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Imputati assolti e opere ferme: il disastro del processo sul porto di Brindisi
Confermata in appello l’assoluzione di Ugo Patroni Griffi, ex presidente dell’Autorità portuale del Mar Adriatico Meridionale, e di altri sette imputati. Per i giudici, il pm Casto anziché un processo ha portato avanti "un'attività persecutoria"
La corte d’appello di Lecce ha confermato l’assoluzione di Ugo Patroni Griffi, fino allo scorso giugno presidente dell’Autorità portuale del Mar Adriatico Meridionale, e di altri sette imputati, tutti tecnici dell’ente o del comune, che erano stati accusati di irregolarità in procedure relative a lavori all’interno dell’area del porto di Brindisi. A febbraio tutti gli imputati erano stati assolti in primo grado, a distanza di sei anni dai fatti, ma il pubblico ministero, Raffaele Casto, non si era dato per vinto e aveva impugnato la sentenza, chiedendo condanne fino a sei anni di reclusione. Tesi respinta pure dai colleghi della procura generale, che in appello hanno chiesto l’assoluzione per tutti gli imputati. La sentenza, che a questo punto diventerà definitiva, ha spazzato via ogni dubbio, assolvendo tutti. “Ho difeso il diritto del Meridione di svilupparsi e ne ho pagato un prezzo altissimo”, dice Patroni Griffi al Foglio. “Tutte le contestazioni riguardano opere pubbliche, di cui il Meridione ha fame. In alcune parti d’Italia c’è purtroppo un humus contrario alle opere pubbliche: nella mente di qualcuno, realizzarle integra di per sé un reato. Ho subito una persecuzione solo perché volevo infrastrutturare il porto di una città, Brindisi, di cui non sono neanche cittadino”.
“E’ stata una vera e propria crociata contro il porto – prosegue – L’inchiesta ha fatto scattare nei funzionari pubblici la classica burocrazia difensiva: alcune opere sono state rallentate per anni e si sono persi finanziamenti per decine di milioni di euro. Io a causa di questa vicenda mi sono rovinato la salute e ho pagato 150 mila euro di spese legali. Sono vicende che ti segnano”.
Le motivazioni della sentenza di primo grado, oltre a bocciare clamorosamente l’impianto accusatorio del pm Casto, avevano criticato il metodo con cui quest’ultimo aveva condotto le indagini. Il gup ha rintracciato nell’attività di Casto “un atteggiamento pregiudizialmente accusatorio, autoreferenziale e privo di qualunque considerazione dell’interpretazione emersa sia dai precedenti giurisprudenziali in materia che, addirittura, sulla specifica questione”. In questo modo il pm aveva trasformato l’esercizio dell’azione penale “in un’attività persecutoria e non di affermazione della legalità”.
Il gup, infatti, ha sottolineato che “in questo processo, non solo sono state ‘scelte’ persone da non imputare per gli stessi fatti addebitati ad altri, ma si è costruita un’accusa portando avanti, in modo ossessivo, una tesi giuridica sconfessata dai giudici amministrativi e, perfino, alterando la struttura di alcune imputazioni”. Tanto per fare un esempio, pur di addebitare a Ugo Patroni Griffi i presunti illeciti urbanistici compiuti negli anni precedenti alla sua presidenza, il pm era giunto a valorizzare la data del collaudo dell’opera, spostando così in avanti la data dei presunti reati, quando è notorio che il collaudo è irrilevante per la consumazione del reato (che cessa con l’ultimazione dei lavori).
Insomma, pur di affermare la propria tesi accusatoria a danno di specifici indagati, il pm Casto è arrivato a contorcere le imputazioni e il significato stesso delle prove raccolte. Chissà se il Consiglio superiore della magistratura deciderà di valutare la vicenda. Nell’attesa, possiamo rivelare che non si tratterebbe della prima volta: nel settembre 1997 infatti Raffaele Casto, all’epoca pm alla procura di Sala Consilina, venne punito sul piano disciplinare dal Csm con la sanzione dell’ammonimento per aver esercitato, nel corso di un’indagine, indebite pressioni su numerose persone informate sui fatti, allo scopo di indurli a rendere dichiarazioni utili ai fini accusatori.
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