L'editoriale del direttore
I veri poteri forti dello sputtanamento sono quelli con il bollino di stato
Gli spioni privati che alimentano il mercato dei dati sensibili fanno paura. Ma il modo migliore per tutelare la nostra privacy è ribellarsi con forza ad altre intrusioni nelle vite degli altri: quelle che hanno il bollino dello stato
E se il vero scandalo fosse un altro e non quello che ci stiamo raccontando? Sono giorni, anzi mesi, che notizie come quelle che abbiamo letto sabato scorso, notizie che riguardano usi disinvolti di dati personali, usi spregiudicati di dati sensibili, accessi abusivi nelle vite degli altri, trovano spazio di tanto in tanto sulle pagine dei giornali. L’ultimo caso, quello più da rotocalco, riguarda le accuse che hanno investito due big della finanza, come Matteo Arpe e Leonardo Del Vecchio, indagati insieme a molti altri soggetti, compreso Enrico Pazzali, capo della Fiera di Milano, per accessi abusivi a dati a cui non potevano accedere e per aver cercato di produrre dossier compromettenti sui propri famigliari. Sono giorni, anzi mesi, che piccole e grandi storie di presunti dossieraggi fanno capolino sui giornali. Il caso più famoso, e forse più inquietante, finora, è ancora quello che riguarda l’ex pm Antonio Laudati e il tenente della Gdf Pasquale Striano, entrambi indagati nell’inchiesta della procura di Perugia sui presunti accessi abusivi alle banche dati della Direzione nazionale antimafia. Tra il caso Striano/Laudati e i casi della finanza milanese, poi, ce ne sono stati altri due che hanno animato per qualche istante le cronache dei giornali.
Un caso, ancora tutto da capire, è quello di un funzionario di banca di Bitonto, in Puglia, ex dipendente di una filiale territoriale di Intesa Sanpaolo, denunciato per essersi infilato in modo indisturbato in migliaia di conti correnti nel giro di due anni. Un altro caso, anch’esso tutto da mettere a fuoco, è quello che ha visto come protagonista un hacker che ha preso d’assalto i database riservati in uso al ministero della Giustizia. I casi emersi negli ultimi mesi sono molti, e stando alle parole del procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo potrebbero non essere gli ultimi. Ma i casi in questione non sono solo la spia di un mercato inquietante in cui i dati personali possono essere messi al servizio del miglior offerente o del miglior richiedente (i dossieraggi sono una cosa diversa, è decisamente più seria, e vale la pena andarci piano e non farsi prendere dal panico).
Sono la spia di un’emergenza diversa, per così dire, che ha contribuito a trasformare l’Italia in un colabrodo, in una casa di vetro, in una distopia di cui l’Italia è vittima da anni. Una distopia che nasce da una diffusione incontrollata, e da una legittimazione progressiva, di uno spirito guardonista che nel tempo è diventato parte integrante della costituzione immateriale del nostro paese. Per anni, abbiamo coltivato l’illusione tossica che in nome della trasparenza tutto fosse concesso. Per anni, abbiamo coltivato l’idea che guardare dal buco della serratura fosse l’unico modo per esercitare, dal basso, una forma di democrazia diretta. Per anni, l’esaltazione contestuale di una finta libertà di stampa, intesa nel senso di libera acquisizione di notizie sputtananti, ha portato a sottovalutare il rischio che le notizie venissero acquisite attraverso reati e dinamiche di potere perverse. La cultura anti casta ha in sostanza educato l’indignato collettivo a sviluppare un ragionamento populista che grosso modo funziona così: male non fare, paura non avere.
Anni di sputtanamento gratuito mascherato da irreprensibile lotta per la legalità hanno così trasformato una pratica scandalosa, da stato di polizia, in una pratica accettata, sdoganata, sostanzialmente avallata. La diffusione delle pratiche spionistiche, in fondo, è figlia di questa stagione, in cui si considerano i potenti e soprattutto i politici colpevoli fino a prova contraria di aver commesso qualcosa che deve essere solo scoperto. E non ci vuole molto a capire che se lo sputtanamento è diventato così importante nella società moderna ci sarà anche qualcuno che riuscirà a trasformarlo in un business privato, senza bisogno di passare dal pubblico. Arrivati a questo punto del nostro ragionamento si può provare a tornare alla domanda da cui siamo partiti. Ma se il vero scandalo, alla fine, fosse un altro? E se fosse necessario, quando si parla di sputtanamento, osservare non una scena del film ma tutto il girato, come direbbe Meloni? E se fosse necessario capire che il vero problema, quando si parla di manomissione delle vite degli altri, non sono solo i casi in cui le informazioni vengono pescate in modo abusivo da soggetti privati, ma sono soprattutto i casi in cui le informazioni sensibili vengono pescate in modo fraudolento dallo stato, con il finto bollino della legalità e della lotta contro il marcio nella società?
Se si considera la difesa della privacy un valore non negoziabile, per così dire, indignarsi per ogni violazione diventa inevitabile. Se si considera invece la difesa della privacy come un valore negoziabile, non prioritario, un valore sacrificabile per esempio sull’altare della lotta contro l’immoralità, si tenderà inevitabilmente a considerare il mezzo, illegale, come necessario per riportare maggiore moralità nel paese. In altre parole, se ci si indigna per gli spioni privati e non ci si indigna per gli spioni di stato si sta creando il terreno fertile per far sì che dell’albero marcio si vedano solo le mele senza andare a fondo. E non lo si fa perché l’indignato collettivo non vuole capire che per contrastare efficacemente il sistema del fango, dello sputtanamento del prossimo, sarebbe necessario rifiutare a monte qualsiasi meccanismo di delegittimazione costruito sull’attacco personale, a cominciare da quello ben più letale che ha il bollino della legalità dello stato. Non capire tutto questo significa pensare che per quanto possa essere inappropriato spiare le vite degli altri la priorità vera di una democrazia resta quella di alimentare una dittatura della trasparenza il cui fine ultimo è fare di tutto per mostrare la moralità dei potenti, anche a costo di violare la loro privacy, anche a costo di entrare nella loro vita. Male non fare dossieraggio non temere, no?
L’allentamento di ogni controllo sui controllori, in questi anni, ha reso gli sputtanatori di professione i veri poteri forti della nostra Repubblica. E tutto questo è successo non in modo casuale. E’ il frutto di anni di sputtanamento trasformato in diritto di cronaca. E’ il frutto di anni di processo mediatico trasformato in grande lotta contro l’immoralità. E’ il frutto di anni di disattenzioni sulle intercettazioni irrilevanti, è il frutto di anni di disattenzioni sulle violazioni della privacy a mezzo stampa, è il frutto di anni di disattenzioni sull’utilizzo discrezionale e non controllato di sistemi di accesso alla vita degli altri, come le sos. E’ il frutto di un paese che ha accettato per troppo tempo di considerare i potenti colpevoli fino a prova contraria di aver commesso qualcosa che deve essere solo scoperto. Il vero scandalo, se ci si riflette un istante, è che alla fine l’indignato collettivo si scandalizza quando deve indicare una mela marcia ma non si scandalizza quando c’è da indicare l’albero putrefatto. E la ragione è semplice: di fronte al colabrodo italiano l’indignato collettivo, in fondo, è lì a pensare che il fine giustifichi il mezzo. Male non fare paura non avere. Gli spioni che alimentano il mercato nero delle informazioni sensibili fanno paura. Ma se si ha davvero a cuore la nostra privacy il modo migliore per ribellarsi alle intrusioni nelle vite degli altri è tenere le antenne dritte quando la macchina dello sputtanamento, nel disinteresse generale, viene attivata con il bollino dello stato.