Nessuno mi può rottamare
Non ci fosse di nuovo sulla scena il settantottenne Silvio Berlusconi, politico generalista e demiurgo di tv generaliste che torna (a pena estinta) per dire che lui c’è – c’è e cambierà tutto in Forza Italia, c’è e farà il Partito repubblicano alla George Bush, c’è ma non farà comizi all’aperto perché è un “obiettivo dell’Isis”, c’è ed esterna (“Matteo Renzi sei un dittatore”) – ci si potrebbe ben lasciare andare allo stupore per il settantaseienne conduttore generalista Maurizio Costanzo che ricompare da replicante di se stesso alla guida dell’omonimo show. “Tornerò”, aveva detto un giorno. Ed è tornato, dopo aver tentato altro con alterne fortune, proprio sulla Rete 4 che per prima l’aveva ospitato – era il 1982 – nella veste di mago del cosiddetto “fritto misto”, il talk di “chiacchiera”, quello con i diversi tipi umani non necessariamente compatibili, ma messi seduti vicini-vicini sui divanetti: il pazzo e il saggio, l’estroso e il timido, l’inserito e il marginale, lo strano-ma-vero e il vero-ma strano. La più incredibile delle resurrezioni, potrebbe sembrare: un Costanzo che riemerge dalle proprie ceneri, dimentico delle meste “Notti mondiali” del 2010, in cui faceva duetti malinconici con Giampiero Galeazzi; un Costanzo illuminato dal cono di luce sul sipario scuro (non più del Teatro Parioli, ma degli studi De Paolis, via Tiburtina); un Costanzo appena indovinato nella sagoma da Alfred Hitchcock disegnata dal riflettore nel tondo luminoso sul velluto, e applaudito con standing ovation dal pubblico delle prime puntate.
Ma a questo punto della storia, nel paese della rottamazione, con il governo in teoria rottamatore, e gli antirottamatori del Pd sul cosiddetto “Aventino”, e Romano Prodi che rispunta sui giornali per dire che Renzi non è certo figlio del suo Ulivo, ed Enrico Letta preso da ira funesta in quel di Parigi, e Pier Luigi Bersani fatto fuori dalla festa dell’Unità ma indomito tra i Don Chisciotte della fronda interna ed esterne – a questo punto della storia, dunque – pare ordinaria amministrazione, il Maurizio Costanzo non pago che indossa ancora il suo gilet, ma come fosse veste da camera: ed è un Costanzo ammansito, quasi spiaggiato, privo del famoso sgabello. Sono tanti, ora, infatti, nel paese un anno fa sedotto dalla vis spazzatutto del premier, i protagonisti del passato politico e televisivo che, all’idea di pre-pensionamento o autoprepensionamento, fanno “cucù”, e pensano “col cavolo che ce ne andiamo”. Tanto che ci si domanda se abbiano tutti letto in contemporanea l’ultimo libro di Lidia Ravera, “Gli scaduti”, bibbia distopica per chi non vuole arrendersi al cambio della guardia, e anzi come si dice a Roma “intigna”, alla faccia di ogni teoria sulla vecchiaia che, arrendevole, cede al suo essere meravigliosamente vecchia: c’erano una volta i patti generazionali – “a sessant’anni me ne vado”, dicevano gli appelli di moda a inizio millennio – e c’era una volta lo scrittore-psicoanalista James Hillman, con il suo libro-manifesto sulla “forza del carattere” dell’uomo che fa largo a quell’essere “bitorzoluto” che è il se stesso anziano: bisbetico e smemorato, insonne e matto, ribelle e pacato, fumantino e ragionevole, soprattutto libero come mai era stato in precedenza.
Non è questione spicciola di anagrafe: chi l’ha detto che non siamo nuovi? Siamo quelli che trovano il nuovo sul web e lo ributtano in pista sotto la bandiera di un linguaggio tv che ha sempre funzionato. Questo era, più o meno, il messaggio del Costanzo che annunciava il proprio ritorno in un’intervista a Paolo Conti, sul Corriere della Sera, non più tardi di due mesi fa. Giovane? No, e allora?, sembra dire invece oggi Costanzo, oggi che la missione è compiuta e la conduzione della sua trasmissione storica, quella con 27 anni non consecutivi di messa in onda, si è fatta addirittura remake. C’è la passerella, c’è la sigla, ci sono i “vabbé” di Costanzo, ma è come se andassero in onda oltre la “sliding door” che s’affaccia su altre realtà: dall’“Isola dei famosi” sono arrivati infatti in studio Rocco Siffredi e signora, e il coautore Pierluigi Diaco, già compagno di Costanzo in tv e in radio; da “Amici” (o forse da casa, visto il tono confidenziale) è arrivata la moglie Maria (De Filippi); dal passato dello stesso “Costanzo Show”, e da mille-e-una liti su piccolo schermo, forse vere forse recitate, è giunto Vittorio Sgarbi, a insolentire Fiorello in collegamento, sì, ma prima di tutto a mettere in scena il canovaccio “lite con il figlio non voluto” Carlo Brenner. Perché il tema del Costanzo già paladino di ogni avanguardia pop, e sdoganatore della nouvelle vague sul gender (ma ante litteram: Platinette l’ha lanciata lui), è la famiglia. Famiglia pacificata e famiglia disfunzionale, famiglia spezzata e famiglia unita, famiglia etero, gay, cattolica, in vedovanza, in vacanza, ritrovata e negata. Ed è il triplo salto mortale, per il Costanzo ventriloquo del mutamento etico-sociale, ma anche fiero sbandieratore del suo status di ventennale marito della stessa donna (però dopo altre tre mogli-compagne). E si vede che la porta girevole è la cifra anche psicologica del conduttore cui un evento traumatico cambiò per sempre la percezione della realtà, in un giorno del maggio 1993: sarebbe bastato non cambiare macchina, non concedere un permesso per la serata al suo autista e l’attentato di via Fauro sarebbe riuscito, attentato di mafia contro di lui, Costanzo “l’amico di Giovanni Falcone” che bruciava magliette con sopra scritto “mafia made in Italy”, in doppia conduzione dalle piazze con Michele Santoro; e attentato contro chi era con lui, cioè Maria e la scorta (vent’anni dopo, nel 2013, Costanzo ha raccontato in un’intervista a Malcom Pagani sul Fatto l’episodio: “… Le sirene. La polizia. I carabinieri. L’inferno di cristallo… siamo vivi per una casualità”). Da una parte della porta girevole, nell’immaginario del suo pubblico, c’è questo Costanzo sopravvissuto, una sorta di “quasi eroe”; dall’altro c’è il fumo, poi dissipato, sul mistero della tessera P2. C’è il Costanzo editorialista e il Costanzo sceneggiatore, il Costanzo scopritore di Paolo Villaggio (e co-ideatore di Fracchia) e il Costanzo autore di “Se telefonando”, canzone del mito e ora della discordia Sgarbi-Fiorello (nella seconda puntata di questo revival di “Costanzo Show” Sgarbi davvero telefonava, mentre Fiorello cantava “Se telefonando”). E alla fine le sliding door diventano labirinto: stralci di vita extra show che comunque riportano per vie traverse allo show (il suo, di Maurizio: com’era prima, nella frenesia dello spostamento di sgabelli – se si annoiava Costanzo prendeva lo sgabello e andava a parlare con un altro ospite, e poi lo interrompeva – e com’è ora, quasi inamovibile, pacioso nel tono di voce, sempre più dedito agli sbuffanti “vabbè”).
Non è solo, il Costanzo replicante: ci si gira e ci si accorge che Raffaella Carrà è tornata dalla Spagna come clone vintage di se stessa (altro che tv del tweet e delle serie avveniristiche), e non si è limitata a cantare canzoni da film vincitore Oscar (“La grande bellezza” di Paolo Sorrentino), in coppia con il dj riempipista delle notti ibizenche Bob Sinclar. A forza di cantare “A far l’amore comincia tu” è rinata star televisiva, Raffa, e non è neppure alla lontana rottamanda. E se ci si affaccia alle anteprime-film all’Auditorium delle meraviglie, e un tempo della porchetta e di Renzo Piano, nel tripudio di seconde e terze Repubbliche accorse a vedere l’ultimo documentario di Walter Veltroni (“I bambini sanno”), non solo Renzo Arbore e Pippo Baudo vengono fotografati e fermati e guardati alla stregua di una Maria Elena Boschi: è Lorella Cuccarini l’attrazione fatale, una Cuccarini biondissima e sorridente come quando si aggirava nella cucina della pubblicità e ballava a “Fantastico” con la pettinatura cotonata, e ogni possibile ipotesi di avvicendamento generazionale impallidisce alla vista di tutte queste fotografie di ex star che tornano in auge travestendosi da icone che furono – allucinazione vuole, poi, che molti dei convenuti alla prima di Veltroni, Veltroni compreso, fossero gli stessi presenti sul palco di Costanzo, nel 2001, a Canale 5, per i vent’anni del “Maurizio Costanzo Show”.
“Quanti italiani pattinano sul ghiaccio?”, è stata la (perfida) domanda retorica con cui Costanzo ha annunciato, sempre sul Corriere della Sera, il suo remake, alludendo per contrasto allo spettacolo del sabato sera su Rai1, le “Notti sul ghiaccio” da vedere in famiglia come neanche “Lascia o raddoppia” negli anni pre-boom del secolo scorso, con padri, figli, fratelli, sorelle, mogli, mariti, nonni, bisnonni e cognati a casa dell’unico parente possessore di tv. Chi vuoi che pattini sul ghiaccio?, chiedeva Costanzo, in barba alla nuova moda di piccole pattinatrici con madri pattinatrici che cercano pure d’estate la pista coperta dove volteggiare a ritmo di canzoni incongrue sulla pista da olimpiade delle nevi (magari proprio la canzone di Raffaella Carrà & Bob Sinclair – tutto si tiene). E il sottotesto della domanda di Costanzo sui pattinatori era che mentre quelli pattinano su RaiUno (“capisco l’amico Giancarlo Leone, ma…”, diceva al Corriere), la vita vera era altrove, e precisamente nella “chiacchiera-fritto misto”, nel talk non-nuovo ma “capace di auto-rinnovarsi” che avanza “sulla rete meno contemporanea di Mediaset”, come ha scritto su queste pagine “Mastro Ciliegia” alias Maurizio Crippa, nei giorni in cui nei poli tv non Mediaset molti buttavano lì la battuta: “Maddai, ma allora esiste ancora, Rete 4!”.
[**Video_box_2**]Poi il giorno del debutto-revival è arrivato, e Costanzo forse si è sentito come quando, in anni di grande spolvero del suo show, andava in trasferta al Madison Square Garden di New York, sotto Natale, davanti a un pubblico oriundo, con la gente che si stipava sotto le telecamere come i bisnonni emigrati si ammassavano sul piroscafo della traversata verso il Nuovo Mondo: era il momento del saluto ai parenti in Italia, il momento di intonare l’inno nazionale con Little Tony in carne e ossa e in sala. Erano anni in cui Costanzo si divertiva, certo, ma a volte magari “non aveva voglia di andare in scena” (andando in scena tutti i giorni dal lunedì al venerdì). Questo aveva detto in un’intervista al Foglio nell’estate del 2001, quando il “nuovo” televisivo di allora, nell’euforia del primo “Grande Fratello” italiano, sembravano insidiare lo show tradizionale, e allora Costanzo andava di amarcord, pensando a quando il suo rivale, la sera, dopo il passaggio a Canale 5, era il film della serie “I bellissimi” su Rete 4. E la noia da camerino, croce e delizia dell’attore – se non è noia è ansia – a un certo punto poteva tramutarsi in incazzatura per il programma di prima serata “che sforava”, e allora Costanzo spostava sgabelli anche fuori scena (narrano le leggende che i sottoscala del teatro Parioli pullulassero di sgabelli identici a quello che Costanzo si trascinava dietro ossessivamente sul palco). Finì così, ma momentaneamente, l’ultima avventura dello show che vantava, e al tempo stesso negava, nobili ascendenze americane: “David Letterman? Ancora? Sì, forse abbiamo preso da lui, ma magari senza volerlo”, diceva Costanzo quando l’accostamento con il mattatore del più amato “late show” d’oltreoceano si faceva scontato o pressante.
Era la poetica autonarrata del talk che “rispecchia la vita vera”, con tutti i suoi momenti sguaiati e incasinati e i riti che potevano portare notorietà, a forza di assidua presenza sui divanetti di Costanzo, a tipi non simili tra loro e non sempre già famosi come Enzo Iacchetti, Vittorio Sgarbi, Dario Vergassola, Valerio Mastandrea o la suddetta Platinette. E in quelle notti sempre più tarde il Costanzo in origine giornalista, che non aveva voluto fare l’università per arruolarsi volontario a Paese Sera, della cronaca e della filologia del caso politico se ne infischiava (“a un politico chiederei di parlarmi di sé, altrimenti è meglio che non venga”, dice oggi. Ieri invece i politici li metteva sul palco “uno contro tutti”, motivo per cui qualcuno cominciò, in epoca pre-Porta a Porta, a chiamare il suo show “la terza camera”).
Nell’apoteosi di moderna tv smart, on-demand, verità, di fiction e docu-fiction, Costanzo e De Filippi procedono uni e bini. Quando li hanno chiamati “tv-spazzatura” hanno alzato le spalle (lei) o il baffo (lui), e l’hanno fatto fin dal momento in cui lei, diventata moglie, disegnava musi di topo come porte-bonheur sulla cartelletta con cui lui, diventato marito, andava in scena tutte le sere. Si capisce che adesso, a impero consolidato, compaiano volentieri a sorpresa, e come cameo, l’uno nello show dell’altra e viceversa: De Filippi ospite alla prima puntata del nuovo “Costanzo Show” sulla famiglia; De Filippi che sostituisce Costanzo nel salotto di “Che tempo che fa”, da Fabio Fazio (se Costanzo ha l’influenza), e Costanzo che spunta tra i giudici dei talent della moglie. Cosa vuoi che gliene importi, al Costanzo rinato in versione post generalista, se i detrattori deplorano le piazzate di Sgarbi, quando poi Loredana Berté, maschera tragica fin dal trucco e parrucco, eppure calmissima, racconta la sua storia di non-famiglia, con il padre-padrone (“non vedo l’ora che crepi”) che “buttava dal balcone” sua sorella Mia Martini per un sei in latino e con la madre “sposa-bambina” che “ci ha lasciate in mezzo a una strada”? E’ talk-show, forse pure reality-show, miscuglio di generi dati per morti infinite volte, ma si vede che a lui, al Costanzo risorto dalle ceneri, dell’epitaffio preventivo importa meno di niente (anche se ora non trascina più sgabelli, ché, forse, non c’è neanche più bisogno di spostarsi).
Il Foglio sportivo - in corpore sano