
I tempi di Tescaroli
Tescaroli, De Raho e le indagini infinite. Se 45 giorni sono pochi
Approvato in via definitiva il ddl Zanettin sulla durata delle intercettazioni, ora limitate a 45 giorni. Impossibile, dice il procuratore di Prato. In effetti lui sulle stragi ci ha perso decenni
Se quarantacinque vi sembran pochi. Approvato in via definitiva il ddl Zanettin sulla durata delle intercettazioni, ora limitate a 45 giorni, si sono ascoltate, senza trojan, le più desolate e anche un po’ incredibili contestazioni. Una delle più rimbombanti quella del dottore Luca Tescaroli, oggi procuratore di Prato. Intervistato ieri dal Fatto ha aperto i rubinetti: “Quella appena approvata è solo l’ultima delle riforme che recentemente hanno, oggettivamente, già compresso gli strumenti in mano ai magistrati per reprimere la criminalità”. “Temo un impatto negativo perché viene compressa la tempistica di effettuazione delle attività di intercettazione e questo può costituire un serio ostacolo”. Ma soprattutto, con valore di confessione testimoniale: “Nella nostra esperienza sul campo possiamo dire che statisticamente si riesce a raccogliere elementi di prova solo dopo molto più tempo di quello previsto dalla riforma”.
Ammette Tescaroli: “Individuare gli obiettivi da intercettare è frutto di un percorso investigativo che richiede tempo. L’identificazione dell’interlocutore o degli interlocutori spesso richiede tempo. Il soggetto deve essere profilato per individuare i telefoni di cui si avvale o i luoghi che frequenta per le intercettazioni ambientali”. La sua esperienza, appunto. E su questo, può essere che abbia ha ragione. In effetti, Luca Tescaroli passerà alla storia della giustizia per le sue famose indagini sui mandanti esterni delle stragi del 1993. Ci ha lavorato quasi trent’anni, altro che 45 giorni, il suo teorema era provare il coinvolgimento di Marcello Dell’Utri e Silvio Berslusconi: non ha cavato un ragno dal buco, solo archiviazioni o piste indiziarie sospese nel nulla. Trent’anni. Iniziò quando era ancora a Caltanissetta, anni ’90, l’inchiesta finì archiviata. Passato a Roma, indagò nel frattempo sulla morte di Calvi (1982, gli piacciono i cold case), finirono tutti assolti. Arrivato a Firenze nel 2018 riaprì i faldoni del 1993, accusando i soliti Berlusconi e Dell’Utri. Indagine andata avanti silenziosamente per anni, non giorni, ed emersa nel 2024. Nel frattempo Berlusconi è stato archiviato, ed è morto. Si attendono novità.
Altra voce squillante contro la nuova norma, l’ex procuratore nazionale Antimafia e ora deputato grillino Federico Cafiero De Raho, intervistato dalla Stampa: il limite alle intercettazioni “sarà un ostacolo assoluto alle indagini”. Intercettazioni in 45 giorni? “Ma nemmeno nel mondo dei sogni!”. De Raho snocciola i suoi argomenti, poi arriva una domanda strabiliante: “Cosa collega la stretta alle intercettazioni con la separazione delle carriere”? Ma De Raho non si perde d’animo, ha la risposta pronta: “Guardi, nel momento stesso in cui l’intercettazione si ferma dopo 45 giorni, l’indagine sostanzialmente si conclude lì. E quando le varie indagini si concluderanno nel nulla, si dirà che il pubblico ministero non è capace”. E le miriadi di inchieste finite nel nulla, spesso con intercettazioni a strascico durate all’infinito, come andranno valutate? Prima della riforma, di fatto è una modifica dell’art. 267 del Cpp che limita a 45 giorni, a meno di una “assoluta indispensabilità” valutata dal giudice, la durata era di 15 giorni, ma il numero di proroghe era in pratica infinito.
Il penalista e saggista Iacopo Beniveri, su Altravoce, parafrasando Pannella che riprendeva Henri Bergson ricordava ieri che “la durata è la forma di ogni potere’. Se la durata è limitata, il potere ha natura democratica; se è illimitata è antidemocratico”. Ma a qualcuno 45 sembrano pochi.