giustizia

Oltre 30 mila detenuti dovrebbero stare fuori. Le colpe della magistratura sul sovraffollamento

Ermes Antonucci

Dietro l’emergenza del sovraffollamento carcerario si cela anche una riluttanza culturale dei giudici ad applicare quanto previsto dal codice penale, concedendo le misure alternative e rendendo effettivo il principio del carcere come extrema ratio

Sovraffollamento carcerario che non accenna a diminuire, già quattordici suicidi tra i detenuti da inizio anno. La situazione degli istituti penitenziari italiani resta critica dopo un 2024 da dimenticare, con il record storico di suicidi (90 detenuti) e più in generale di decessi in carcere (246). E’ per queste ragioni che ieri la Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà ha celebrato una giornata di protesta in tutta Italia, intitolata “Un silenzio assordante sul carcere”. La Conferenza ha diffuso gli ultimi dati sul sovraffollamento: il numero di detenuti presenti a fine febbraio è di 62.132, contro una disponibilità di posti regolamentari pari a 46.910, con un tasso di sovraffollamento che è arrivato a quota 132,4 per cento.

 

I Garanti territoriali chiedono al governo “l’approvazione urgente di misure deflattive del sovraffollamento per chi deve scontare meno di un anno di carcere, sono 8 mila i detenuti in Italia e non hanno reati ostativi”, e anche “l’accesso alle misure alternative per quei 19 mila detenuti che stanno scontando una pena o residuo di pena inferiore ai tre anni”, insieme ad altri interventi sul numero di telefonate a disposizione dei detenuti e sul diritto all’affettività. Non tutti i Garanti, però, hanno aderito alla protesta. Uno di questi è l’avvocato Giancarlo Giulianelli, Garante dei detenuti delle Marche, che al Foglio spiega: “Non ho aderito alla mobilitazione non perché non penso che il problema del sovraffollamento e dei suicidi in carcere non sia reale, ma perché mi è parsa una forma di protesta nei confronti del governo, che non è responsabile del sovraffollamento. I numeri parlano chiaro. Il problema riguarda la ridotta concessione delle misure alternative al carcere, che non è di competenza del governo ma della magistratura”. 

 

In effetti i numeri sono chiari e impressionanti: 19 mila detenuti avrebbero diritto di accedere alle misure alternative al carcere in quanto stanno scontando una pena residua inferiore ai tre anni. A questi vanno aggiunti i detenuti ancora in attesa di giudizio (basti pensare che 9 mila attendono addirittura una sentenza di primo grado). Sui primi, quelli che stanno scontando una pena, la responsabilità è della magistratura di sorveglianza, sui secondi è della magistratura in generale. “Se il 65 per cento dei detenuti, tra condannati non definitivi e condannati con pene residue inferiori a tre anni, potrebbe accedere a una misura alternativa ma resta in carcere mi pare evidente che ci sia un problema con la magistratura”, ribadisce Giulianelli. “In sede di Conferenza ho cercato di dire che noi Garanti dovremmo spendere due parole nei confronti della magistratura, ma nel comunicato sulla giornata di mobilitazione non se ne fa cenno. Questo perché la Conferenza dei garanti ha un orientamento di sinistra. Io ho una posizione da tecnico, da avvocato che da decenni si occupa dei problemi dei detenuti”, attacca Giulianelli. 

 

Il Garante dei detenuti delle Marche concorda con chi chiede lo stanziamento di maggiori risorse per il personale penitenziario e la magistratura di sorveglianza. Tuttavia, rintraccia nel ridotto numero di concessione delle misure alternative al carcere una resistenza di tipo culturale da parte delle toghe. “E’ sufficiente citare un dato. Il codice penale prevede che l’esito positivo del periodo di affidamento in prova ai servizi sociali estingue la pena detentiva e ogni altro effetto penale. Questo è un ostacolo di ordine psicologico prima che giuridico. Al magistrato la ‘pulizia’ totale del passato dei detenuti non piace”, riflette Giulianelli. 

 

Insomma, dietro l’emergenza sovraffollamento non si cela soltanto una carenza di risorse economiche e di personale della magistratura, soprattutto di sorveglianza, ma anche una riluttanza culturale dei giudici ad applicare quanto previsto dal codice penale per rendere effettivo il principio del carcere come extrema ratio. Un elemento di cui il Guardasigilli Carlo Nordio dovrebbe tener conto.
Ermes Antonucci 

  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]