
Gianfranco Colace (Ansa)
un magistrato a Paperopoli
Processo Sanitopoli: imputati assolti. L'ennesimo flop del pm di Torino Colace
Dopo Bigliettopoli e Concorsopoli, crolla anche l'inchiesta Sanitopoli: il tribunale di Torino ha assolto i quattro imputati accusati di corruzione e turbativa d’asta per un appalto dell'Asl To3. Il pm Colace ha anche inventato un nuovo genere di requisitoria
Dopo Bigliettopoli (imputati assolti) e Concorsopoli (imputati prosciolti) è crollata anche Sanitopoli, l’ennesima inchiesta del pm torinese Gianfranco Colace. Il tribunale di Torino ha assolto i quattro imputati accusati, in un’indagine avviata nel 2018, dei gravi reati di corruzione e turbativa d’asta per un appalto da 56 milioni dell’Asl To3. Alla fine è stata inflitta soltanto una pena a nove mesi a un finanziere per rivelazione di segreto d’ufficio. L’ennesimo flop per Colace, che si è distinto anche per una requisitoria singolare: il pm (recentemente sanzionato dal Csm) non solo ha risposto all’interrogazione parlamentare presentata dopo una nostra inchiesta sull’operato della polizia giudiziaria torinese, scambiando l’aula di giustizia per il Parlamento, ma ha anche chiesto la condanna di tre imputati affermando: “Chiedo la condanna anche se so che la Corte non potrà che assolvere”. Benvenuti a Paperopoli.
Nel processo Sanitopoli sono stati assolti Flavio Boraso, ex direttore generale dell’Asl To3, e l’imprenditore Antonio Marino. Secondo l’accusa, il primo aveva favorito il secondo nell’assegnazione dell’appalto, ottenendo in cambio un incarico per un’amica radiologa. Nella requisitoria, Colace aveva chiesto la condanna di Boraso a un anno per turbativa, ma a distanza di sette anni dall’indagine aveva riconosciuto l’insussistenza della corruzione, chiedendo l’assoluzione per questo reato e il non doversi procedere per intervenuta prescrizione per l’accusa di falso. Colace aveva chiesto però per Marino una condanna a quattro anni per una presunta corruzione messa in atto con il manager Davide Gagliardi nei confronti del maresciallo della Guardia di Finanza Michele Alterio. Per il finanziere era stata invocata la pena di due anni per rivelazione di segreto d’ufficio, mentre per il quinto imputato, il luogotenente dei Carabinieri Giuseppe Carbone (in passato in servizio alla polizia giudiziaria torinese), la richiesta di condanna era stata di sei mesi per favoreggiamento. Alla fine, come abbiamo detto, le accuse sono state di fatto smentite integralmente dal collegio giudicante, che ha condannato soltanto Alterio a nove mesi.
Nel corso della requisitoria, in maniera alquanto singolare, Colace ha smentito le parole dette in dibattimento da Carbone, e riportate su questo giornale in una lunga inchiesta incentrata sul comportamento della polizia giudiziaria di Torino. Durante un’udienza, Carbone aveva rivelato l’esistenza di una “sottosezione” di polizia giudiziaria, di cui aveva fatto parte. Una sottosezione che, oltre a non aver alcun fondamento legislativo e giuridico, nel caso raccontato da Carbone si era mossa in una direzione di indagine diversa rispetto alla delega ricevuta dal pubblico ministero. Insomma, ciò che emergeva, anche dalla lettura di una serie di atti giudiziari, era che la sottosezione non sembrava rispondere a nessuno. Riferimmo anche della presenza di “corvi” che divulgano materiale secretato e di pm poco propensi a fare chiarezza.
Dopo la pubblicazione dell’inchiesta, il senatore Ivan Scalfarotto (Italia viva) ha depositato un'interrogazione al ministro della Giustizia Carlo Nordio proprio per fare chiarezza sull’esistenza e sull’operato della “sottosezione”. Durante la sua requisitoria, Colace ha proprio richiamato l’interrogazione di Scalfarotto, affermando: “Voglio essere chiaro: non esiste nessuna sottosezione”. Una cosa probabilmente mai vista: un pm che risponde all’interrogazione di un parlamentare. Evidentemente Colace (che è stato sanzionato dal Csm per aver intercettato illegalmente 500 volte il senatore Stefano Esposito, senza l’autorizzazione del Parlamento, come previsto dalla Costituzione) non ha ancora ben chiaro il principio costituzionale della separazione dei poteri.
L’altro aspetto incredibile della requisitoria di Colace è stata la richiesta di condanna nei confronti di tre imputati, corredata dalla frase “anche se so che la Corte non potrà che assolvere”. Una frase paradossale: se il pm sa che la Corte non potrà che assolvere (come poi è avvenuto) significa che è consapevole della debolezza delle proprie accuse, allora dovrebbe chiedere lui stesso l’assoluzione; nel caso invece il pm sia convinto delle proprie argomentazioni, la frase suona come un affronto ai giudici (fossimo negli Stati Uniti si potrebbe parlare di oltraggio alla Corte).
Il dato certo è che si allunga l’elenco dei flop del pm Colace: a Bigliettopoli (finita con l’assoluzione dei principali imputati, tra cui Giulio Muttoni, intercettato oltre 30 mila volte), Concorsopoli (25 professionisti del mondo della psichiatria prosciolti dopo sei anni) e Sanitopoli, si aggiungono l’inchiesta per lo smog a Torino contro l’ex governatore del Piemonte Sergio Chiamparino, gli ex sindaci Chiara Appendino e Piero Fassino, e vari assessori (tutti prosciolti), il processo sul Salone del libro (con l’assoluzione di tutti i principali imputati, tra cui Fassino), il processo per falso elettorale contro Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera dei deputati (assolto), il procedimento per corruzione e turbativa d’asta contro Stefano Esposito (prosciolto) e altri ancora. Colace ha colpito ancora.
