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Il Csm discute le nuove regole sulle nomine, ma è solo fumo negli occhi

Ermes Antonucci

I membri del Consiglio superiore della magistratura si stanno confrontando (e dividendo) sulla revisione del testo unico sulla dirigenza giudiziaria. L'obiettivo è ridurre il peso delle correnti, ma le proposte elaborate sono fallimentari. Di Federico: "Solo fumo negli occhi"

Le nomine dei magistrati ai vertici degli uffici giudiziari del paese tornano al centro dell’attenzione del Csm, a cinque anni di distanza dallo scandalo Palamara. Da settimane, infatti, i consiglieri si stanno confrontando (e dividendo) sulla revisione del testo unico sulla dirigenza giudiziaria, necessaria dopo la riforma Cartabia. Lo scopo, almeno a parole, è quello di ridurre il condizionamento delle correnti. Nei fatti, l’obiettivo risulta più lontano che mai. 

 

La riforma Cartabia ha introdotto in via generale alcune novità sugli indicatori di cui il Csm deve tenere conto nella scelta dei magistrati ai quali affidare gli incarichi direttivi (come procuratore della Repubblica o presidente di tribunale) e semidirettivi (come procuratore aggiunto o presidente di sezione di tribunale). Il provvedimento ha però rimesso al Csm il compito di attuare nello specifico le nuove disposizioni. Dopo un’intensa discussione, i consiglieri togati hanno elaborato due testi contrapposti. Il primo, nato da un inedito accordo tra la corrente di sinistra Area e Magistratura indipendente, apporta piccole modifiche agli indicatori, lasciando al Csm ampia discrezionalità nella valutazione dei candidati. La seconda proposta, elaborata da Magistratura democratica e Unicost, prevede invece una serie di punteggi predeterminati per i vari indicatori, cercando di ridurre la discrezionalità del Consiglio superiore. “I punteggi prefissati fanno recuperare oggettività alle nomine”, ha affermato il togato Michele Forziati (Unicost). 

 

A ben vedere, però, la proposta elaborata da Md e Unicost non riduce affatto la discrezionalità del Csm, e quindi il pericolo di condizionamenti e spartizioni fra le correnti. Senza entrare troppo nei tecnicismi, basta un esempio su tutti. Tra le  attitudini dei candidati che il Csm è chiamato a valutare c’è la “capacità di efficiente organizzazione del lavoro”. La proposta di Md e Unicost prevede che per questo parametro possa essere attribuito al candidato “un massimo di cinque punti”. Nulla impedirà, quindi, al Csm di attribuire due punti a un candidato e cinque punti a un altro, sulla base di una scelta discrezionale o figlia di un accordo correntizio (già di per sé, del resto, il concetto di attitudine è quanto di più sfuggente). 

 

“Le proposte del nuovo testo unico sulla dirigenza sono solo fumo negli occhi”, dice al Foglio Giuseppe Di Federico, professore emerito dell’Università di Bologna, il più grande studioso italiano di sistemi giudiziari. “Finché le valutazioni di professionalità dei magistrati continueranno a essere di fatto inesistenti, ogni tentativo di ridurre il condizionamento delle correnti nelle procedure di nomina è destinato a fallire”, aggiunge. 

 

“La magistratura è la vera erede dell’ideologia studentesca del ’68. Questa ideologia si fonda su due cardini: il 30 e lode per tutti e le decisioni prese in assemblea al Csm”, afferma Di Federico senza mezzi termini. “Negli ultimi 50 anni il Csm ha deciso di sua iniziativa di promuovere tutti i magistrati fino al vertice della carriera in base all’anzianità salvo i casi di grave e documentato demerito, come  condanne penali”. Tradotto: “Dal 1960 la percentuale dei magistrati valutati positivamente ha variato tra il 99,1 e il 99,5 per cento (in Francia soltanto 600 magistrati sul totale raggiungono l’apice della carriera)”. Trenta e lode per tutti, appunto. Ma se tutte le toghe sono “eccellenti” è chiaro che le procedure di nomina dei dirigenti finiscono per essere fortemente condizionate dalla discrezionalità del Csm e dall’influenza delle correnti, come dimostra la storia. “I magistrati coltivano il mito dell’assenza della carriera, ma poi si scannano per gli incarichi direttivi”, sintetizza efficacemente Di Federico. 

 

Qual è la soluzione? “Reintrodurre il sistema che è valso tra gli anni 60 e 70 per le valutazioni di eccellenza: esami scritti per un numero limitato di posti e un numero limitato di persone”, risponde Di Federico. “Quelle valutazioni hanno prodotto un effetto incredibile. Fino alla fine degli anni Novanta tutta la dirigenza delle corti d’appello, procura generale e presidenza della Corte di cassazione era ancora costituita dai vincitori dei concorsi di quegli anni. Il Csm, che pur si era opposto agli esami scritti, non ha potuto contestarne i risultati al momento delle nomine e non ci sono stati ricorsi al Tar”. 
 

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  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]