Franco Ippolito (foto dal profilo Fb Fondazione Basso)

editoriali

Le ragioni dei silenzi di Magistratura democratica sulla Trattativa

Ippolito, fondatore delle “toghe rosse”, invita a un’autocritica. Ma serve di più

In questo clima di  conflitto tra governo e magistrati, il 60° anniversario è stato per Magistratura Democratica un’occasione per rivendicare il suo ruolo dialettico con l’attuale esecutivo. Ma durante le celebrazioni, è stato di particolare interesse l’intervento di Franco Ippolito, uno dei fondatori delle “toghe rosse”. L’ex presidente di Md ha ricordato da un lato l’importanza della libertà di critica ai provvedimenti giudiziari, uno dei princìpi fondativi di Md, perché “il potere ha un connotato sempre tendenzialmente insofferente alle critiche”. E questo, quindi, vale anche per i magistrati e il loro operato. Ma poi Ippolito, ripercorrendo passaggi storici come il caso Tortora, ha invitato Md a fare autocritica sui suoi silenzi rispetto al processo sulla Trattativa stato mafia. “Nel processo Trattativa non solo è mancata la voce critica di Md, ma addirittura sono state attorniate da gelido silenzio, quando non fatte oggetto di astiosa critica, le poche voci dissonanti”, ha detto Ippolito riferendosi, tra gli altri, a Giovanni Fiandaca e a chi aveva “sollevato preoccupazioni per le esorbitanze e derive populiste del procedimento”. Ci saranno state delle ragioni, ha detto, ma Md non ha saputo “contrastare l’offuscamento del ruolo di garanzia della giurisdizione e non ha saputo criticare i casi di soggettivismo di alcuni magistrati”.

 

Ippolito dice tanto, ma non tutto. Il silenzio di Md non è stato quello di un osservatore distratto, ma la deliberata omissione di un protagonista. Perché le figure principali del processo, che si è poi sbriciolato in Cassazione, sono tutte “toghe rosse”: sia da lato dell’accusa con Antonio Ingroia e Roberto Scarpinato, sia dal lato del Gup con Piergiorgio Morosini che ha deciso i rinvii a giudizio. Md non ha voluto o potuto dire nulla sulle esorbitanze e sulle storture della “Trattativa”, perché quel processo è il prodotto più emblematico della cultura giuridica e dell’azione della corrente della sinistra giudiziaria. Più precisamente, della sua sottocorrente giustizialista. Va bene l’autocritica, ma forse serve una riflessione più profonda.