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differenze sottili
Cosa cambia se a violare un segreto è un pm e non un politico
La lettura incrociata delle sentenze su Delmastro e il pm Storari mette i cittadini di fronte a un paradosso: un magistrato può non sapere se vìola un segreto, un politico no
La condanna a otto mesi del sottosegretario Andrea Delmastro non cambia – come non l’avrebbe fatto un’assoluzione – la gravità politica del suo comportamento nel caso Cospito: l’utilizzo di informazioni riservate per attaccare in Parlamento le opposizioni. E, se non per quello, Delmastro avrebbe già dovuto dimettersi da sottosegretario alla Giustizia – come peraltro richiesto dall’Unione delle camere penali – per le sue dichiarazioni sulla “intima gioia” che prova per come “non lasciamo respirare” i detenuti. Detto questo, la sentenza del tribunale di Roma – di cui ancora non si conoscono le motivazioni – lascia aperta quantomeno qualche riflessione, soprattutto rispetto a vicende analoghe come quella del pm Paolo Storari.
L’ulteriore premessa da fare è che ogni processo ha vita autonoma, è caratterizzato da elementi specifici, e pertanto i confronti vanno fatti sempre cum grano salis. Ma i due casi, quello del sottosegretario Delmastro e quello del pm Storari, sono interessanti perché riguardano lo stesso tipo di reato (la rivelazione del segreto d’ufficio) ma si sono conclusi con un esito diverso (l’assoluzione in un caso, la condanna nell’altro), sebbene in entrambi i casi la linea difensiva fosse la mancanza dell’elemento soggettivo.
L’assenza del dolo, nella rivelazione al collega di partito Giovanni Donzelli dei colloqui al 41-bis dell’anarchico Cospito, oltre che la linea difensiva era anche la tesi dell’accusa. La procura di Roma, infatti, aveva prima chiesto l’archiviazione e, dopo l’imputazione coatta decisa dal gip, ha chiesto l’assoluzione perché nonostante esistesse una oggettiva violazione del segreto amministrativo, mancava l’elemento soggettivo del reato per un “errore su legge extra-penale”. In sostanza, per l’accusa non c’è dolo perché Delmastro ignorava la norma amministrativa, mentre per i giudici l’eventuale errore di Delmastro non è scusabile dato che si tratta di un avvocato penalista e di un sottosegretario alla Giustizia. Naturalmente non spetta a noi, senza peraltro conoscere nel dettaglio le motivazioni, stabilire chi abbia ragione, sebbene i casi in cui un imputato venga condannato dopo che l’accusa ne chiede l’assoluzione sono rari.
In ogni caso, la vicenda di Delmastro richiama alla memoria, per molte analogie, il caso Storari-Davigo per la divulgazione da parte del pm della procura di Milano all’ex membro del Csm dei verbali di Amara sulla fantomatica loggia Ungheria coperti da segreto. In entrambi i casi la rivelazione del segreto è avvenuta in un incontro privato tra le mura domestiche, il tinello di casa Delmastro-Donzelli nel primo caso e il salotto di casa Davigo nel secondo, e in entrambi i casi gli atti coperti da segreto sono diventati di dominio pubblico, nel primo caso spifferati da Davigo a membri del Csm e poi finiti ai giornali e nel secondo spiattellati da Donzelli in Parlamento.
Nella vicenda Storari-Davigo le sentenze sono già passate in giudicato. Tralasciando la condanna definitiva di Piercamillo Davigo, quella più interessante è la sentenza che riguarda Storari. E per due motivi. Il primo è che Storari ha lo stesso ruolo di Delmastro, quello del divulgatore dell’atto secretato, il secondo è che a differenza di Delmastro è stato assolto in via definitiva in primo e secondo grado. L’altro aspetto interessante è che Storari è stato assolto per difetto di colpevolezza, più precisamente per mancanza di dolo, e più nello specifico per un “errore scusabile” sulla “interpretazione di una norma extrapenale”. In pratica, Storari – non conoscendo bene le circolari del Csm – è stato indotto in errore da Davigo e ha fatto una cosa che non si deve fare pensando che si potesse fare.
In sostanza i giudici hanno giustificato il comportamento di un pm a detta di tutti molto preparato, che quotidianamente ha a che fare con le indagini penali e che meglio di chiunque dovrebbe conoscere le norme che regolano e custodiscono il segreto investigativo. Ma, evidentemente, secondo la giustizia anche i migliori magistrati possono sbagliare.
Il punto qui non è sostenere che anche Storari fosse da condannare come Delmastro, o che Delmastro fosse da assolvere come Storari. Né sottolineare, mentre si discute di separazione delle carriere, che i giudici sono più clementi quando gli imputati sono i colleghi magistrati e più severi quando lo sono i politici. Il punto è che la lettura incrociata dei giudizi su Storari e Delmastro mette i cittadini di fronte a un paradosso: anche rispetto a norme molto complicate e di difficile interpretazione, prevale il principio secondo cui “la legge non ammette ignoranza”, a meno che non si tratti di magistrati esperti. In tal caso l’ignoranza della legge è ammessa, o quantomeno scusabile.