la lettera
Sala spiega il caso battezzato con “l'orrido nome” di Salva Milano
L’urbanistica, il metodo per crescere e le inchieste: cosa serve. Il sindaco Sala ci scrive
Al direttore - Vorrei spiegare la questione relativa ai procedimenti in ambito edilizio-urbanistico e al dibattito che viene etichettato con l’orrido nome di “Salva Milano”. In premessa dico subito che Milano non ha bisogno di essere salvata, ma ha bisogno di poter agire in un ambito normativo chiaro (oggi non lo è per nulla).
Ma andiamo nel merito. Da oltre dieci anni, cioè dai tempi della Giunta Pisapia, il Comune di Milano, in linea con indirizzi statali e regionali, ha attuato una politica urbanistica diretta a limitare il consumo di suolo non edificato e a promuovere il recupero degli edifici degradati esistenti. Lo si è fatto, in sostanza, attraverso la demolizione degli edifici inutilizzati, la bonifica dei terreni e la ricostruzione di edifici ad alta efficienza energetica con destinazione residenziale o terziaria. Demolizioni e bonifiche costano normalmente molto, per cui il legislatore statale e quello regionale lombardo hanno ampliato la nozione di ristrutturazione edilizia introducendo misure di semplificazione e incentivazione.
Nel passato a volte gli interventi sono stati oggetto di impugnazioni da parte di terzi controinteressati, ma il giudice amministrativo non ha mai (e sottolineo, mai) censurato la prassi interpretativa e applicativa seguita dal Comune di Milano. Non trovando accoglimento presso il giudice amministrativo, l’opposizione di terzi si è tradotta negli ultimi due anni in esposti alla Procura di Milano che ha avviato indagini su svariati interventi di ristrutturazione. In particolare, allo stato risultano acquisite dalla Procura pratiche che riguardano 30 interventi edilizi. Quali sono le principali questioni di diritto sollevate dalla Procura?
Innanzitutto, secondo la Procura, l’intervento edilizio si può qualificare di ristrutturazione solo se sussiste una continuità “strutturale o funzionale” tra l’edificio demolito e quello ricostruito, mentre si deve qualificare di nuova costruzione se l’edificio realizzato non conserva alcuna traccia del preesistente. Secondo gli uffici comunali, invece, la norma non prescrive la conservazione di tracce dell’edificio preesistente.
Più concretamente, per capirci:
- C’è un fabbricato industriale abbandonato, con suolo quindi già consumato e spesso inquinato, tendenzialmente con una struttura in orizzontale.
- Qualcuno lo compera e chiede di demolirlo, bonificare il terreno e poi di realizzare residenze, normalmente in verticale. Senza avere volumi diversi da quelli preesistenti, nel senso che cambia la forma dell’edificio ma la superficie abitabile rimane la stessa.
- Il Comune autorizza, in particolare perché alla fine il suolo occupato è inferiore al passato. E perché se non lo autorizzassimo, quello sviluppatore comprerebbe un’altra area per costruirci le residenze, con il risultato che avremmo una nuova area edificata e, al contempo, rimarrebbe un vecchio fabbricato abbandonato e che consuma suolo.
Andando avanti, secondo la Procura, il piano attuativo è sempre prescritto se l’intervento porta alla realizzazione di un edificio di altezza superiore a 25 metri. Gli uffici comunali, invece, rifacendosi a un chiaro orientamento giurisprudenziale e a circolari interpretative ministeriali, ritengono che il piano attuativo non occorra quando il disegno urbanistico della zona sia già definito. Di nuovo, per capirci, i comuni si devono dotare di un Piano di governo del territorio (Pgt), che è una regolamentazione molto complessa che richiede un anno di lavoro per l’approvazione in Consiglio comunale. Se quindi il Pgt regola le linee generali, a Milano procediamo attraverso l’uso della Segnalazione certificata di inizio attività (Scia), accompagnata da atto d’obbligo del costruttore e, comunque, da provvedimento di approvazione del Comune.
Infine, un’ultima contestazione della Procura è relativa all’assolvimento dell’obbligo di cessione dello standard urbanistico mediante ricorso alla monetizzazione e alla corretta quantificazione dello stesso. Cosa vuol dire? Che quando c’è una nuova costruzione il proponente deve cedere o asservire al Comune una porzione dell’area di intervento da destinare a “standard urbanistico”, ma la legge consente anche di monetizzare per il Comune. Quindi in alcuni casi il Comune, invece di farsi dare un’area piccola o magari non ritenuta utile, si è fatto dare soldi, ovviamente poi impiegati per le politiche comunali. Abbiamo sbagliato? Noi riteniamo di no, la Procura di sì.
Faccio notare che, quanto all’ipotesi accusatoria della Procura, essa non riguarda reati di corruzione o di concussione.
Dal punto di vista economico, l’ovvia conseguenza è che nel 2024 l’attività edilizia nella città di Milano ha subito un fortissimo rallentamento, con una drastica diminuzione degli introiti per il Comune per circa 140 milioni di euro rispetto allo stesso periodo del 2023. Ulteriori criticità si segnalano da parte delle imprese di costruzione per l’impossibilità di portare a termine operazioni immobiliari che hanno comportato una forte esposizione debitoria, il fermo di cantiere e il conseguente rischio di insolvenza. Ance Lombardia stima, in relazione ai cantieri potenzialmente a rischio di sospensione, la perdita di lavoro per circa 3.000 lavoratori.
E’ da registrare da ultimo la situazione molto critica di alcune centinaia di famiglie acquirenti degli edifici in costruzione, che si trovano nell’impossibilità di concludere l’acquisto delle unità immobiliari e di entrare nella disponibilità delle stesse: le famiglie che non possono entrare nelle loro nuove case sono già oggi più di 500.
Per tutte queste ragioni è necessario che Parlamento e governo facciano chiarezza sulla materia. In un paese in cui le procedure amministrative pubbliche sono lentissime, in cui la burocrazia soffoca l’iniziativa pubblica e privata, a Milano, da prima ancora che diventassi sindaco io, abbiamo adottato formule che permettessero di sveltire i procedimenti. Lo abbiamo fatto per più di un decennio, senza che nessuno (un politico, un urbanista, un architetto, un giudice) contestasse il nostro operato.
Ora siamo agli appelli pubblici…
Beppe Sala, sindaco di Milano