la protesta delle toghe
Il parere del Csm contro la riforma Nordio è il trionfo del pregiudizio
Il Consiglio superiore della magistratura ha approvato un parere in cui si sostiene che la separazione delle carriere porterà alla sottoposizione del pubblico ministero alla politica. Ma tutto si basa su una serie di congetture e supposizioni
Più che un parere negativo sulla riforma della separazione delle carriere, quello approvato dal Consiglio superiore della magistratura mercoledì sera (con 24 voti favorevoli, tra cui quelli di tutti i membri togati, e il voto contrario di quattro laici di estrazione di centrodestra) sembra il manifesto di un oracolo apocalittico. Ai rilievi tecnici, infatti, si sostituisce una serie di congetture e supposizioni spesso in contrasto persino con la logica. Il parere, lungo 76 pagine, sembra avere come primo obiettivo quello di confermare la tesi avanzata da mesi dall’Associazione nazionale magistrati: la separazione delle carriere porterà alla sottoposizione del pubblico ministero al governo, minando così l’indipendenza della magistratura. Questa tesi si scontra però con la realtà: la riforma costituzionale ribadisce esplicitamente i princìpi di autonomia e indipendenza della magistratura nel suo insieme.
Il nuovo articolo 104 della Costituzione, infatti, dopo la riforma reciterebbe: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente”. Il parere del Csm ammette che questa disposizione “appare, almeno sulla carta, idonea a neutralizzare, allo stato, le preoccupazioni manifestate da alcuni rispetto al rischio di un affievolimento dell’indipendenza esterna degli organi della pubblica accusa”. Subito dopo, però, entra in campo l’oracolo dell’apocalisse: “Appare evidente come la garanzia dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura requirente non possa ritenersi soddisfatta dalla (mera) affermazione – sia pure a livello costituzionale – dell’appartenenza di essa all’ordine giudiziario, ma richieda (anche) la predisposizione di presidi ulteriori, quali, appunto, il principio della dipendenza funzionale della polizia giudiziaria dal pubblico ministero e del divieto di interferenza di altri poteri nella conduzione delle indagini e il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale”.
Conclusione: “La circostanza che il disegno riformatore lasci formalmente intatti i presidi suddetti, mantenendo al contempo ferma la presenza di un Consiglio superiore composto anche (ed in maggioranza) da magistrati, non elimina totalmente il rischio che, nel concreto sviluppo della dinamica ordinamentale, si possa determinare un affievolimento dell’indipendenza del pubblico ministero rispetto agli altri poteri dello stato”.
Insomma, la riforma costituzionale rischia di portare il pm sotto il controllo del governo. Si è di fronte a un giudizio critico rispetto a una circostanza non reale, ma che si suppone potrà verificarsi in futuro. Ma compito del Csm sarebbe quello di esprimere pareri tecnici, non lanciare allarmi basati su ipotetici scenari futuri, che non si sa da chi dovrebbero essere realizzati, vista l’esplicita intenzione del governo di non mettere in discussione l’autonomia del pubblico ministero.
Il parere approvato dal Csm risulta ancora più illogico nella parte in cui afferma che la riforma “non sembra trovare riscontro nella giurisprudenza costituzionale”, e questo perché la Corte costituzionale nelle sue sentenze non ha mai parlato di “necessità” di una separazione delle carriere per rendere effettivo il principio del giusto processo. Ma dire che una riforma non è “necessaria” sul piano costituzionale, non significa che questa non possa essere ritenuta opportuna dal legislatore.
Non a caso, poche righe più in là, il parere del Csm parla ora di una riforma ritenuta di “stringente opportunità” dal governo. Ma anche questo non va bene: impostare la separazione delle carriere in questi termini “rischia di veicolare l’idea per cui la magistratura giudicante presenta, oggi, deficit di terzietà e di imparzialità: un’idea che, tuttavia, non sembra trovare riscontro nell’esperienza concreta, sol che si pensi che, come da più parti osservato, in più del 40 per cento dei casi le decisioni giudiziarie non confermano l’ipotesi formulata dalla pubblica accusa con l’esercizio dell’azione penale”.
Anche in questo caso il Csm mostra di preoccuparsi dell’“idea” che la riforma potrebbe far passare al pubblico, anziché del suo contenuto. Il dato sulle assoluzioni risulta poi non pertinente: l’obiettivo della riforma, come più volte ribadito dal ministro Carlo Nordio, è conformare la struttura della magistratura al processo accusatorio introdotto nel 1989. Il dato piuttosto dovrebbero indurre il Csm a chiedersi se sia normale che quasi un imputato su due, alla fine di processi lunghissimi, risulti innocente.