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Così il Csm vanifica la riforma sulla valutazione dei magistrati
Per il Consiglio superiore della magistratura il fatto che un pm fallisca due inchieste su tre, per esempio avviando indagini che si rivelano infondate o ottenendo l’arresto di persone che poi si rivelano innocenti, non è sufficiente per valutare negativamente il suo operato
Vi fareste operare da un medico che ha una statistica di un morto ogni tre pazienti? Con molta probabilità no. E se la media fosse di un morto ogni due pazienti? Probabilmente scegliereste in maniera ancora più convinta un altro medico. Se la media fosse addirittura di due morti ogni tre pazienti, sicuramente mandereste quel medico al diavolo e avvisereste tutti i vostri famigliari di stargli lontano. Per il Consiglio superiore della magistratura, invece, il fatto che un pubblico ministero fallisca due inchieste su tre, per esempio avviando indagini che si rivelano infondate o ottenendo l’arresto di persone che poi si rivelano innocenti, non è sufficiente per valutare negativamente il suo operato. Secondo la nuova circolare sulla valutazione di professionalità che il Csm si appresta ad approvare (il testo ha già ricevuto il via libera unanime della Quarta commissione del Consiglio), un magistrato potrà subire effetti negativi sulla valutazione della propria professionalità soltanto quando “oltre due terzi dei provvedimenti o delle richieste risultano annullate, riformate o rigettate” nelle fasi o nei gradi successivi di giudizio.
Si è di fronte all’ennesima opera di vanificazione da parte del Csm di una riforma approvata dal Parlamento. Quest’ultimo nel 2022 aveva stabilito con legge che il Csm nel valutare le toghe avrebbe dovuto tener conto, non solo degli annullamenti o dei rigetti dei provvedimenti per gravi ragioni (come abnormità, negligenza nell’applicazione della legge o mancata valutazione di prove decisive), ma anche del dato statistico: se, cioè, gli annullamenti, i rigetti o le riforme dei provvedimenti giudiziari “assumono carattere significativo rispetto al complesso degli affari definiti dal magistrato”.
La legge ha lasciato al Csm il compito di stabilire quando la bocciatura delle decisioni adottate da un magistrato debba considerarsi statisticamente “significativa”. La risposta dell’organo di governo autonomo delle toghe è paradossale: soltanto quando oltre due terzi dei provvedimenti o delle richieste risultano annullate, riformate o rigettate. Tradotto: se un pm sbaglia otto volte su dodici va tutto bene. Ma il paradosso non finisce qui.
Quali sono i provvedimenti dai quali verranno estratti i dati statistici? La legge, su iniziativa del deputato Enrico Costa, ha previsto l’istituzione di un “fascicolo per la valutazione del magistrato”, che avrebbe dovuto contenere (in teoria) tutti i provvedimenti del magistrato, inclusi gli esiti nelle successive fasi di giudizio (come arresti ingiusti e sentenze ribaltate). L’obiettivo complessivo della riforma era quello di rendere finalmente sostanziali le valutazioni di professionalità, che da decenni sono invece di fatto inesistenti (il 99,6 per cento dei magistrati riceve valutazioni positive, secondo gli ultimi dati comunicati dalla ministra Marta Cartabia).
In fase di attuazione della norma, però, il nuovo Guardasigilli Carlo Nordio ha specificato che nel fascicolo devono confluire non tutti i provvedimenti ma solo quelli “a campione”. Il Csm intende ora dare la mazzata definitiva. Nella circolare, infatti, si prevede che nel fascicolo finiscano i provvedimenti redatti dal magistrato e quelli “relativi all’esito degli affari trattati nelle fasi o nei gradi successivi del procedimento e del giudiziario”, estratti a campione nel numero di cinque per ciascuna categoria e per ciascun anno di valutazione. Insomma, il numero dei provvedimenti che costituiranno il fascicolo per la valutazione è veramente esiguo ed è destinato a consegnare una rappresentazione soltanto superficiale del lavoro svolto dal magistrato. Da questo ristrettissimo insieme di provvedimenti saranno estratte le statistiche.
A tutto ciò deve aggiungersi che, come stabilito dalla legge sull’ordinamento giudiziario del 2006, la valutazione di professionalità “non può ricordare in alcun caso l’attività di interpretazione di norme di diritto, né quella di valutazione del fatto e delle prove”. Questo significa che un pubblico ministero non può essere valutato, per esempio, per aver chiesto al termine di un processo condanne a vent’anni di reclusione nei confronti di dieci imputati, che poi però vengono tutti assolti dal giudice. In altre parole, il pm non risponde in alcun modo delle sue inchieste flop. L’ennesimo paradosso mascherato da tutela dell’indipendenza: se il gup respinge la richiesta di rinvio a giudizio, questa può essere oggetto di valutazione della professionalità. Ma una volta andati a processo, questo può naufragare senza alcuna conseguenza per il pm, anche per un numero infinito di volte. Così le valutazioni rimarranno di fatto inesistenti.