indagini eterne
Dopo sei anni archiviata l'inchiesta con 25 indagati sulla Sanitopoli torinese
Nel novembre 2018 venticinque tra i massimi professionisti del mondo della psichiatria di Torino vennero accusati di aver truccato dei concorsi pubblici. Dopo sei anni l'indagine è stata archiviata dal giudice. A imbastire l'inchiesta sempre lui: il pm Colace
Immaginate di essere degli stimati professionisti e di finire sbattuti sulle prime pagine dei quotidiani nazionali perché indagati di aver messo in piedi una cupola per truccare i concorsi pubblici. Immaginate di rimanere sotto indagine per sei lunghi anni, senza alcun reale motivo (per capirci, la durata massima delle indagini, per i reati gravi come terrorismo e criminalità organizzata, è di due anni), subendo tutti i danni reputazionali, professionali e personali di questa graticola giudiziaria. Immaginate, infine, che dopo sei anni il giudice delle indagini preliminari decida di archiviare l’inchiesta, su richiesta degli stessi pm, perché i reati si sono rivelati infondati. Giustizia è fatta, arrivederci. Nessuna scusa, nessun risarcimento per i danni subiti. E’ quanto avvenuto a venticinque tra i massimi professionisti del mondo della psicologia e della psichiatria di Torino, travolti nel novembre 2018 dall’indagine “Sanitopoli”, con l’accusa di aver pilotato una serie di concorsi. Ipotesi di reato: corruzione, truffa, falso, turbata libertà degli incanti.
Tra gli indagati Flavio Boraso ed Enrico Zanalda (rispettivamente direttore generale e responsabile del dipartimento di salute mentale dell’Asl 3 di Torino), Riccardo Torta e Giuliano Geminiani (professori ordinari di Psicologia clinica all’università di Torino), Maurizio Dall’Acqua (direttore generale dell’ospedale Mauriziano), Roberto Rigardetto (responsabile della Neuropsichiatria al Regina Margherita) e lo specialista in psichiatria Giuseppe Maina. Il 20 novembre 2018, alle sei del mattino, i 25 indagati subirono perquisizioni e sequestri dei propri telefonini e dispositivi informatici. Le copie forensi avrebbero dovuto restituire le prove definitive di quelli che per i magistrati erano concorsi truccati, favoritismi e “un sistema clientelare fondato su reciproche concessioni”. Dagli accertamenti, invece, non è emersa alcuna conferma delle ipotesi di reato. L’indagine, però, è inspiegabilmente rimasta ferma per sei anni.
Nei giorni scorsi il gip di Torino ha deciso di archiviare l’inchiesta, su richiesta degli stessi pm che avevano lanciato le accuse in pompa magna, Gianfranco Colace e Laura Longo. I “sindacalisti” della magistratura ci diranno: vedete, il fatto che i pm sono tornati sui propri passi è segno che sono aperti al dubbio, a rivedere le proprie posizioni. Per arrivare al paradosso: altro che fallimento, l’archiviazione dimostra che la giustizia funziona. Per rispondere a questa sciocchezza basterà ricordare un dato: sei anni. Cosa hanno fatto per tutto questo tempo i pm? Basti pensare che secondo la legge che prevede indennizzi per il mancato rispetto del principio di “ragionevole durata” del processo, quest’ultimo non dovrebbe durare complessivamente più di sei anni. Nel caso della Sanitopoli torinese sei anni sono stati impiegati soltanto per condurre indagini che hanno poi portato all’archiviazione (e gli indagati, paradossalmente, non potranno chiedere alcun indennizzo visto che non sono finiti neanche a processo).
Il pm di punta che ha condotto l’indagine è Gianfranco Colace, ormai un nome celebre della magistratura italiana. E’ stato lui ad accusare l’ex governatore del Piemonte Sergio Chiamparino, gli ex sindaci Chiara Appendino e Piero Fassino, e gli assessori che hanno gestito la delega all’ambiente tra il 2015 e il 2019 di inquinamento ambientale colposo (sono stati tutti prosciolti in udienza predibattimentale). E’ stato lui ad accusare gli ex vertici del Salone del libro di Torino, tra cui Fassino e l’ex assessore regionale alla cultura Antonella Parigi, di svariate irregolarità negli appalti (sono stati assolti dopo undici anni).
E’ stato sempre Colace a intercettare illecitamente per tre anni 500 volte l’allora senatore Stefano Esposito senza autorizzazione del Parlamento (condotta censurata dalla Corte costituzionale e motivo per il quale è ora sotto procedimento disciplinare al Csm). E’ stato lui ad accusare di falso elettorale il deputato leghista Riccardo Molinari (assolto). E’ stato lui a disporre oltre 30 mila intercettazioni nei confronti di un imprenditore indagato, Giulio Muttoni. E’ stato lui ad accusare di corruzione elettorale l’ex assessore comunale Enzo Lavolta (assolto dopo sette anni). Ci fermiamo qui per mancanza di spazio. L’archiviazione della Sanitopoli torinese è solo l’ultimo capitolo di un curriculum che parla da sé.
L'editoriale del direttore