dopo la decisione di nordio
La politica dello scambio di detenuti può non piacere ma in certi casi è una dura necessità
Dopo Cecilia Sala, è arrivata la liberazione anche per l'ingegnere iraniano Abedini. C'è chi si scandalizza per lo "scambio", ma quando è in gioco la libertà e la vita di una connazionale bisogna scendere dal cielo dei princìpi al terreno della realtà fattuale
La liberazione di Cecilia Sala ha comportato un prezzo, la liberazione di Mohammad Abedini, arrestato su mandato del governo americano che ne chiedeva l’estradizione, in base peraltro a una procedura non priva di falle giuridiche. Adesso c’è chi si scandalizza, o accusando il governo di debolezza nei confronti della teocrazia iraniana, o lamentando che abbia preventivamente chiesto il consenso all’America, come fa Angelo Bonelli. La politica dello scambio di detenuti (uno era un ostaggio, Sala, l’altro no) è impopolare ma è, in certi casi, una dura necessità. Basta ricordare le centinaia di detenuti palestinesi condannati per atti terroristici liberati da Israele in cambio dei suoi cittadini sequestrati da Hamas. La politica è soprattutto comprensione delle necessità e capacità di ottemperare nel modo meno dannoso possibile alle condizioni esistenti, tenendo fermo l’obiettivo principale.
Non c’è dubbio, almeno per le persone di buon senso, che l’obiettivo principale fosse la liberazione di Cecilia, tenuta in ostaggio dall’Iran: averla ottenuta senza indebolire le fondamentali relazioni con gli Stati Uniti è stato un successo indiscutibile.
Chi critica o, peggio ancora, si scandalizza avrebbe il dovere di spiegare che cosa si sarebbe dovuto fare di meglio e di diverso, ma di queste ipotesi alternative non c’è traccia. Si è trattato di un esito felice per l’Italia, gestito ovviamente da chi ha le massime responsabilità di governo e dai servizi di informazione, con la cautela e la riservatezza che la situazione imponeva. Qualcuno pensa che lo stesso risultato si sarebbe potuto ottenere solo esibendo l’ovvia condanna del regime degli Ayatollah in qualche seduta parlamentare e in qualche piazza? Oppure che fosse inutile cercare di ottenere la comprensione del governo americano quando si ostacolava una sua richiesta di estradizione? Dire che la politica dello scambio degli ostaggi non piace è una ovvietà, ma quando è in gioco la libertà e la vita di una connazionale bisogna scendere dal cielo dei princìpi al terreno della realtà fattuale. Così si è fatto e si è fatto bene, anzi molto bene.
la protesta delle toghe