La bozza del ministero
Nordio pensa a un negoziatore per contenere le sommosse carcerarie
Dentro le carceri italiane potrebbe arrivare una figura specializzata per sedare e prevenire l'esplosione di rivolte. Un ruolo ancora tutto da costruire, ma che per alcune associazioni a tutela dei diritti è "espressione di una concezione autoritaria e militare"
Si chiama negoziatore penitenziario la nuova figura che il ministero della Giustizia vorrebbe introdurre negli istituti penitenziari italiani per tentare di sedare le rivolte e prevenire lo scoppio di tensioni fra detenuti e forze di polizia. Nella bozza di un apposito decreto ministeriale pubblicata all’inizio di novembre, si parla di un ruolo altamente specializzato capace di intervenire nei casi di più speciale complessità “attuando le tecniche operative idonee rispetto al livello di rischio dello scenario”, mirate a una "gestione non conflittuale della situazione". Nel dettaglio, la presenza di un negoziatore punta a “favorire la de-escalation emotiva dei soggetti coinvolti, il contenimento della minaccia, prendere tempo, salvaguardare la tutela dell’incolumità dei presenti” e, nei casi più gravi, gettare le basi “per la resa del soggetto e l’eventuale rilascio di ostaggi”.
Il ministero delinea due gradi di specializzazione, a seconda delle qualifiche attribuite. A un negoziatore di primo livello che interviene direttamente sul campo nelle situazioni di crisi, se ne affianca uno di secondo livello qualificato come istruttore. Il quale “svolge attività di docenza e concorre all’organizzazione delle attività formative di base e di aggiornamento” sia per il negoziatore di grado inferiore che per il resto del personale penitenziario, fornendo il suo supporto anche nei casi di eccezionale gravità. La bozza definisce poi la struttura gerarchica in cui si incardina questo speciale mediatore, che opera all’interno di unità preesistenti come il gruppo operativo mobile, il nucleo investigativo centrale e il gruppo di intervento operativo.
Potranno diventare negoziatori solo gli ispettori e i sovrintendenti della polizia penitenziaria. I quali, per candidarsi alla apposita selezione, dovranno possedere un’anzianità di servizio di almeno 5 anni, insieme all’assenza di patologie che arrechino pregiudizio al servizio operativo, e assenza di procedimenti penali in corso o sentenze di condanna. Superata questa fase prenderà il via un corso di specializzazione di almeno tre settimane in un istituto di istruzione designato dall’amministrazione, a cui seguirà un periodo di prova di almeno un anno. Dopo di che, il negoziatore avrà l’obbligo di “permanere nelle funzioni della qualifica per almeno quattro anni”, in modo da assicurare la continuità del servizio.
“L'idea che un detenuto con problemi psichiatrici o un ragazzino che proviene da un contesto disagiato, dopo aver avuto un momento di difficoltà invece di finire in una cella di isolamento trovi una persona esperta e formata capace di parlargli e usare tecniche di de-escalation mi sembra un'idea assolutamente condivisibile", dice al Foglio Susanna Marietti, coordinatrice nazionale dell'associazione Antigone, attiva da anni a tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale e penitenziario. Tuttavia, "questa formazione dovrebbe essere data a tutte le figure, all'educatore allo psicologo al medico e ai poliziotti penitenziari e agli amministrativi. Se scegliamo di creare una figura specifica è un po' bizzarro che si scelga fra le figure più custodiali che ci sono, ossia i poliziotti del gruppo operativo mobile", prosegue "ma questa è solo una prima impressione, perché si sa ancora troppo poco”.
L'introduzione di una figura di questo tipo può sembrare apparentemente in contrasto con gli interventi panpenalistici portati avanti dal governo Meloni, che sin dal suo insediamento ha introdotto 48 nuovi reati e svariati aumenti di pena. Invece, dice Marietti, "potrebbe essere del tutto coerente con la loro cultura securitaria". Perché, spiega, "se penso che tutti i problemi del mondo si risolvono mettendo la gente in galera, per evitare l'esplosione di rivolte poi devo assumere persone che sappiano mediare e risolvere conflitti interni con queste tecniche".
L'arrivo di un negoziatore è bocciato con più decisione da Nessuno tocchi Caino, ong italiana impegnata contro la pena di morte e le condizioni estreme di carcerazione. "Trasmette l'idea di una non comprensione di quelle che sono le dinamiche della comunità penitenziaria" commenta la co fondatrice Elisabetta Zamparutti. Secondo cui, in un momento di conflittualità interna al carcere, dovrebbero essere piuttosto “i direttori e gli educatori a cercare di placare la tensione", ossia "tutte quelle persone di prossimità che quotidianamente sono in contatto con i detenuti, conoscono i loro problemi e sanno come trattarli", e non un agente della polizia penitenziaria. La creazione di una figura mediatrice è quindi "l'espressione di una concezione autoritaria e militare, di un intervento esterno per salvare la comunità in difficoltà" continua Zamparutti: "Sembra di assistere a un film, quando dopo un sequestro o rapina in banca e arriva il negoziatore insieme alla polizia. Ma la realtà è un'altra".
La misura fa il paio con un altro strumento nato per gestire il fenomeno delle rivolte carcerarie. Introdotto tramite il decreto ministeriale del 14 maggio 2024, il Gruppo di intervento operativo (Gio) è una squadra di oltre 200 unità addestrate per contenere in poco tempo le sommosse nei penitenziari e ripristinare le condizioni di sicurezza nelle carceri italiane. Dovrebbe entrare in funzione già entro la fine dell'anno, con vari distaccamenti regionali. "Anche questo è espressione di una visione militaresca, con un corpo di agenti addestrati per reprimere la rivolta, a cui si aggiunge ora anche un negoziatore" prosegue Zamparutti, che ritiene l'insieme di tutte queste misure rientrante nel medesimo impianto concettuale "improntato al rapporto di forza, quando invece nelle carceri andrebbe costruita la forza dei rapporti".