfatta totale dell’inchiesta è stato un trampolino di lancio per De Magistris.

Nel lungo periodo che va dall’inizio dell’inchiesta all’archiviazione, il pm di Catanzaro non è un magistrato che ha fatto male il suo lavoro accusando senza una prova concreta trenta innocenti, ma un beniamino delle piazze dei talk-show di Michele Santoro: è il vendicatore degli oppressi che è stato fermato dal “sistema” perché aveva toccato i fili pericolosi del potere occulto. Il movimento “Ammazzateci tutti” scende in piazza a sostegno di De Magistris, vittima delle ispezioni dell’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella che chiedeva al Csm il trasferimento cautelare del pm.

Una campagna mediatica perfetta, che si conclude nel 2009 con l’elezione trionfale al Parlamento europeo nelle file del partito di un altro ex pm, Antonio Di Pietro e il sostegno di Beppe Grillo: De Magistris risulta il secondo più votato d’Italia, dopo Silvio Berlusconi, con oltre 400 mila preferenze. Solo due anni dopo, i magistrati di Catanzaro demoliscono completamente l’impianto dell’inchiesta: non c’è bisogno neppure del dibattimento per capire che non esiste nessuna cupola, nessun comitato d’affari. Ma non finisce qui.

Come l’Araba fenice, dalle ceneri dell’inchiesta di De Magistris, nel 2011 nasce l’inchiesta “Toghe lucane bis”: l’allora pm di Catanzaro Giuseppe Borrelli mette in piedi una costruzione complicatissima di imputazioni che si poggiano su altre imputazioni ma che tutte insieme faticano a stare in piedi. L’ipotesi dell’accusa è l’esistenza, sempre in Basilicata, di un’associazione segreta (una specie di loggia coperta) e di un’associazione a delinquere, composta da magistrati e sottufficiali. Stavolta l’allora sostituto procuratore generale di Potenza, Gaetano Bonomi, non è più un associato qualsiasi – come nella precedente inchiesta – ma il capo della cupola.

La presunta loggia segreta, accusata dal pm Borrelli di violazione della legge Anselmi (quella nata dopo lo scandalo della P2 di Licio Gelli), aveva una ragione sociale singolare: ostacolare il pm Henry John Woodcock. La tesi, infatti era che questo gruppo di magistrati e ufficiali preparava dossier e calunnie contro Woodcock, accusandolo ingiustamente attraverso esposti anonimi di aver rivelato notizia segrete a giornalisti come Michele Santoro e Federica Sciarelli.

In realtà, bastava vedere la vivace attività investigativa della procura lucana in quegli anni – dal “Vip gate” al “Savoia gate” passando per “Vallettopoli”, inchieste che erano sulle pagine di tutti i giornali nazionali – per capire che di freni ce n’erano pochi. Quello che di reale c’era alla base delle inchieste “Toghe lucane” era in realtà uno scontro, che era anche uno scontro generazionale, tra la Procura e la Procura generale sui metodi dei magistrati: ai vecchi non piaceva la spettacolarizzazione delle inchieste, l’uso quasi privatistico della polizia giudiziaria e l’eccesso di intercettazioni che avevano un costo esorbitante per una piccola procura come quella di Potenza.

In ogni caso, il processo è andato avanti. Dopo sei anni, nel 2017, tutti e dieci gli imputati vengono assolti dalle accuse più gravi: nessuna associazione a delinquere, nessuna loggia segreta, nessun complotto contro Woodcock. Ma Bonomi viene condannato a un anno e 8 mesi per fuga di notizie e corruzione: avrebbe ricevuto un soggiorno in un albergo dal valore di 250 euro da un imprenditore. In appello la pena viene ridotta a un anno e 5 mesi. Ma nel 2022, la Cassazione annulla senza rinvio la condanna per corruzione “perché il fatto non sussiste”, mentre annulla con rinvio la rivelazione del segreto.

Così ieri, dopo oltre 20 anni, dall’inizio di “Toghe lucane”, la Corte d’appello di Catanzaro ha assolto definitivamente Bonomi anche per l’ultimo capo d’imputazione. Nel frattempo, mentre Bonomi ha dovuto lasciare la magistratura e passare un decennio a difendersi, tutti hanno fatto carriera: De Magistris europarlamentare e sindaco di Napoli, Woodcock sostituto procuratore della Dda di Napoli, Borrelli capo della procura a Salerno. Giustizia è fatta.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali