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Il revival

Riaprire processi come Garlasco non significa che la giustizia è in crisi

Edmondo Bruti Liberati

La riapertura dell'indagine nei confronti di Andrea Sempio ha montato un'indegna gogna mediatica. Il decorso di tempi così lunghi colpisce, ma è segno di un sistema giudiziario cosciente della fallibilità delle decisioni umane

“Quest’anno va in onda il ‘Garlasco show’. ‘Dove vola l’avvoltoio? Avvoltoio vola via, vola via dalla testa mia…’. Quando nel Dopoguerra Italo Calvino scrisse questa canzone conosceva il male del mondo ma non aveva ancora potuto assistere a una puntata di ‘Porta a porta’ o di ‘Matrix’ o di altre trasmissioni televisive. Su cui, da un po’ di tempo, volano volentieri gli avvoltoi […] l’efferato delitto si trasforma subito in spettacolo […] il plastico, la bici, i filmati, la vicina di casa, gli esperti, le opinioni: anche questa volta, il ‘Garlasco show’ non contempla la pietà nei confronti della vittima”. 
Aldo Grasso 
Corriere della Sera  
27 settembre 2007

 

La riapertura dell’indagine nei confronti di Andrea Sempio ci propone un revival. I telegiornali del 13 marzo hanno diffuso l’immagine dell’assalto dei cronisti televisivi all’indagato nel momento in cui, sceso da un taxi, accompagnato dai suoi avvocati, entrava a Milano nella caserma dei Carabinieri per sottoporsi al prelievo del Dna. Senza bisogno di richiamare la presunzione di innocenza, è stata una indegna gogna mediatica, irrispettosa della dignità della persona dell’indagato e, anche, della dignità della giustizia. Una scena che poteva e doveva essere prevenuta ed evitata anzitutto dai responsabili della magistratura e della polizia giudiziaria, perché, purtroppo, era prevedibile che i media non si sarebbero sottratti all’agguato.

A vedere le immagini dei microfoni “scagliati” contro l’indagato con le sigle delle varie emittenti sembra non ne mancasse alcuna. Cronisti e operatori sono stati mandati sul posto, i direttori di rete hanno deciso di mettere in onda le immagini di quella gazzarra. Quale il contenuto informativo di quelle riprese? Zero. O meglio: dignità dell’indagato e  corrività dei media. Tanto si è scritto sulla “gogna mediatica”, ma non è servito a nulla. Male hanno fatto le autorità competenti a non adottare agevoli contromisure. Ma non vi è spazio anche per una riflessione autocritica dei media? Che non incide sul dovere di pubblicare notizie e proporre valutazioni sull’andamento di questo, come di tutti, i casi giudiziari. La distinzione tra cronaca giudiziaria, valutazioni critiche sulle indagini e sui processi da un lato e la pretesa di fare e rifare i processi sui media è agevole da tracciare. Così come è agevole cogliere lo schierarsi delle tifoserie e degli esperti, pronti a fornire la loro decisiva prova

Magistrati intervenuti nelle prime fasi del caso ripropongono le loro tesi, omettendo di rammentare che sono state motivatamente confutate e smentite nei successivi gradi di giudizio. La mera riapertura delle indagini diviene immediato verdetto di assoluzione per chi sta, peraltro con grande dignità, espiando la pena. Il nuovo indagato è ormai avviato a sbrigativa condanna sol che la prova del Dna risulti a lui sfavorevole, dimenticando che quand’anche la coincidenza venisse accertata con quel 99,9 per cento di probabilità che si richiede in questi casi, di per sé sola nulla direbbe sulla responsabilità per l’omicidio.

Infine, la coincidenza tra la riapertura di questa indagine e la decisione della Corte di Cassazione che in altro caso controverso ha rinviato alla Corte di appello competente per una nuova decisione ha indotto qualche commentatore a trarne la conclusione di “una crisi profonda di credibilità della giustizia”. Ma non è forse esattamente il contrario? Il decorso di tempi così lunghi colpisce, ma non si deve dimenticare che sono i tempi di una giustizia che rispetta le garanzie ed è cosciente della fallibilità delle decisioni umane. Naturalmente tutti vorremmo una giustizia più rapida e forse sarebbe il caso di impegnarsi di più su questo terreno piuttosto che inseguire “riforme epocali”. Tre gradi di giudizio, con la eventualità che la Cassazione rimandi alla Corte di appello per una nuova valutazione. E ancora l’assolto in giudizio non può essere sottoposto a nuovo processo, anche quando sopravvengano prove significative della sua responsabilità in omaggio al principio che ovunque si esprime con il latino ne bis in idem. Al contrario neppure la condanna definitiva è inscalfibile, quando sopravvengano nuove prove. Il criterio della condanna oltre ogni ragionevole dubbio vale come monito, può solo assicurare che la decisione dei giudici arrivi a conclusione di un percorso di garanzie, di correttezza di metodo, di correzione degli errori. Ma dobbiamo rispettare questa fragile, imperfetta giustizia umana.

E’ da poco in libreria la nuova edizione della “Prima lezione sulla giustizia penale” (Laterza 2025) di Glauco Giostra, un volumetto di duecento pagine fruibile anche per i non specialisti grazie alla limpidezza dell’esposizione. L’eminente studioso del processo penale ci propone l’immagine del processo “come uno stretto ponte tibetano che consente di transitare dalla res iudicanda (cioè il fatto da giudicare e l’eventuale responsabilità del soggetto a cui è attribuito) alla res iudicata (cioè la decisione sulla esistenza del fatto, sul suo rilievo penale e sulla responsabilità del soggetto accusato), che è destinata a valere pro veritate per l’intera collettività”. 

Ma il “Garlasco show Nuova serie” ormai è in onda, anche con il contributo di commentatori che, fra qualche tempo, riproporranno, indignati, la loro denuncia del “circo mediatico giudiziario”.
 

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