la sentenza

L'imprenditore Giulio Muttoni assolto dopo dieci anni: è stato intercettato 30 mila volte

Ermes Antonucci

Il "re dei concerti" assolto dal tribunale di Torino nel processo "Bigliettopoli". L'inchiesta venne avviata nel 2015 dal pm Colace (sanzionato dal Csm). Muttoni: "Ho dovuto chiudere la mia azienda. La vicenda ha cambiato in maniera irreparabile la mia vita professionale e personale"

A meno di 24 ore di distanza dalla sanzione disciplinare ricevuta dal Csm (trasferimento di sede e di funzioni, più perdita di un anno di anzianità), il pm Gianfranco Colace ha visto crollare ieri la sua maxi inchiesta “Bigliettopoli”, avviata ben dieci anni fa. Scherzi tragicomici del destino. Il tribunale di Torino ha infatti assolto sette imputati, tra cui quello principale, Giulio Muttoni, noto imprenditore del settore degli eventi e dei concerti, per il quale la procura aveva chiesto una condanna a 18 mesi per il reato di corruzione impropria. L’accusa era incentrata su un presunto scambio di favori e biglietti di concerti, di cui in più occasioni avrebbero usufruito anche politici e funzionari pubblici. L’inchiesta ebbe un grandissimo rilievo mediatico e dopo poco tempo Muttoni fu costretto a dichiarare il fallimento della sua azienda, Set Up. Nel corso dell’indagine, portata avanti dal 2015 al 2020, Muttoni è stato intercettato oltre 30 mila volte. Molto probabilmente un record (ministro Nordio, tutto normale?).

 

L’indagine venne avviata nel 2015 da Colace e il suo gruppo di polizia giudiziaria coordinato dal colonnello Luigi Isacchini, sulla base di una costola dell’inchiesta sul Salone del libro, che vedeva indagato tra gli altri l’ex sindaco di Torino Piero Fassino, poi assolto da ogni accusa nel 2024. 

 

Nel 2019 Colace e i suoi agenti, continuando nell’attività investigativa attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali, giunsero a immaginare addirittura l’esistenza di un’associazione mafiosa, individuando in Giulio Muttoni uno degli appartenenti. Anche questo filone di indagine si è concluso con un’archiviazione a seguito di richiesta di avocazione rivolta dalla difesa al procuratore generale. 

 

L’indagine denominata “Bigliettopoli” venne invece chiusa nel 2020, con 40 indagati, accusati a vario titolo di corruzione, turbativa d’asta, traffico di influenze illecite, rivelazione di segreto. L’inchiesta finì sui quotidiani nazionali facendo scattare la solita gogna mediatica. Alla fine a processo sono finite 13 persone e ci sono voluti ben cinque anni per arrivare soltanto alla sentenza di primo grado. Ieri il tribunale ha assolto sette imputati, tra cui Muttoni, e ne ha condannati sei, facendo cadere però anche nei loro confronti le accuse più pesanti, come corruzione. La pena più alta è stata inflitta a Davide Barbato (2 anni, 3 mesi e 15 giorni) per i reati di accesi abusivi a sistema informatico. Nei suoi confronti la procura aveva chiesto la condanna a otto anni. 

 

L’ennesimo fallimento per Colace, non presente in aula, che segue di poche ore la sanzione a lui comminata dal Csm per aver intercettato illegalmente – senza autorizzazione del Senato – per tre anni 500 volte il senatore Stefano Esposito, amico strettissimo di Muttoni, proprio nell’ambito dell’indagine portata avanti nei confronti di quest’ultimo. La condotta di Colace, prima ancora che dal Csm, era stata severamente censurata nel dicembre 2023 dalla Corte costituzionale.  

 

“Sono moderatamente soddisfatto”, dichiara Muttoni al Foglio commentando la sentenza. “Di certo non faccio salti di gioia: questa vicenda giudiziaria ha cambiato in maniera irreparabile la mia vita professionale e anche personale”, aggiunge. “Mi ha colpito la furia giustizialista che hanno avuto alcune multinazionali, come Philip Morris e Live Nation, con i quali avevo lavorato per decenni, avevo sviluppato anche un rapporto personale molto stretto e che di fronte all’accusa di corruzione mi hanno scaricato dalla sera alla mattina, senza neanche aspettare il primo grado di giudizio”, racconta Muttoni.

 

“Ricordo le banche che non volevano più aprirmi il conto corrente. Ricordo i finti amici, che prima mi salutavano e mi abbracciavano, ma una volta emersa l’indagine hanno cominciato a fuggire alla mia vista. Tutto ciò mi ha ferito, anche se  in questi anni diverse persone mi sono state realmente vicine”. Tra queste proprio Esposito, che ieri, subito dopo la lettura della sentenza, ha abbracciato in lacrime Muttoni.   

 

“Di certo la mia vicenda giudiziaria ha avuto una durata spaventosa. Ho dovuto aspettare cinque anni dalla chiusura delle indagini per avere un giudizio di primo grado. Ci sta che la magistratura ti metta sotto indagine, anche se 30 mila intercettazioni mi sembrano a dir poco eccessive, ma se il processo fosse durato sei mesi io ne sarei uscito quasi indenne”, sottolinea Muttoni. “Avrei preferito decidere io quando andare in pensione e non farmelo dire da altri. Ma va bene lo stesso, ora faccio il nonno e va bene così”, conclude. 
 

  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]