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L'editoriale del direttore

La delegittimazione dei magistrati non dipende da chi evoca falsi complotti

Claudio Cerasa

La cronaca recente ci dice che quelli denunciati dal governo somigliano più ad autocomplotti che a complotti reali. È anche vero però che una serie di scelte fatte dalla magistratura consente a quell’accusa di trovare un terreno fertile per attecchire. Molti gli esempi

Superato il traguardo dei primi due anni di vita di questo esecutivo, si può dire senza paura di essere smentiti che l’evocazione del complotto della magistratura è diventato uno dei punti forti della narrazione vittimista del governo Meloni. Diciamo vittimista perché, almeno fino a oggi, i complotti denunciati dal governo somigliano più ad autocomplotti che a complotti reali e la storia di questi mesi, ancor prima di arrivare al duello sulla definizione dei paesi sicuri, è lì che ce lo ricorda.

 

Non è stato un complotto della magistratura il processo ai danni di Daniela Santanchè (il mancato pagamento della liquidazione ad alcuni dipendenti da parte della vecchia società del ministro è un fatto, vedremo in che misura verrà considerato un reato). Non è stato un complotto della magistratura il caso Delmastro (la rivelazione di segreti amministrativi conclamati a Giovanni Donzelli è un fatto, vedremo che in misura verrà considerato un reato). Non è stato un complotto della magistratura il caso dell’indagine ai danni del figlio di Ignazio La Russa (non è l’unico figlio di un importante uomo della politica a essere indagato per violenza sessuale). Non è stato un complotto della magistratura neppure l’indagine ai danni di Matteo Salvini a Palermo (la violazione del diritto del mare da parte dell’ex ministro dell’Interno è un fatto, vedremo in che misura verrà considerato un reato). Non è stato un complotto della magistratura neppure il dossieraggio denunciato dal ministro Crosetto (dossieraggio gravissimo, che nel caso sarebbe il sintomo non di un complotto dei giudici contro il governo ma della presenza di un mercato nero delle informazioni riservate in grado di colpire politici di destra e di sinistra e non solo loro). Non c’è nessun complotto della magistratura neppure contro la sorella di Giorgia Meloni (almeno finora la tanto evocata inchiesta estiva su Arianna che tanto ha scaldato i follower della maggioranza di centrodestra è semplicemente aria fritta). E se si vuole essere sinceri fino in fondo non si può considerare neppure un complotto della magistratura quello che abbiamo visto negli ultimi giorni, attorno al così detto modello Albania. Perché è vero che la magistratura ha utilizzato in modo molto discrezionale i suoi poteri, ma è altrettanto vero che l’obiettivo riguarda il merito di un problema complesso (il perimetro della politica migratorio di un governo) che non può essere ridotto alla volontà della magistratura di sinistra di mettere a testa in giù il governo Meloni (e l’intervento della magistratura sul tema, per quanto sia scomposto e basato su criteri soggettivi, non è anomalo ma è di sua competenza). Il complotto, quando si parla di giustizia, è una cosa seria, e l’Italia nel passato ha avuto a che fare con iniziative giudiziarie disinvolte, e ad personam, portate avanti in modo deciso anche contro presidenti del Consiglio in carica, e quando si evoca il complotto bisognerebbe stare attenti anche a non alimentare la sindrome dell’al lupo al lupo.

   

Non c’è dunque alcun complotto evidente nei confronti del governo, e questo è un fatto, e non è stato un complotto nemmeno il caso Toti, perché per quanto i metodi usati contro l’ex governatore della Liguria siano stati scandalosi, non si può dire che l’obiettivo eventuale delle procure fosse direttamente il governo, non essendo Giovanni Toti un volto immediatamente riconducibile al giro meloniano (e chissà che gli elettori liguri non regalino qualche sorpresa sul tema).

   

Eppure, nonostante la nostra lunga premessa, ci sono buone ragioni che permettono ai politici di poter sostenere in qualsiasi momento dell’anno, a prescindere dai fatti, che vi sia la possibilità che un pezzo di magistratura organizzi un complotto contro il governo. E queste ragioni coincidono con tutta una serie di scelte fatte dalla magistratura che consentono alle accuse di complotto di trovare un terreno fertile per attecchire.

   

I magistrati spesso non se ne accorgono, ma quando scelgono di assecondare, senza muovere un dito, le azioni dell’Anm contro le riforme istituzionali di un determinato governo stanno scegliendo di trasformare un sindacato dei magistrati in un soggetto politico attivo. E quando un sindacato si trasforma in un soggetto politico attivo l’effetto è inevitabile: i politici che portano avanti alcune riforme diventano dei nemici politici e quando un magistrato identifica un nemico nella politica è inevitabile vedere nella magistratura più attiva una politicizzazione che potrebbe avere un suo riflesso anche nell’azione giudiziaria. I magistrati spesso non se ne accorgono, ma quando scelgono di non ribellarsi a un sistema correntizio che premia i magistrati non per quello che fanno, nelle aule di tribunale, ma per quello che dicono, fuori dalle aule, è inevitabile essere portati a considerare un pezzo della magistratura come un soggetto politicamente attivo, pronto cioè a trasferire nell’azione giudiziaria le sue battaglie politiche. I magistrati spesso non se ne accorgono, ma quando scelgono di non ribellarsi a un sistema che permette a un giudice chiamato a intervenire in un certo ambito di dire quello che pensa sulle scelte politiche di un governo è inevitabile poi arrivare a pensare che quel determinato magistrato abbia compiuto una scelta facendosi guidare dalla volontà di condurre una battaglia politica. I magistrati spesso non se ne accorgono, ma quando scelgono di legittimare l’immagine del magistrato che deve ribellarsi al suo essere un semplice burocrate, quando  cioè avallano il dovere di un magistrato di interpretare le norme e di essere un soggetto “attivo” della resistenza costituzionale, altro non stanno facendo che caricare il magistrato di un ruolo che non dovrebbe essere suo, ovverosia di garante ultimo della Costituzione, deputato a difendere in ogni luogo e con ogni mezzo la Carta da ogni barbaro che a parere del magistrato potrebbe violarla. E quando un magistrato smette di essere un burocrate, cosa che è, quel magistrato sta difendendo anche la possibilità che la magistratura possa essere debordante e che possa essere non uno degli ingranaggi fondamentali del “check and balance” di uno stato ma un contropotere legittimato a combattere coloro che arbitrariamente considera nemici della Costituzione con tutti i mezzi a disposizione, complotti compresi. Il complotto contro il governo non esiste, nemmeno oggi, nemmeno oggi che vi sono magistrati di sinistra che scrivono provvedimenti il cui effetto è quello di smontare leggi del governo di centrodestra, ma tutto quello che la magistratura non dovrebbe fare per evitare che le accuse di complotto trovino terreno fertile è evidente e fino a che la magistratura non farà di tutto per allontanare da sé l’immagine di un corpo dello stato fazioso, ideologico, politicizzato, continuerà a fare di tutto per delegittimare sé stessa con più forza di quanto possa farlo un qualsiasi governo poco amico della magistratura.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.