Clemente Mastella (Ansa)

L'intervento

L'unico atto dovuto è un armistizio tra magistratura e politica. L'ex ministro Mastella ci scrive

Clemente Mastella

Il conflitto genera un cortocircuito: il potere giudiziario perde la sua aura di terzietà, la politica può giocare la carta della persecuzione. La lenta macchina della giustizia

"Il mondo non è una macchina, ma una rete di relazioni”, lo dice lo scienziato e filosofo viennese Fritjof Capra. La giustizia penale non può funzionare con il pilota automatico. Esistono automatismi giuridici, che in uno stato di diritto come so bene da ex ministro della Giustizia devono restare intangibili, ma se, come spiega il direttore Cerasa, diventano feticci, esondazioni, costanti, del perimetro di Montesquieu e della sua  divisione dei poteri, significa che il problema c’è e resta irrisolto. Tanto più, se un caso come quello del generale libico Almasri, da fonte d’imbarazzo politico e mediatico per il governo che rimpatria su un aereo di stato un personaggio con un pedigree terribile, sebbene la ragion di stato quasi mai combaci con l’etica, diventa, come ora è già accaduto, l’ingrediente ennesimo del minestrone, eterno e indigesto, dell’eterno conflitto tra politica e magistratura.

Ma quando finirà? Me lo chiedo, in maniera sempre più insistente, dal gennaio 2008. Quando io, la mia famiglia, la mia comunità politica fummo travolti da uno tsunami giudiziario. Proprio nel giorno in cui presentavo a Montecitorio la relazione sullo stato della giustizia. Possibile che nessuno avverta il bisogno di eradicare il sospetto, legittimato dai fatti e dalla cronaca, che esista un paradossale timer impiantato in stabile pianta nelle procure? Ho pagato in prima persona questo nodo irrisolto del sistema democratico. Francesco Cossiga l’aveva preconizzato, quando accettai l’offerta di Romano Prodi di andare a Via Arenula. Sembra quasi la via del peccato originale. Ma non può e non deve essere così. Perché questo alimenta il cortocircuito: la magistratura si espone a un conflitto che indebolisce la sua aura di terzietà, la politica è intimorita sì ma può giocare la carta della persecuzione e del complotto permanente, come intelligentemente fa la Meloni che ha già rovesciato la narrazione sul caso Almasri. Si agevola il compito della premier, abilissima a presentarsi come antitesi ai poteri forti che la perseguitano. Io attesi più di due lustri prima che la congerie di accuse rovesciata addosso a me e alla mia famiglia fosse azzerata dalle sentenze.

 

La separazione delle carriere, che non mi appassiona e a cui sono sostanzialmente contrario perché la mia vicenda  o quella recente di Open Arms dimostrano che la funzione giudicante e quella requirente sono già distinte e distanti,  non è il problema. Il problema è la lentezza della macchina-giustizia che tiene prigionieri indagati e imputati in un’eterna prigione che sa di condanna preventiva, di sofferenza emotiva e familiare, di danni reputazionali e politici. Nel caso Almasri, il procuratore ha agito, “omessa ogni indagine”, come la Costituzione prescrive. Ma intanto la frittata è fatta ed è stata scritta una puntata ulteriore della telenovela magistratura vs politica. L’atto dovuto, riflettano potere legislativo ed esecutivo, non può diventare né “ipocrisia” (per citare il direttore Cerasa), né paravento. Per fortuna il mio indice di gradimento è ancora ottimo, ma se trentamila cittadini di Benevento presentassero esposti, riceverei altrettanti avvisi? L’unico atto dovuto è scrivere l’armistizio tra magistratura e politica: come a Villafranca fecero Napoleone III e Francesco Giuseppe, ognuno ceda qualcosa per la pax.

 

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