caos giustizia
Dal codice rosso all'immigrazione: quando il populismo penale fa disastri
Nonostante il calo delle violenze domestiche e di genere, il Parlamento ha riformato la materia con adempimenti che stanno intasando il lavoro delle procure. Stesso copione populista in tema di migranti, con le Corti d'appello che rischiano la paralisi
Nel primo semestre del 2024, rispetto allo stesso semestre dell’anno precedente, si è registrata una diminuzione del numero di omicidi con vittime di genere femminile (da 62 a 49, -21 per cento), del numero di donne uccise in ambito famigliare-affettivo (da 53 a 44, -17 per cento), e del numero di donne uccise da partner o ex partner (da 32 a 24, -25 per cento). Nello stesso periodo si è registrato anche un calo degli atti persecutori (-8 per cento) e delle violenze sessuali (-2 per cento). E’ quanto emerge dagli ultimi dati disponibili sulla violenza domestica e la violenza di genere, elaborati lo scorso luglio dal ministero dell’Interno. Questi numeri rendono ancora più incomprensibile la decisione del Parlamento di approvare, nel novembre 2023, la riforma del cosiddetto “codice rosso”, che ha introdotto una serie di adempimenti procedurali e burocratici così gravosi che, come abbiamo raccontato ieri su queste pagine riportando le parole di diversi procuratori, stanno intasando il lavoro delle procure di tutta Italia.
La riforma, come è evidente, è l’ennesimo risultato del dilagante populismo penale, che induce i partiti a reagire a fenomeni criminali che ricevono grande enfasi mediatica con l’approvazione di provvedimenti forcaioli (introduzione di nuovi reati o aumento delle pene) o di leggi che danno all’opinione pubblica l’apparenza di un intervento riformatore, ma che in realtà si rivelano persino dannose per il lavoro degli uffici giudiziari. Soprattutto se adottate a costo zero, cioè senza stanziare maggiori risorse per la magistratura. E’ questo il caso della riforma del codice rosso, ma non solo.
Un’altra riforma che si preannuncia impattante per il lavoro degli uffici giudiziari è quella prevista dal decreto legge n. 145 approvato lo scorso novembre dal governo, che prevede l’attribuzione alle Corti d’appello della competenza per i provvedimenti di convalida in materia di immigrazione e richieste di asilo. La riforma nasce dalle polemiche sorte fra il governo e la magistratura in seguito alla mancata convalida da parte di alcuni tribunali del trattenimento dei migranti nei centri albanesi. Nella prospettiva del governo (e del messaggio che si intende far passare all’opinione pubblica), l’attribuzione di questa materia non a un singolo giudice di tribunale, ma a un collegio di Corte d’appello porterebbe a un maggior numero di sentenze sfavorevoli ai migranti, e dunque più in linea con gli obiettivi governativi.
Eppure, come evidenziato in una lettera inviata alle massime istituzioni del paese (ma ignorata) dai presidenti delle 26 Corti d’appello (dunque non dalle pericolose “toghe rosse”), la riforma appare “un disastro annunciato”. L’attribuzione alle Corti d’appello della competenza in materia di immigrazione è stata prevista infatti “in via di urgenza, a organici invariati e senza risorse aggiuntive”, quando soltanto due anni fa proprio il ministero della Giustizia aveva “rafforzato le sezioni specializzate di primo grado, con incremento di organici e risorse, proprio per far fronte alle crescenti difficoltà del contenzioso in materia di asilo e di protezione internazionale”. Una riforma insensata, che “renderà irrealizzabili gli obiettivi del Pnrr e determinerà un’ulteriore recrudescenza dei tempi e dell’arretrato dei processi”.
A proposito di Pnrr, un altro intervento in materia di giustizia effettuato sull’onda del populismo, e che si è già dimostrato fallimentare, è quello che ha previsto, a partire dal primo gennaio, l’utilizzo obbligatorio di “App”, l’applicativo del processo penale telematico. Nel nome della “rivoluzione digitale” richiesta dagli obiettivi del Pnrr, il ministero della Giustizia ha stabilito l’obbligo di usare “App” senza neanche svolgere un adeguato periodo di sperimentazione. Risultato: nei primi giorni di applicazione il software ha registrato continui malfunzionamenti e blocchi, tanto da costringere i tribunali a ripristinare la carta per scrivere verbali, assumere le prove e depositare le sentenze. Nelle settimane precedenti, in una lunga relazione tecnica il Csm aveva avvertito sul rischio di “paralisi” del sistema, ma l’allarme è rimasto ignorato.