le motivazioni

“La fondazione Open non era partito”: così è crollata l'inchiesta dei pm di Firenze

Ermes Antonucci

Depositate le motivazioni della sentenza con cui lo scorso dicembre Renzi, Boschi, Lotti e gli altri imputati sono stati prosciolti nel processo sull'ex fondazione renziana. L'attività di raccolta dei finanziamenti "è stata pienamente lecita"

La fondazione Open non era un’articolazione di partito, quindi l’attività di raccolta di finanziamenti svolta nel corso degli anni “deve ritenersi pienamente lecita”. Si è sciolto come neve al sole il teorema messo in piedi dalla procura di Firenze contro l’ex fondazione renziana. L’indagine è crollata lo scorso 19 dicembre, dopo ben cinque anni, di fronte alla gup di Firenze, Sara Farini, che ha prosciolto tutti gli undici imputati, tra cui l’ex premier Matteo Renzi, gli ex ministri Maria Elena Boschi e Luca Lotti, l’ex presidente della Fondazione Open Alberto Bianchi e l’imprenditore Marco Carrai. Nei giorni scorsi, nell’indifferenza quasi generale, sono state depositate le motivazioni della sentenza, che demoliscono senza scampo  la tesi centrale avanzata dai pm fiorentini Luca Turco e Antonino Nastasi, cioè che la fondazione Open costituisse un’articolazione di partito interna al Pd, e precisamente della corrente renziana, e che in virtù di questa sua natura avesse violato la legge contro il finanziamento illecito ai partiti.

 

Richiamando la sentenza della corte di Cassazione intervenuta nel corso della fase cautelare, la giudice dell’udienza preliminare ha chiarito “che l’attività di fundraising, il finanziamento ad attività di partito o a singoli esponenti di partito, ovvero il sostegno a candidati de parte di una fondazione politica – che sono poi gli argomenti su cui più insiste la procura ai fini della qualificazione di Open quale articolazione di partito – deve ritenersi di per sé pienamente lecito”, esulando dall’area interessata dalla legge sul finanziamento illecito ai partiti (n. 195/1974). 

 

Per contestare il reato di finanziamento illecito, i pm avrebbero quindi dovuto dimostrare che Open operava al di fuori dell’ordinaria attività di una fondazione politica e comunque al di fuori dei suoi scopi statutari, ma – nota la giudice Farini – nessuno degli elementi avanzati dalla procura sia in fase cautelare sia nel corso dell’udienza preliminare è sufficiente per dimostrare che Open abbia esondato dall’ambito fisiologico della propria attività. Anche perché, sottolinea la giudice, “buona parte del denaro raccolto dalla fondazione risulta peraltro impiegato per l’organizzazione delle edizioni annuali della Leopolda”, cioè una manifestazione politica e culturale “realizzata con la partecipazione di esponenti di diversi settori della società civile” su vari temi di rilevanza pubblica, “eventi che per quanto ‘partecipati’ da Matteo Renzi o dalla ‘corrente renziana’ non possono identificarsi tout court con la sua persona, né tantomeno ritenersi estranei all’attività propria di una fondazione politica”. Richiamando di nuovo la Cassazione, la giudice aggiunge inoltre come “il distinguo tra perseguimento di uno scopo politico e di uno scopo partitico appare privo di qualsiasi fondamento”. 

 

Insomma, con la sua inchiesta la procura di Firenze ha preteso di stabilire cosa è “politico” e cosa è “partitico”. Un’esondazione dal proprio ambito di competenza, fallita miseramente con il semplice richiamo della Cassazione e poi della gup alla normativa in vigore, che i pm avrebbero facilmente potuto esaminare anziché dar vita a una vicenda giudiziaria lunga cinque anni, che ha messo alla berlina tutti gli imputati coinvolti (e anche gli imprenditori, non indagati, che avevano effettuato le donazioni). 

 

Persino più netta è la bocciatura da parte della giudice delle due contestazioni di corruzione che la procura aveva rivolto nei confronti dell’ex ministro Luca Lotti, accusato di aver svenduto la propria funzione per favorire il gruppo Toto e la British American Tobacco (Bat) in cambio di donazioni a Open. Nel primo caso, la gup sottolinea l’assoluta “genericità” delle risultanze investigative: “Non vi è prova della partecipazione di Lotti alla stipulazione del patto corruttivo che invece sarebbe intervenuto tra Toto e Bianchi; l’utilità non era destinata direttamente a Lotti, bensì alla fondazione Open nell’ambito di un’attività pienamente lecita quale il finanziamento privato alla politica; non vi è prova di uno stabile asservimento di Lotti all’interesse personale di Toto dal momento che non risulta che Lotti abbia assunto particolari iniziative m favore del suo presunto corruttore, non avendo proposto emendamenti, non avendo fatto pressioni su altri parlamentari affinché fossero approvati certi emendamenti”.

 

Sulla presunta corruzione legata a Bat, la giudice scrive senza mezzi termini che la contestazione è “dotata veramente di minima valenza indiziaria”, concludendo che “manca la prova dell’accordo corruttivo e dell’asservimento del pubblico ufficiale agli interessi privati del corrotto”. Per la procura di Firenze è una caporetto giudiziaria. 
 

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  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]