festa dell'ottimismo
Bonomi: "Senza le imprese non esiste l'Italia"
"Nel 2023 ci aspetta una crescita dello zero virgola: tutte le risorse, che saranno scarse, dovranno essere messe sul tema dell'energia. Per difendere le imprese e le famiglie", dice il presidente di Confindustria intervenendo alla Festa del Foglio
Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi è stato intervistato da Salvatore Merlo durante la Festa dell'Ottimismo 2022. Pubblichiamo qui di seguito la conversazione integrale.
Salvatore Merlo: Ha giurato il governo, presidente. Gli industriali che cosa si aspettano?
Carlo Bonomi: La prima cosa che vorrei sottolineare è che è un governo comunque storico. Per la prima volta abbiamo una donna presidente del Consiglio. E quindi da parte mia e di Confindustria un grande in bocca al lupo al presidente Giorgia Meloni e al suo governo. Un governo che noi auspichiamo capace di grande serietà e responsabilità verso l’Italia e i partner internazionali. E che abbia efficacia nella sua azione, viste le grandissime sfide che ci aspettano. Queste sfide sono a breve: dobbiamo sostenere l’industria italiana, dato il costo della crisi energetica. La dobbiamo sostenere perché non è una battaglia corporativa, ma lo dicono i numeri: senza industria non c’è l’Italia. E quindi è questione di sicurezza nazionale salvaguardarla, perché se mettiamo a rischio migliaia di imprese vuol dire centinaia di migliaia di posti di lavoro. Cioè centinaia di migliaia di redditi di famiglia. Questa è secondo noi l’emergenza che dobbiamo affrontare, tenendo conto della finanza pubblica. Che meriterebbe un paio d’ore di riflessione, se avessimo tempo. Però una breve analisi è necessaria. Noi abbiamo usufruito negli ultimi due anni di un rimbalzo dell’economia importante: nel 2021 quasi +7 per cento, quest’anno quasi +3,5. Questo ci ha consentito di avere un extragettito fiscale, più o meno 60 miliardi, utilizzati dal governo per tamponare l’emergenza. Tutti dicono che l’anno prossimo rallenteremo. La Nadef presentata dal governo uscente dava, a perimetro di politiche invariate, una crescita dello 0,6 per cento. Standard & Poor’s e Fitch Ratings, in territorio negativo, tra -0,1 e -0,7. Al di là del segno, stiamo parlando di zero virgola. Quindi noi non avremo più quelle risorse. Teniamo conto che oggi stiamo facendo interventi tra i 15 e i 18 miliardi a trimestre. Nel 2023 sappiamo che dovremo mettere, rinnovando i contratti pubblici, circa 5 miliardi. Altri 10 per le perequazioni delle pensioni all’inflazione, senza contare nuovi interventi del governo. Quindi è evidente che le risorse sono scarse. E queste devono essere messe tutte sul tema dell’energia, per difendere imprese e famiglie. Apro una parentesi. In questi giorni stanno arrivando i conguagli dei condomini e tutti noi stiamo vedendo cosa accade: l’Europa non sta facendo l’Europa. Nel senso che l’Europa basata su condivisione e solidarietà ha condiviso soltanto le sanzioni al conflitto russo-ucraino. Sembra che i problemi del costo dell’energia siano dovuti solo a questo, ma in realtà sono dovuti a decenni di scelte scriteriate che adesso stiamo pagando e che il conflitto russo-ucraino ha acuito. Il mio primo intervento su quel che succede sui mercati dell’energia è del 10 settembre 2021: più di un anno fa. La guerra è scoppiata a febbraio. Si vedeva già cosa stava succedendo.
L’accordo dell’altra sera l’ha convinta?
Dal punto di vista politico, è un grande successo del presidente Draghi che sottolinea l’importanza di avere una credibilità internazionale. Ora si deve trasformare in qualcosa di tecnico. Questo percorso è lungo e sappiamo che può essere foriero di inciampi, perché i paesi del nord Europa, in particolare Germania e Olanda, non sono così favorevoli. E vengo al tema dell’Europa che non sta facendo l’Europa. Noi come paese, non avendo risorse, le dobbiamo dedicare tutte all’energia. E quindi abbiamo necessità di: uno, mettere a terra velocemente il Pnrr perché è l’unico strumento che abbiamo per spingere la crescita; due, rivedere velocemente i perimetri di spesa pubblica dello stato. Noi ogni anno spendiamo mille miliardi di spesa pubblica. Mille miliardi, lo ribadisco perché è una cifra atomica. Se noi riconfiguriamo il 4-5 per cento di questa spesa pubblica, forse avremo quelle risorse per fare quelli interventi di cui abbiamo necessità. Altrimenti diventa ineludibile uno scostamento di bilancio. Noi non lo vorremmo, ma potrebbe diventare necessario. Tenendo conto che va spiegato molto bene all’Europa e ai mercati che noi siamo costretti a fare quello scostamento, perché l’Europa non sta facendo l’Europa e noi non siamo in grado di riconfigurare la spesa pubblica. Inoltre noi l’anno prossimo ci dobbiamo sedere ai tavoli per rivedere il patto di stabilità e ci dobbiamo sedere coi conti in ordine. Perché se no non siamo credibili per chiedere una modifica alle condizioni del patto.
A proposito di conti in ordine, nel programma elettorale della Lega c’era la riforma delle pensioni: mi risulta che cercheranno di farla diventare un provvedimento di questo governo. Dato il contesto appena descritto, come giudica questa ipotesi?
Io ritengo legittimo che i partiti cerchino di realizzare le promesse elettorali. Sono stati votati per quello. Però oggi non ci sono le condizioni per poterlo fare. Più in là ci sarà tempo e modo per discutere di prepensionamenti, flat tax. Ma oggi quelle risorse vanno messe a difesa dell’industria e delle famiglie. Se poi vogliamo entrare nel tecnico, noi abbiamo in scadenza a fine anno una serie di provvedimenti: Opzione donna, persone fragili. Ci dobbiamo lavorare. Ma gli interventi di questo tipo strutturati negli ultimi anni, sono risultati inefficaci. Si raccontava che se qualcuno va in pensione, libera posto per le assunzioni – anzi, per quota 100 ci dicevano che per ognuno che andava a casa ne assumevano quattro. Ma i dati dell’Inps dicono 0,4. Cioè neanche l’effetto sostitutivo. Per altro, per non scassare i conti dell’Inps, sono tutte opzioni che prevedono una decurtazione strutturale della pensione. Che è già a livelli molto bassi. Così si creerebbero i prodromi per aumentare le persone che rischiano di entrare in fascia di povertà, destino toccato l’anno scorso da un milione in più di italiani. Se noi oggi introduciamo provvedimenti che prevedono una decurtazione, da quello che leggo, del 30 per cento della pensione, credo che non sia la strada corretta.
Lei faceva riferimento al Pnrr. Ha dei timori sulla capacità del nuovo governo di saperlo e poterlo gestire?
Innanzitutto c’è da capire quali saranno i perimetri delle deleghe. Vediamo già che l’ex Mise, diventato oggi Imprese e Made in Italy, incorpora il commercio estero che era competenza del ministero degli Esteri. Abbiamo un nuovo ministero del Mare, quindi dovremo capire dove saranno porti e Zes. L’Innovazione tecnologica, che era un pezzo importante del Pnrr, non c’è più e presupponiamo che sia anche questa all’interno del ministero Imprese e Made in Italy. Spostare pezzi di amministrazione, in base alla nostra esperienza, già in condizioni normali comporta dei ritardi. Detto ciò, io non sono preoccupato rispetto alla capacità del governo, ma lo sono rispetto a domanda e offerta. Noi abbiamo 170 miliardi di investimenti da scaricare, dobbiamo realizzare una serie di infrastrutture. Al di là del costo delle materie prime e dello shortage, il tempo di realizzazione è molto breve. Io non so se il sistema industriale italiano, per capacità di offerta, è in grado oggi di realizzarlo entro il 2026. Ma non è un problema solo dell’Italia: parlo con i miei colleghi francesi e tedeschi, anche loro hanno gli stessi problemi. Quindi ci vorrebbe un atto di realtà a livello europeo. E dire che forse va riconfigurato il Pnrr europeo e modificato nella tempistica. Perché da quando il Pnrr è stato pensato a oggi, abbiamo avuto la crisi energetica e lo shortage delle materie prime. E anche alcuni principi fondanti del Pnrr, cioè passare dall’energia fossile alle rinnovabili, dato quel che accade nel mondo non sono più attuabili: abbiamo necessità di una transizione veloce fossile-fossile. E di investire su questi capitoli. Credo che in Europa non ci debba essere il tabù di affrontare una revisione, foss’anche una revisione temporale.
Questo governo, per come è configurato, ha le qualità per fare politica in Europa?
Non sono preoccupato, ma occorre affrontare questo tema. Innanzitutto, questo governo avrà necessità sui tavoli internazionali di conquistare la sua credibilità. Purtroppo quel che è successo tra il momento elettorale e il momento di formazione del governo, con tutte le affermazioni pubbliche che conosciamo, ha creato qualche problema e diffidenza sui tavoli internazionali. E quindi dobbiamo partire, purtroppo, in rincorsa. Dico purtroppo perché io tifo per l’Italia. Questo ci comporterà una perdita di tempo, che è una variabile che non ci possiamo concedere. Una delle cose che io chiedevo è un governo che dal giorno uno potesse prendere in mano i dossier e lavorare. Perché non abbiamo tempo da perdere. Anche perché sui tavoli internazionali gli altri paesi non sono fair nei nostri confronti, vediamo cosa sta facendo la Germania. Quindi dobbiamo per forza essere veloci e puntuali nelle decisioni.
Osservando la composizione del governo, Meloni ha scelto la difesa e non l’attacco anche per tutelarsi dai suoi alleati: tante figure di comprovata fedeltà, mancano però quei ministri che spingono sui provvedimenti. E’ un’impressione che condivide?
E’ un’analisi molto interessante, devo dire. La fibrillazione interna alla maggioranza dopo il 25 settembre ha portato l’attuale presidente del Consiglio a blindare la sua compagine di ministri – la possiamo chiamare “in difesa”, come l’ha definita lei. Perché Meloni ha voluto avere garanzie all’interno del governo. E dunque avere persone di sua assoluta affidabilità su tematiche importanti.
Lei avrebbe tenuto Cingolani al ministero della Transizione energetica?
Credo che Pichetto Fratin, il ministro che ha giurato sabato, sia una persona competente. E che per altro ha fatto il viceministro al Mise, quindi non è avulso dalla conoscenza della macchina pubblica. Sicuramente si trova proiettato su dossier importanti e molto tecnici: sull’energia basta cambiare una definizione e cambia completamente l’impianto normativo. Quindi sarà tutto molto delicato. Credo che si potrà avvalere della competenza dell’ex ministro: Roberto Cingolani è una persona molto seria, ha a cuore l’Italia, se gli dovessero chiedere di aiutare l’attuale ministro lo farebbe con piacere (Cingolani, si è appreso ieri, lavorerà a Palazzo Chigi come consulente per l’energia, ndr).
Gli elementi di continuità con l’esecutivo di Draghi la confortano?
Devo dire che aiuta molto. Come dicevo prima, noi abbiamo necessità dal giorno uno di essere operativi. Quindi se ci sono ministri che portano la conoscenza di quel che è stato fatto e della macchina pubblica, che non è facile da gestire, credo che sia un valore aggiunto.
L’inflazione sta esplodendo: questo potrebbe comportare la necessità di ricontrattare i contratti nazionali? Si può fare nel settore privato?
Questa è un’inflazione particolare, di importazione: materie prime, costi energetici. E quindi presupponiamo che sia un’inflazione che comunque abbia una curva. E’ ovvio che è stato eroso il potere d’acquisto, specialmente nelle fasce di reddito basse. Ma è per questo che noi, già dalla formazione della legge di Bilancio scorsa, chiedevamo un taglio contributivo del cuneo fiscale. Proprio perché volevamo mettere più soldi in tasca agli italiani. Noi abbiamo fatto una proposta ben precisa: per i redditi sotto i 35 mila euro, due terzi a favore dei dipendenti e un terzo a favore delle imprese. Il contrario rispetto al quadro attuale, perché è giusto dare di più a chi ora soffre di più. Questo consentirebbe di avere, per queste persone, 1.200 euro in tasca in più: praticamente una mensilità extra, per tutta la loro attività lavorativa. Nella legge di Bilancio 2021, i partiti invece hanno preferito suddividersi quel tesoretto che c’era in un bonus Irpef che non è servito a nulla. Non se n’è accorto nessuno. E oggi capiamo quanto avere 1.200 euro in tasca in più per quelle tipologie di famiglie, con questi costi energetici, sarebbe importante. Quindi non è tanto il contratto. Un rinnovo del contratto, anche defiscalizzato, quanto può portare in più? La platea di imprenditori lo sa: 100, 200, 300 euro? Cosa che oggi per altro le imprese non sono in grado di pagare, con la bolletta energetica che arriva. Il tema è abbassare le tasse sul lavoro: il nostro paese è il terzo paese Ocse per carico contributivo. Noi dobbiamo mettere più soldi in tasca agli italiani ma tagliando il costo del lavoro. Che è l’unica cosa su cui possiamo incidere per rimanere competitivi nella creazione di valore aggiunto. Questa è la vera sfida, su cui ultimamente vedo tutti convergere. Quindi mi aspetto che il nuovo governo intervenga seriamente.
Ultima domanda. Incontrerà Giorgia Meloni anche per ribadire queste urgenze?
Il presidente del Consiglio, già in campagna elettorale, aveva espresso il desiderio di avere un rapporto più forte coi corpi intermedi. Noi di questo siamo sicuramente contenti. In Italia, purtroppo, c’è stato un periodo di disintermediazione e oggi si vedono gli effetti. Quando il premier chiederà di incontrarci saremo a disposizione. E valuteremo l’azione di governo nel merito dei singoli provvedimenti, come abbiamo sempre fatto.
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