le motivazioni
Il vero scandalo Consip è l'inchiesta: indagati assolti, investigatori condannati
Il tribunale di Roma assolve otto imputati, tra cui Tiziano Renzi e Luca Lotti, da ogni accusa, mentre condanna il Carabiniere Scafarto per aver diffuso notizie coperte da segreto ai giornali e il suo superiore Sessa per non aver denunciato il fatto
“Il corso delle indagini sulla centrale Consip fu straordinariamente accompagnato da continue divulgazioni illecite e non consentite delle attività in corso a favore di un ampio spettro di organi di informazione… Non si è trattato della diffusione di generiche e sommarie notizie, pure coperte dal segreto, bensì di una sistematica, gravissima pubblicazione di interi verbali autentici e integrali dichiarazioni raccolte durante l’indagine stessa e della diffusione di intercettazioni, evidentemente ancora riservate”. Responsabile di questa diffusione di notizie segrete fu il maggiore dei Carabinieri Giampaolo Scafarto. Era nata come un’inchiesta sulla presunta manipolazione di un appalto Consip da 2,7 miliardi di euro e sulle violazioni di segreto commesse nel corso dell’inchiesta in favore degli indagati da personaggi di primo piano (come Tullio Del Sette, comandante generale dei Carabinieri, Luca Lotti, allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, e Tiziano Renzi, padre dell’allora premier). E’ finita con la condanna degli investigatori, loro sì ritenuti colpevoli di fughe di notizie in favore di giornalisti e colleghi amici o di averne omesso la denuncia.
Sono state depositate le motivazioni con cui lo scorso marzo, dopo oltre sette anni, il tribunale di Roma ha assolto Renzi, Lotti e gli altri sei imputati nel maxi processo Consip: l’ex parlamentare Italo Bocchino, il comandante dei Carabinieri della legione Toscana Emanuele Saltalamacchia, gli imprenditori Alfredo Romeo e Carlo Russo, Filippo Vannoni e Stefano Pandimiglio (Del Sette è stato assolto in un processo-stralcio). La procura di Roma – a cui erano stati trasmessi gli atti dell’indagine avviata a Napoli – contestava a vario titolo i reati di millantato credito, traffico d’influenze, tentata estorsione, favoreggiamento, falso e rilevazione di segreto. Le accuse contro Tiziano Renzi (traffico di influenze) e Luca Lotti (rivelazione di segreto), che hanno alimentato anni di gogna mediatico-giudiziaria, sono naufragate in giudizio.
A essere condannati, invece, sono stati due investigatori: Giampaolo Scafarto (un anno e sei mesi), il maggiore dei Carabinieri che aveva condotto l’inchiesta sotto la supervisione del pm napoletano Henry John Woodcock, e il colonnello dei Carabinieri Alessandro Sessa (tre mesi). L’indagine condotta da Woodcock fu infatti caratterizzata sin dal principio dalla continua pubblicazione su alcuni quotidiani (in particolare il Fatto e la Verità) di notizie coperte da segreto.
I giudici di Roma hanno accertato che il responsabile di queste fughe di notizie fu proprio il maggiore Scafarto: “Lo strettissimo rapporto documentato con i giornalisti più attivi (Marco Lillo e Giacomo Amadori) i quali, sulla base di alcune chat recuperate, hanno provveduto a pubblicazioni minute e dettagliate di precise notizie di indagini subito dopo aver contattato Scafarto e la circostanza che tutte, sino alla clamorosa diffusione dell’intera informativa, provengano dalle attività dirette e coordinate dall’imputato, blindano la prova di colpevolezza in suo danno”, evidenzia il tribunale di Roma. I giudici ricordano anche che l’articolo 114 del codice di procedura penale vieta la pubblicazione degli atti coperti da segreto, ma evidentemente il superamento dei termini di prescrizione ha impedito loro di disporre la trasmissione degli atti alla procura per le valutazioni del caso nei confronti dei giornalisti coinvolti.
La condanna di Scafarto a un anno e sei mesi per rivelazione di segreto riguarda anche la trasmissione di alcuni atti coperti da segreto ad alcuni amici militari che lavoravano nei servizi segreti dell’Aise. L’ufficiale dei Carabinieri è invece stato assolto dall’accusa di falso. La procura ipotizzava che Scafarto avesse manipolato un’intercettazione per incastrare Tiziano Renzi e coinvolto nell’inchiesta un agente dei servizi in realtà estraneo alla vicenda. Per i giudici Scafarto ha commesso questi atti, ma hanno ritenuto assente l’elemento soggettivo del reato. Il colonnello Sessa, superiore di Scafarto, è invece stato condannato a tre mesi per omissione di denuncia: pur avendo saputo dal suo sottoposto che era stato lui a fornire notizie coperte da segreto ai giornali non denunciò il fatto.
Quanto a Tiziano Renzi, per i giudici “non vi è alcuna prova che abbia svolto attività di mediazione, in particolare illecita, verso Luigi Marroni (all’epoca amministratore delegato di Consip) e a favore e protezione delle aziende dell’imprenditore napoletano Alfredo Romeo”. E’ crollata anche l’accusa rivolta a Lotti di aver riferito a Marroni dell’indagine in corso su Consip: “La rivelazione non è avvenuta in violazione dei doveri connessi alla funzione del Lotti, ovvero utilizzando in modo distorto i poteri o le prerogative derivanti dalla stessa”.
Alla fine, come avvenuto nel caso Eni-Nigeria, l’unico vero scandalo riguarda le modalità con cui è stata condotta l’inchiesta.