pazza giustizia
Può una procura dire il falso al ministro della Giustizia? Sì. Il caso di Torino
Il Guardasigilli Nordio ha chiesto chiarimenti ai pm torinesi sulla mancata distruzione delle intercettazioni illegittime compiute nei confronti dell'ex senatore Esposito. La risposta è piena di contraddizioni e fake news. A quando una seria ispezione?
Può una procura della Repubblica dire il falso al ministro della Giustizia, in replica a una richiesta di chiarimento di carattere ispettivo? A quanto pare sì. E’ quello che ha fatto la procura di Torino nelle scorse settimane, attorno all’ennesimo capitolo della vicenda che ha coinvolto l’ex senatore Stefano Esposito, illegalmente intercettato per tre anni 500 volte dalla procura torinese mentre era in carica, senza autorizzazione del Parlamento. La condotta della procura, in particolare del pm titolare dell’inchiesta Gianfranco Colace (che chiese e ottenne il rinvio a giudizio per Esposito portando a sostegno delle accuse 130 delle 500 intercettazioni), è stata severamente censurata nel dicembre 2023 dalla Corte costituzionale, che ha dichiarato le captazioni illegittime. Colace è anche finito sotto procedimento disciplinare al Csm. Lo scorso 4 settembre su queste pagine avevamo rivelato una duplice notizia: a distanza di nove mesi dalla pronuncia della Consulta, le intercettazioni illegali compiute nei confronti di Esposito non solo non erano ancora state distrutte (come prevede la legge), ma erano state in gran parte depositate come fonti di prova dai pm Colace e Giovanni Caspani all’interno di un altro fascicolo di indagine che – in maniera ancora più incredibile – non riguarda né Esposito né l’imprenditore con cui era stato indagato, Giulio Muttoni. Sulla base del nostro articolo, il senatore Ivan Scalfarotto (Italia viva) ha interrogato il Guardasigilli Carlo Nordio per sapere se fosse a conoscenza dei fatti e per accertare eventuali responsabilità disciplinari o penali connesse alla mancata distruzione delle intercettazioni e al loro utilizzo in altri procedimenti. La risposta scritta del ministro Nordio è arrivata nei giorni scorsi.
Dalla lettura si scopre che il ministro, anziché inviare un ispettore alla procura di Torino, ha soltanto chiesto a quest’ultima una “dettagliata relazione”, riportandone poi pedissequamente il contenuto nella risposta al senatore Scalfarotto. Peccato che nella sua relazione la procura di Torino sia caduta in evidente contraddizione e si sia persino spinta a sostenere il falso.
La procura afferma due cose. Primo: non ha potuto adempiere alla sentenza della Consulta, chiedendo la distruzione delle intercettazioni di Esposito, prima del 13 settembre perché le captazioni erano state trasmesse alla procura di Roma, alla quale il procedimento era stato trasferito dalla Cassazione per competenza territoriale. La situazione – sostengono i pm – sarebbe cambiata il 6 settembre, quando la procura della Capitale ha ritrasmesso il procedimento a Torino per le posizioni di altri imputati. Uno scaricabarile che non regge: non solo perché gli atti tornati a Torino non riguardano minimamente Esposito, ma perché alla procura di Roma erano state trasmesse le trascrizioni delle intercettazioni, non le fonie, cioè le registrazioni vere e proprie, che sono sempre restate custodite al tribunale di Torino. I pm torinesi, quindi, avrebbero potuto – anzi – dovuto chiedere la distruzione delle intercettazioni che coinvolgevano Esposito ben prima del 13 settembre (anche perché non spettava certo ai colleghi romani farlo).
Secondo: “Non risponde al vero, poi, che le conversazioni in esame siano state utilizzate e depositate come fonti di prova in altro procedimento”, scrive la procura di Torino nella sua relazione, aggiungendo che “la richiesta di rinvio a giudizio emessa in data 7 giugno 2024 non indica tra le fonti di prova neppure una delle conversazioni telefoniche dell’ex senatore Esposito”. In realtà, come verificato dal Foglio, una parte delle informative e delle trascrizioni delle intercettazioni intercorse tra Esposito e Muttoni (circa 60) è stata depositata dalla procura di Torino tra gli atti dell’altra indagine, nel faldone numero 13 per essere precisi. Ovviamente nella richiesta di rinvio a giudizio i pm torinesi non definiscono queste intercettazioni come “rilevanti” (e come avrebbero potuto, non essendo indagati né Esposito né Muttoni?), eppure sono state comunque allegate agli atti di indagine, finendo così per essere messe nella disponibilità di decine di indagati e dei loro difensori, in violazione della legge.
Non sfuggirà infine al lettore la contraddizione più grande: come ha fatto la procura di Torino a depositare a giugno queste intercettazioni in un altro procedimento se, in seguito alla sentenza della Cassazione del 2023, le captazioni erano intanto state trasmesse a Roma per competenza territoriale? L’unica spiegazione possibile al momento è che la procura di Torino, violando le indicazioni della Cassazione, abbia trasmesso le intercettazioni di Esposito a Roma trattenendone copia, depositandole tra gli atti di un’altra indagine.
Cos’altro serve a Nordio per decidere finalmente di mandare un ispettore alla procura di Torino?