l'allarme

Sos procure: “A causa del codice rosso rischiamo la paralisi”

Ermes Antonucci

Le procure di tutta Italia sono inondate di procedimenti per presunte violenze domestiche e di genere, tanto da dover istituire gruppi specializzati che in alcuni casi coinvolgono più della metà dei magistrati in servizio presso l’ufficio

E’ allarme rosso per il “codice rosso”: le procure di tutta Italia sono inondate di procedimenti per presunte violenze, atti persecutori e maltrattamenti, tanto da dover istituire gruppi specializzati che in alcuni casi coinvolgono più della metà dei magistrati in servizio presso l’ufficio. Neanche si fosse di fronte a un’emergenza nazionale. A confermare le tante difficoltà sono al Foglio diversi dirigenti di uffici requirenti di grande, media e piccola dimensione, sparsi per il territorio italiano. Ad aggravare la situazione è stata la riforma approvata dal Parlamento nel novembre 2023, che ha modificato la legge originaria sul “codice rosso” del 2019. “La riforma ha introdotto una serie di adempimenti, non solo procedurali ma anche burocratici, molto gravosi per il funzionamento dell’ufficio. Il tutto senza stanziare maggiori risorse economiche e di personale, soprattutto amministrativo. Il sacrificio che queste disposizioni richiedono in termini di energia e tempo non vale il risultato che perseguono”, dichiara al Foglio il dirigente di un’importante procura del nord. 

 

La legge n. 69 del 2019, oltre a prevedere un massiccio inasprimento delle pene, ha introdotto una corsia preferenziale per le denunce e le indagini riguardanti casi di violenza domestica e di genere: dopo l’iscrizione della notizia di reato, i pubblici ministeri entro tre giorni devono assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato. La riforma del 2023 ha previsto tre novità fondamentali. La prima: qualora il magistrato designato per le indagini preliminari non rispetti il termine dei tre giorni, il procuratore può revocargli l’assegnazione del procedimento e provvedere ad assumere, senza ritardo, le informazioni che sono state omesse, direttamente o mediante assegnazione del procedimento a un altro magistrato. La seconda: entro 30 giorni dall’iscrizione dell’autore del reato nel registro delle notizie di reato, il pm deve richiedere l’applicazione delle misure cautelari. La terza novità: ogni tre mesi le procure devono trasmettere alle procure generali presso le Corti d’appello i dati sul rispetto del termine dei tre giorni. 

 

Di fronte all’introduzione di questi obblighi e scadenze, e a quello che viene definito un “aumento esponenziale” del numero di denunce per violenze domestiche e di genere, le procure sono state costrette a reagire assegnando il maggior numero di magistrati che hanno a disposizione ai gruppi specializzati nella trattazione di questi reati. In tutte le procure ormai i “pool” più corposi sono proprio quelli dedicati al contrasto alla violenza domestica e di genere. In alcune piccole procure si arriva persino a vedere, su dieci magistrati totali, sei pm assegnati al pool del codice rosso.

 

Uffici di piccole dimensioni si ritrovano a gestire ogni anno circa 1.200-1.400 procedimenti noti per reati di codice rosso su un totale di circa 8.000-9.000. Numeri impressionanti, che diventano ancora più gravi nelle procure più grandi. Alla procura di Milano, ad esempio, arrivano fino a 30 denunce al giorno per reati da codice rosso.  

 

“E’ evidente che l’introduzione di tutta questa serie di adempimenti costringe le procure a sottrarre i propri magistrati alla trattazione di altri reati”, sottolinea un procuratore, che attacca: “Siamo di fronte all’ennesima riforma a costo zero. Ci sono uffici in cui manca il 50 per cento del personale amministrativo, eppure il legislatore continua a introdurre adempimenti che impegnano sempre di più l’attività degli uffici”. 

 

Il paradosso, notato da un altro dirigente di procura, è che intanto “i numeri sull’andamento dei reati introdotti dal codice rosso risultano stabili se non addirittura in aumento”: “I dati confermano che il problema non è giudiziario. Non è il tribunale la sede in cui risolvere il fenomeno della violenza domestica e di genere, che ha purtroppo origini culturali e sociali”. 
 

  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]