La coscienza di Rocco
L’hanno messo lì, in mezzo allo studio tv, il reduce dall’Isola (dei Famosi). L’hanno messo su uno sgabello con i pantaloni corti a fiori, tipo Hawaii, e la barba ancora lunga di chi si è cibato di bacche e radici per settimane, sotto il sole, ma pure sotto la pioggia, nella natura matrigna dei Caraibi non a cinque stelle, ma su Canale 5. L’hanno messo lì, Rocco Siffredi, e l’effetto è un po’ quello terribile del freakshow ai tempi delle esposizioni universali con zoo umano, come quello del pigmeo “Ota Benga”, messo in gabbia nell’America dei primi Novecento nell’omonimo romanzo di Antonio Monda (ed. Mondadori). E mentre Rocco Siffredi trionfa, pur non essendo arrivato primo, all’interno del suo personale “Truman Show”, con Alfonso Signorini e Mara Venier e i fan scatenati e tutti che sembrano volergli bene e applaudire la “svolta” dichiarata ufficialmente con intervista a Repubblica (cambio vita, all’Isola ho vinto la dipendenza dal sesso, ha detto ad Antonio Dipollina), il “Truman Show si fa benigno quanto la natura era maligna: e allora ecco sua moglie in studio, con abito da sera, sorridente ma anche un po’ accigliata, e i figli ragazzoni che sanno bene quale lavoro faccia il padre, dice il padre – la famiglia del Mulino Bianco, pare quasi, e sicuramente lo è pure, ché Siffredi dice di amare sua moglie più che mai, perché è l’unica che ha capito che non solo lei poteva bastargli. Non gli bastava, ma per una sorta di deformazione professionale e non per amore di altre. Era abitudine ai ritmi del set, e lei lo sapeva e l’aveva preso così, e lui ora le è grato, così grato che quando soffriva devastato dalla fame e dalle zanzare e dalla fatica, laggiù sull’Isola, poi piangeva, piangeva molto, promettendosi di diventare un “marito e padre migliore”.
E a questo punto bisogna dire che il finale era noto – almeno questo finale col Rocco di mezza età, che poi è l’inizio di uno strano Viale del Tramonto che non può essere, per motivi anagrafici (Siffredi è “solo” cinquantenne), un epilogo alla Philip Roth in “Everyman”, con l’uomo maturo che non si rassegna alla futura dissolvenza, tra forze che abbandonano, mente rabbiosa, cuore senile e amori disfatti. Siffredi appare pacifico, pacificato. Ma l’aveva detto, e l’aveva scritto nel 2006 (finale già noto, appunto), nella sua autobiografia “Io, Rocco”, che ora forse diventerà un film da portare al festival di Cannes, dice Rocco. C’erano pensieri anche malinconici, nel libro, oltre al racconto di prodromi e fasti della sua vita da pornostar, e c’era già un’insofferenza sotterranea per la modernità che avanzava: i set non sono più quelli di una volta, scriveva Rocco (che oggi dà la colpa a internet); non c’è più l’attenzione all’attore che c’era una volta, e pure se un film è porno, diceva il Siffredi diventato anche per quel motivo regista e produttore, l’attore devi trattarlo bene, perché è lui quello che deve provare per primo la “passione”, per far “sognare” gli spettatori. Questa la sua filosofia di lavoro. Ma la cosa incredibile era un’altra: il Rocco autobiografico disseminava nel libro indizi sul suo futuro da senatore e gran nostalgico dei tempi che furono (sempre nel porno ma pure in generale), tanto che oggi si può capire tutto da quelle frasi scritte quasi dieci anni fa: “Mi annoia un mondo in cui il pensiero è seriale, a tutti si chiede di essere performanti, di avere gli stessi ritmi; l’umanità mi piaceva molto di più quando c’erano caratteristiche personali che ci rendevano esseri umani distinguibili… la mia vita è stata un connubio molto violento di felicità e profonda tristezza, un caldo e un freddo continuo. Ho la sensazione che ogni volta che mi è successo qualcosa di fantastico ho immediatamente dovuto pagarlo. Ci sono persone per le quali l’esistenza è un lungo fiume tranquillo, senza alti né bassi. Per me non è stato così. La felicità è sempre andata di pari passo con il dolore. E tuttavia, se potessi rinascere e morire di nuovo, rifarei per mille volte esattamente le stesse cose”. Parlava di nuovo “razzismo”, Siffredi (in questo mondo “meriti rispetto solo per i tuoi soldi”), e il tema lo coinvolgeva: neanche ventenne si era imbarcato su una piccola petroliera, tanto per provare a fare qualcosa, lui figlio abruzzese di famiglia abruzzese con tanti figli e poche risorse, ma era stato sbarcato dopo qualche mese, e non soltanto per il mal di mare indicibile, ma perché il suo compagno di stanza, un ragazzo di colore, doveva tutti i giorni mangiare la minestra “corretta” dai bulli a bordo con troppo sale (“svuotavano la saliera nel suo piatto”, scriveva Rocco), e a quel punto il futuro attore pornostar l’aveva difeso, ed era scoppiata una rissa, ed era stata la fine di una possibile carriera in mezzo al mare ma anche la vera porta girevole. Poi c’era stato un viaggio a Parigi, un lavoro da cameriere, il primo grande amore e il primo grande ingaggio sui set porno. E allora non si può fare a meno di pensare alla subdola sorte che impone al Siffredi antirazzista il contrappasso dorato di oggi: il Rocco in gabbia sullo sgabello dello studio tv, con tutti che osservano lo strano fenomeno della pornostar redenta, nuovo pigmeo esposto, forse, e comunque “porno-pentito”, come scrive Francesco Merlo su Repubblica, vedendo in quel Rocco la conferma “che non esiste la parte ‘in chiaro’ dell’oscenità e che all’Isola dei Famosi la pornografia diventa subito un’altra cosa e, in qualche modo, dunque, si redime. Per essere ben frequentata, infatti, la pornografia deve restare nascosta nel ghetto di Eros-Priapos che neppure gli dèi dell’Olimpo vollero tra di loro… Rocco ha portato il porno dal gabinetto di decenza al nuovo salotto della signorina Felicita”.
Fatto sta che il Rocco redento non dialoga neanche più con quello che nel suo libro chiama “lo strumento di lavoro” – ché Rocco, in questo, era come il protagonista di “Io e lui” di Alberto Moravia, ma la mente, nel suo caso, era sempre d’accordo con l’impulso sessuale. Né ha il tormento, il Rocco post isola, post fame, post astinenza, post liti con altri forzati del naufragio volontario in déshabillé, dell’uomo di “L’odore del sangue” di Goffredo Parise, che si trova a combattere con il preludio della senescenza fisico-amorosa di fronte a una moglie che, per reagire all’angoscia di morte e alla palude della relazione spenta ma simbiotica, si mette col giovane maschio d’istinto (fascistoide). Ma il Rocco da confessione televisiva pare aver superato anche il se stesso rabbioso dell’autobiografia, il ragazzo diventato star del genere che intuiva l’alba del nuovo e brutto mondo pornografico (oggi su Repubblica Siffredi dice che “l’hard non ha scrupoli”, ma già dieci anni fa scriveva della “lotta senza quartiere” tra uomo e uomo sui set dei registi sempre più sbrigativi).
Resta sulla scena un Rocco ammansito che abbraccia in lacrime la famiglia con cui vive a Budapest (tempo fa, sul Venerdì di Repubblica, intervistato da Teresa Ciabatti, Siffredi aveva raccontato anche il suo primo grande dolore – il fratello morto a dodici anni per una malattia incurabile, e sua madre che faceva come fosse ancora vivo, apparecchiando tutte le sere a tavola anche per lui, per anni, con suo padre che la portava in Vespa al cimitero, vestita di nero, tutti i giorni, con pioggia, sole, neve o vento). Resta sulla scena anche il Siffredi da spot dei Mondiali di calcio (per la Durex), rilassato ma imborghesito, e sicuramente non inconsapevole come quando, qualche anno fa, i dj facevano a gara per intervistarlo perché in radio faceva audience, e in effetti Rocco parlava di musica, viaggi, Las Vegas, Miami o di dimensioni (le sue) come fosse sempre lo stesso argomento: tempo libero, divertimento, amore, piacere. Dopodiché questo Rocco-reduce da se stesso più che dall’Isola si inserisce nell’epoca del porno sdoganato: con i blog “colti” sul sito di Libération (“Sesso e genere”, dicono gli esperti dalla Francia), con le riviste accademiche americane sull’argomento (“Porn studies”, dicono gli esperti intervistati su Dagospia), con le “professoresse” pornostar (Valentina Nappi, su MicroMega e a “La Zanzara” su Radio 24), e persino con le pornostar che presto saranno principesse. Accade in Svezia, dove l’ex attrice porno e modella di lingerie Sofia Hellqvist si prepara a sposare il principe Carlo Filippo (una storia che colpisce Michele Serra su Repubblica, più che altro per i toni con cui è raccontata), ed è l’evoluzione estrema di Cenerentola, cui non basta più neanche “Pretty woman” per stare al passo con i tempi (pare che l’ex pornostar svedese abbia preso lezioni di stile e di portamento, manco fosse la piccola “Principessa Sofia”, vestito lilla e libro in testa, tormentone Disney per bimbe dell’asilo, le quali a volte trasecolano: “Ma perché Sofia deve fare così?”).
[**Video_box_2**]“Cerco di portare un po’ di buon passato in questa schifezza che è l’hard oggi”, dice Siffredi a Repubblica, candidandosi a custode dei tempi perduti e vissuti in prima persona più di vent’anni fa, quando ancora lui, Rocco, poteva dirsi felice su un set; quando ancora recitava con Moana Pozzi, simbolo di un universo quasi artigiano – tutti amici, tutti felici – in cui liberarsi, scriveva Siffredi nel suo libro, da attori ma anche da uomini. E quando qualcuno gli chiedeva “ma perché hai fatto l’attore porno?”, lui rispondeva convinto che non ci fosse lavoro migliore di quello: andare a letto per tutto il giorno con donne bellissime di tutte le nazionalità, e farne addirittura una professione.
Tornato dall’Isola in cui, dice, “è andato per autoterapia”, per vincere appunto “la dipendenza dal sesso” – sono cambiati i tempi pure in questo: gli hollywoodiani attori non-porno alla Michael Douglas andavano in cliniche di clausura nascoste allo sguardo del mondo, altro che telecamere 24 ore su 24 – Rocco evoca la generazione perduta da “Partito dell’Amore”. Moana Pozzi in primis, appunto, con le sue istanze post pannelliane da portare in Campidoglio, magari pure in Parlamento, e tanto per cominciare nel Partito dei pensionati, con Riccardo Schicchi sullo sfondo e Cicciolina già veterana dei comizi in piazza Navona (la causa animalista si sposava alla causa libertaria, allora: capitava di vedere, al ritorno dal liceo, strani levrieri accanto alla fontana del Bernini, e le pornostar in pelliccia con il cartello anti vivisezione). Moana si candidava a sindaco di Roma con la fascia tricolore e faceva della sua casa sulla Cassia l’avamposto della campagna elettorale, invitata alle tribune politiche, temuta “filosofa” del sesso, autrice di autobiografie in cui gli amanti illustri volevano e non volevano comparire, infine scomparsa con strana morte nel 1994, a trentatré anni, come Gesù Cristo. Una chiusura di sipario crudele e veloce che ne ha fatto per sempre la Marilyn Monroe del porno: improvvisamente malata e senza possibile cura, ma anche, diceva a quel punto la leggenda, misteriosamente partita, forse nascosta chissà dove. Si preferiva pensarlo, forse perché l’idea del male divorante strideva troppo con la sua immagine di donna-enigma suadente e solare, imitata su Rai3 da Sabina Guzzanti (quando ancora faceva ridere e non faceva crociate anti ogm per gli ulivi in Puglia, per non dire dei film sulla trattativa stato-mafia).
Nel ruolo del porno-attore pre-internet, Siffredi rimpiange la perdita dell’innocenza (pornografica), manca solo che dica “si stava peggio quando si stava meglio”, e si aggrappa per la salvezza alle lacrime da lui versate in diretta sulla spiaggia ostile (persino freddo, faceva, ai Tropici, ma Rocco doveva vestirsi soltanto di foglie, nemesi della “Playa desnuda”). Sono rinato, dice, con la faccia di uno che ha dormito cent’anni e si è svegliato nel futuro (“è rinato”, diceva di suo padre ultraottantenne, rimasto vedovo ma da Rocco omaggiato, un giorno, di qualche ora con una prostituta – e la mattina dopo suo padre correva sul tapis-roulant). Infanzia “semplice ma bella” a Ortona, così racconta Siffredi il suo passato, descrivendosi bambino scaltro, uno che già sapeva “che cosa fosse un capo”: c’era la guerra tra bande, a Ortona, nei cortili e nei campi, e si combatteva a chi per primo riusciva a distruggere la capanna costruita sull’albero dall’altra squadra. Capo contro capo, e lui era uno dei due. Ma oggi l’altra frase-tormentone delle sue vecchie interviste – “io entro in contatto col cervello delle donne” – pare provenire da un pianeta lontano, ché in questi mesi Rocco ha fatto il guru automotivazionale per sopravvissuti alla carestia, là sull’Isola, per esigenze di copione ma anche per esigenza sua, e ha dispensato consigli, e ha parlato di egoismo e altruismo come fossero il salvagente che salva da “YouPorn e quelle cose lì”, come dice lui. Solo che nessuno bussa alla parete del suo “Truman Show”, come nel film di Peter Weir dove la comparsa innamorata di Jim Carrey, ignaro protagonista della farsa – mondo tv spacciatogli per vero – a un certo punto cerca di avvertirlo che è tutto finto. E se Jim Carrey-Truman, dalla sua bolla di falsa verità, voleva scappare in barca per andare alle isole Fiji, neppure questo può fare il Rocco redento: all’Isola lui c’è già stato.
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