La berlusconizzazione dei pm anti Cav., da Davigo a Di Pietro

Luciano Capone

Piercamillo, dopo la condanna definitiva, aiutato dall'avvocato del Cav., coltiva la speranza di recuperare l'innocenza perduta con un ricorso straordinario in Cassazione. Tonino difende la separazione delle carriere. Berlusconi ne sarebbe divertito

Silvio Berlusconi, da lassù, starà sghignazzando. La situazione è questa: al ministero della Giustizia c’è un ex pm, Carlo Nordio, che vuole finalmente separare le carriere dei magistrati; in Parlamento, a difendere in audizione la posizione del centrodestra sulla separazione delle carriere, ci va l’ex nemico ed ex pm Antonio Di Pietro; e un altro ex pm del pool di Mani pulite, Piercamillo Davigo, dopo una condanna definitiva continua a fare ricorsi oltre il terzo grado con il suo (suo di Berlusconi) storico avvocato Franco Coppi.

La notizia è questa. Dopo la condanna definitiva in Cassazione per rivelazione del segreto nella ormai nota vicenda dei verbali di Amara, che Davigo si era fatto consegnare da Storari e poi aveva spifferato a un sacco di gente, l’ex magistrato ha deciso di fare ricorso straordinario in Cassazione. Gli avvocati, l’ipergarantista Davide Steccanella e appunto l’ex legale del Cav. Coppi, dopo aver letto le motivazioni della sentenza definitiva di condanna hanno deciso di andare al Quarto grado, che non è la trasmissione televisiva, ma il ricorso straordinario in Cassazione.

Si tratta di un istituto abbastanza recente, che quasi mette in discussione il principio di intangibilità del giudicato, ma solo in casi eccezionali. Si può in sostanza impugnare una sentenza irrevocabile della Cassazione – come quella di Davigo – per correggere un "errore materiale o di fatto”. In sostanza, i supremi giudici devono aver preso fischi per fiaschi. I casi sono davvero eccezionali. Se si vedono i dati dell’annuario statistico della Corte di Cassazione, su 50 mila procedimenti penali totali i ricorsi straordinari sono stati appena 387 (lo 0,8%), e di questi appena 13 (circa il 3%) sono stati accolti con sentenze di annullamento (con o senza rinvio) mentre tutto il resto è stato rigettato o dichiarato inammissibile.

Insomma, le probabilità che il ricorso venga accolto sono poche, anche perché le motivazioni anticipate dai legali di Davigo – il fatto che lui dovesse suggerire al pm Storari di rivolgersi alla procura generale di Milano invece di indurlo a farsi dare i verbali secretati al di fuori di ogni procedura codificata – è stato sviscerato più volte, in tutti i gradi di giudizio, e ha prodotto tre giudizi conformi. In ogni caso è nel novero delle possibilità che gli ermellini, leggendo il ricorso straordinario del loro ex collega, ammettano di aver commesso un marchiano “errore di fatto” ed è questo l’augurio sincero per chi, dopo essere stato condannato oltre ogni ragionevole dubbio, coltiva la speranza di recuperare la propria innocenza.

Ma la speranza di noialtri garantisti è che, oltre ai giudici di Cassazione, dopo questa spiacevole vicenda, anche Davigo si ricreda sui suoi marmorei convincimenti. Perché per anni l’ex magistrato ha imperversato sui giornali e nelle televisioni spiegando ai cittadini che uno dei principali problemi della giustizia italiana è l’elevato numero di ricorsi: “In Italia viene proposto un numero di impugnazioni che non ha equivalenti, perché tutti gli altri paesi scoraggiano le impugnazioni pretestuose”, diceva in un dibattito tv con l’avvocato Gian Domenico Caiazza. E con questo si riferiva anche ai ricorsi in appello, figurarsi quelli straordinari in Cassazione. “In Italia nel processo penale impugnare conviene perché non si corrono rischi” scriveva Davigo, e perciò proponeva meccanismi di deterrenza: “Nei paesi di Common Law – diceva – c’è il reato di oltraggio alla Corte per chi fa perdere tempo inutile. Basterebbe consentire al giudice di valutare anche le impugnazioni meramente dilatorie per aumentare la pena”. A un certo punto, Davigo arrivò a proporre di “rendere responsabile in solido l’avvocato” per i ricorsi.

Nella visione di Davigo – come peraltro scrive il suo avvocato Steccanella in un libro – gli avvocati sono dei furbastri dediti a lucrare sul crimine impunito, usando ogni cavillo possibile, ad esempio facendo continui ricorsi al solo fine di consentire al proprio cliente di “farla franca”. Negli ultimi anni, deve aver cambiato idea sulla facilità di impugnare le sentenze e su cosa sia pretestuoso. Anche perché il punto di vista cambia a seconda che si sia pm, giudice o imputato. “È strano come una discesa, vista dal basso, somigli tanto a una salita” diceva saggiamente Pippo, l’amico di Topolino.

E infatti Davigo, che si è ritrovato in una posizione capovolta dalle circostanze della vita, ha passato gli ultimi anni della sua vita a fare ricorsi. Prima ha fatto ricorso al Tar per non andare in pensione contro la decisione del Csm che lo ha dichiarato decaduto per raggiunti limiti di età. Respinto. Poi ha fatto ricorso al Consiglio di stato contro la sentenza del Tar. Bocciato. Dopo la parentesi con la giustizia amministrativa, Davigo è andato a processo a Brescia per la vicenda dei verbali di Amara. Condannato in primo grado. Ha ritenuto ingiusta la sentenza e ha fatto ricorso in appello. Bocciato. Ha fatto ricorso in Cassazione. Bocciato. Ora arriva il ricorso straordinario in Cassazione. Ma se pure dovesse andare male, non è detto che sia finita. Perché c’è sempre la possibilità di fare ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, come pure fece Berlusconi. In ogni caso, siccome una parte della condanna è diventata definitiva mentre l’altra è stata rinviata in appello, se pure questo giudizio dovesse andare male Davigo potrà fare di nuovo ricorso in Cassazione. E poi, magari, un altro ricorso straordinario in Cassazione.

Dopo la condanna in primo grado, l’Unione delle Camere penali inviò a Davigo un augurio “sincero e non sarcastico”: quello di incontrare in Cassazione giudici “che abbiano una idea della ammissibilità dei ricorsi radicalmente diversa da quella notoriamente praticata dal dott. Davigo nei lunghi anni della sua esperienza di giudice di appello prima e di Cassazione poi”, scrissero gli avvocati. Perché pare, stando a ciò che dicono i penalisti, che da presidente della II sezione penale della Corte di Cassazione Davigo bocciasse la gran parte delle impugnazioni. Ed erano quelle ordinarie. Ora dovrà trovare dei giudici capaci di accogliere un ricorso straordinario che, in sostanza, ammetta che i loro colleghi della VI sezione penale non ci hanno capito niente.

Anche Berlusconi ha lottato finché ha potuto contro ogni sentenza, pur senza arrivare al ricorso straordinario in Cassazione, ma alla fine, dopo la condanna definitiva, ha sempre detto che i magistrati ce l’avevano con lui. Vero o falso che fosse, era una versione quantomeno credibile per una parte della società. Davigo ha imboccato in parte la strada berlusconiana dicendo, al podcast di Fedez, che il tribunale di Brescia lo ha condannato perché lì i giudici “non sempre le cose le capiscono”. Ma sarà più complicato per lui far credere che i giudici, che in tripla conforme lo hanno condannato, abbiano voluto perseguitare chi è stato leader di una corrente della magistratura, presidente dell’Associazione nazionale magistrati, presidente di sezione della Cassazione e membro del Consiglio superiore della magistratura. Di certo, però, il Cav. ne sarebbe divertito.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali