I tronisti della politica
Li vedi apparire sui teleschermi la mattina presto (allodole?) e riapparire la sera tardi (gufi?), alla faccia di qualsiasi teoria sui ritmi del sonno (si svegliano all’alba, vanno a letto all’alba). Sono ubiqui, instancabili, resistentissimi, ricercati e contesi come amanti capricciosi, cruccio assoluto dei responsabili della “caccia all’ospite”, i malcapitati che nelle redazioni dei talk-show devono minacciare, blandire, promettere e negare pur di strappare un “sì”, e pur di evitare che il “sì” venga detto al rivale di palinsesto. Come con i soprammobili, se ne può indovinare la sagoma sulla mensola in salotto anche se non ci si sofferma a guardarli. Sono i maratoneti degli studi televisivi, i destinatari del tifo o dello sberleffo sui social network, gli esseri bionici capaci di sdoppiarsi e farsi in tre per partecipare a quanti più programmi possibili. Sono i politici-tronisti di cui stiliamo un breve, arbitrario e incompleto catalogo.
LA NOUVELLE VAGUE (politico-tronista da poco assurto a tale rango)
Appartengono a questa categoria gli ospiti in studio fino a poco tempo fa mai visti (o quasi), e ora improvvisamente ricorrenti. Di solito sopportati con benevolenza trasversale dagli spettatori che non ne potevano più della vecchia guardia di ospiti ormai inamovibili dal parterre televisivo, fanno scattare subito nel non addetto ai lavori il seguente pensiero: “Fammi sentire sta faccia nuova che dice”. Sono spesso considerati, non sempre a ragione, più educati e/o preparati dei precedessori.
Barbara Lezzi, senatrice leccese del Movimento cinque stelle e vicepresidente della commissione Bilancio, anche detta dai fan su Facebook “la leonessa” (per via della chioma, del piglio e della capacità di sostenere monologhi di dieci minuti sul reddito di cittadinanza). Nel panorama grillino, dal punto di vista antropologico e televisivo, Lezzi è agli antipodi di Paola Taverna, senatrice e stornellista romana anche nota per la lite con l’eurodeputata pd Pina Picierno nel salotto di Michele Santoro, un anno fa. Lezzi è quella che, in questi giorni di intoppo sul “ricalcolo”, viene invitata per parlare di pensioni. Ma il suo cavallo di battaglia è il rapporto deficit-pil (“dobbiamo fare la scelta della Francia”, è il suo Leitmotiv). Momento clou: un giorno ad “Agorà”, parlando della Grecia, ha tirato fuori un “questi non si vergognano neanche davanti a un popolo allo stremo” che le ha fatto guardagnare vagonate di “like” della base su Facebook . Temprata, nell’ottobre scorso, dal bagno di folla della festa a Cinque stelle al Circo Massimo, Lezzi era quella con abiti in colori neutri che se ne stava al caldo sotto un tendone a spiegare agli attivisti che cosa non andasse nei provvedimenti altrui. Per via dei modi non truculenti, la senatrice si è guadagnata fama di “Cinque stelle che non sembra una Cinque stelle” presso le redazioni dei vari talk. Solo che l’apparenza inganna: Lezzi, anche se non sembra, è Cinque stelle ortodossa.
Carla Ruocco, deputata napoletana del M5s e membro del Direttorio voluto da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Meno pacata nell’eloquio della collega Lezzi, meno aggressiva della collega Taverna, a metà dal guado tra Cinque stelle di piazza e Cinque stelle-aspirante di governo, madre di due figli che fornisce sovente esempi di vita pratica a suffragare le sue tesi, Ruocco è una quarantenne dall’aspetto casual – tranne che a “Porta a Porta”, dove compare con eleborate bluse color notte. Negli ultimi tempi è stata protagonista di una mutazione stilistico-lessicale: lo slogan “dalla larghe intese alle larghe cosche”, suo tormentone ai tempi delle prime propalazioni d’inchiesta su “Mafia Capitale”, ha lasciato il posto a un fraseggiare da cittadina ventriloqua della vox populi esacerbata ma ragionevole (esempio: il racconto in prima persona sull’acquisto della carta igienica alla scuola pubblica e senza fondi dei suoi bambini. Ci si autotassa per sopperire alle necessità visto che nessuno fa niente, dice. Tuttavia è contraria a qualsiasi ingresso di fondo privato accessorio nel settore scolastico di stato).
Danilo Toninelli, deputato lombardo a Cinque stelle, già vicepresidente della commissione Affari costituzionali. Non nuovissimo sul piccolo schermo per via degli streaming 2014 sulla legge elettorale con Matteo Renzi, e riconoscibile dagli occhialoni vintage, Toninelli è un Luigi Di Maio meno severo, l’uomo cui toccò l’ingrato compito di spiegare per filo e per segno, anche agli attivisti dei “banchetti” digiuni di politica, in che cosa consistesse il cosiddetto “democratellum”, la proposta di legge elettorale a Cinque stelle emersa a tappe dalle viscere della rete. Apparentemente timido, Toninelli può riservare sorprese: scontri verbali con l’eurodeputata e candidata governatore della regione Veneto Alessandra Moretti, intemerate contro il ministro del Lavoro Giuliano Poletti durante i collegamenti con Giovanni Floris, frasi a effetto come “Renzi dovrebbe essere condannato per ‘austeritismo’” o “Renzi sulle pensioni? Furto con pistola e passamontagna”). Può eguagliare Barbara Lezzi, anche se non ancora Luigi Di Maio, per numero di “like” della base grillina durante le sue apparizioni tv.
Giorgio Sorial, deputato a Cinque stelle di origine egiziana, e Manlio Di Stefano, deputato a Cinque stelle siciliano. Entrambi di formazione ingegneristica, entrambi trentenni, uno con la barba l’altro no, fisiognomicamente e contenutisticamente non teneri, i due sono da poco presenti con una certa assiduità sui nostri schermi, anche se erano già noti per essere stati esponenti della linea dura grillesca contro il presidente emerito Giorgio Napolitano. Di Stefano nomina ogni cinque minuti la Costituzione, e ogni dieci le mafie e le coop corrotte. Sorial parla di riforma scolastica ricorrendo a frasi del tipo “la natura clientelare del Pd entra nella scuola attraverso la chiamata diretta” e del reddito di cittadinanza con toni da utopia non ancora virata in distopia (“voi attaccati agli zero virgola, noi l’economia della felicità”). Di Stefano invece vorrebbe ridurre tutte le spese militari. Frase tipo: “Preferite la dignità del cittadino o gli accordi internazionali?”. Momento clou: la discussione con Micaela Campana del Pd, durante una puntata di “Bersaglio Mobile”, a proposito dell’argomento-fissazione dell’ultima infornata di Cinque stelle televisivi: Salvatore Buzzi e la “Mafia Capitale”.
Alessia Rotta, giovane deputata pd, membro della segreteria pd con delega alla Comunicazione, già giornalista veronese a “Telearena”, votatissima alle primarie del 2012 per il Parlamento. Conosciuta dai telespettatori locali per via del precedente impiego, Rotta è diventata improvvisamente nota al pubblico nazionale dei talk-show per via della lite con Andrea Scanzi a “Dimartedì”, un paio di settimane fa, durante il dibattito sull’Italicum. E’ cominciata con Rotta che diceva “il paese ci chiede di essere governato” e con Scanzi che rispondeva “ma chi te lo chiede?”. E’ finita con climax di insulti: da “misogino lampadato” (lei a lui) a “miracolata”(lui a lei).
Anna Ascani, giovanissima deputata umbra del Pd, già da qualche mese invitata con frequenza, volto ricorrente sull’argomento scuola. Ex lettiana, figlia di politico democristiano, arrivata in Parlamento con cinquemila preferenze alle primarie, oggi parla da renziana con i professori in rivolta.
Massimiliano Fedriga, capogruppo alla Camera della Lega nord, classe 1980, nato in Veneto ma cresciuto a Trieste. Quando non compare in video direttamente Matteo Salvini, ecco che Fedriga lo sostituisce. Opposti nell’aspetto, ma sovrapponibili per contenuti, si presentano l’uno in felpa e l’altro in giacca. Quanto Salvini è roccioso, Fedriga è allampanato. Ma può capitare che Fedriga si scaldi anche più di Salvini, per esempio quando parla di immigrazione con il presidente della regione Sicilia Rosario Crocetta oppure quando si ritrova in trasmissione il Cinque stelle Manlio Di Stefano, la presidente della regione Friuli e vicesegretario pd Debora Serracchiani o la rappresentante dei rom Djiana Pavlovic.
Nicola Molteni, deputato lombardo della Lega nord e tesoriere del gruppo, classe 1976. Dopo la lunga apparizione di lunedì scorso a “Piazzapulita” sui respingimenti, forse anche per via del taglio di capelli squadrato, ha conquistato definitivamente la palma di “pariolino di Padania”.
Silvia Sardone, trentadue anni, membro della segreteria regionale lombarda di Forza Italia, consigliera di zona 2 a Milano, volto uscito dai brainstorming giovanili azzurri di Villa Gernetto (ma invisa a molti volti giovanili azzurri anche di Villa Gernetto). Complice il tormentone sul centrodestra che “non deve avere nostalgia” del patto del Nazareno, nel giro di due settimane Sardone è comparsa ovunque, e proprio mentre infuriava la tempesta fittiani-non fittiani. L’hanno chiamata “rottamatrice” (te pareva), ma anche “usurpatrice” (te pareva). Delle due l’una. Intanto lei, madre di due figli, bionda, camicia sgargiante, spunta a ogni zapping sui teleschermi, anche facendosi pubblicità da sola sul web.
Ettore Rosato, deputato triestino renziano del Pd, capogruppo in pectore alla Camera dopo le dimissioni dalla carica di Roberto Speranza. Mediaticamente non incasellabile: non impacciato, ma nemmeno troppo rilassato. Non pirotecnico, ma neppure soporifero. E’ il classico ospite da mattina, quello che di solito non sbrocca.
LA TERRA DI MEZZO
Appartengono a questa categoria gli ospiti in studio non nuovi al piccolo schermo, ma neppure vintage. Hanno spesso l’aria di essere in qualche modo sopravvissuti a se stessi o agli eventi.
Roberto Speranza, deputato lucano del Pd di minoranza, bersaniano, ex capogruppo alla Camera. Da quando, non senza tormento, si è dimesso dalla carica a Montecitorio, Speranza appare nei principali talk-show con lo sguardo mesto di un Gianburrasca al contrario, cresciuto senza fare neanche una marachella. Dice frasi come “non ho votato la fiducia al mio governo, mai avrei voluto farlo”, e lo spettatore distratto sobbalza, abituato com’è a vederlo nelle vesti del capogruppo che difende la linea anche se obtorto collo. Sono lontani anche i tempi in cui Speranza veniva apostrofato in malo modo in sala stampa da Alessandro Di Battista, deputato a Cinque stelle dai modi intemperanti, e chissà: forse a questo punto Speranza li rimpiange.
Stefano Fassina, deputato ribelle della minoranza pd, economista, ex viceministro delle Finanze. Ogni volta che appare a un “Otto e mezzo” o a un “Ballarò” pare la volta buona per l’estremo atto (di addio? di ripartenza?). La sua parlata leggendaria, sospesa tra accenti laziali e ultra-laziali, fa sì che gruppi di telespettatori-cultori si struggano di nostalgia, non vedendolo più con frequenza in tv all’ora di cena.
Anna Maria Bernini, senatrice di Forza Italia ed ex ministro per le Politiche europee nel governo Berlusconi IV. La si vede seduta impassibile sulle poltrone di Bruno Vespa, incurante del grado di virulenza giornaliera dei rapporti tra fittiani, non fittiani, berlusconiani fedeli, berlusconiani infedeli, ex alfaniani pentiti e post-renziani di destra sull’orlo della fuga. Veste con camicia e pantalone, pantalone e camicia (bianca). Si pettina da sempre nello stesso modo: capello lungo con frangetta. Tormentone: “Siamo stati cacciati con manovra antidemocratica nel 2011, lo dice anche Zapatero”.
Corrado Passera, ex ministro dello Sviluppo nel governo Monti, ex banchiere, attuale animatore del progetto – lui dice “viaggio” – verso la futuribile “Italia Unica”. L’effetto-sopravvissuto è assicurato dalle apparizioni in qualità di “memoria storica” dell’epoca dei tecnici, ma ancora di più dalle apparizioni nella nuova veste di pasionario di piazza antirenziano. Battuta-mazzata di Maurizio Crozza: “E’ come vedere Paris Hilton alla Caritas… L’esigenza di avere uno come Passera in politica è pari alla necessità di indossare i Moon Boot a Formentera”.
Susanna Camusso & Maurizio Landini: di tanto in tanto si rivedono, ma come in dissolvenza. Che lei parli di scuola e lui di “Coalizione sociale” (con tanto di programma), sembrano provati dal numero di repliche, in strada e nei talk-show, effettuate negli anni precedenti.
Maurizio Lupi, Giovanni Toti, Angelino Alfano: pur nella diversità di condizioni e posizioni, sembrano al momento preda della sindrome televisiva da affaticamento-rassegnazione che ha colpito Camusso & Landini.
Alessandro Di Battista, deputato a Cinque stelle, membro del Direttorio. I cultori del “Dibba”-show televisivo non si rassegnano a vedere il loro beniamino sostituito dal collega Manlio Di Stefano.
Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera, deputato a Cinque stelle, membro del Direttorio. Era la consolazione dei telespettatori non grillini, quelli che, nei primi tempi di profluvio internettiano di castronerie a Cinque stelle (le sirene, i microchip), pensavano “beh però questo almeno sa parlare”. Non sapevano che si sarebbe rivelato il più ortodosso degli ortodossi (ora insomma).
Paola Taverna, senatrice a Cinque stelle. C’è chi ha nostalgia dei suoi “ao’”, nonostante il successo di pubblico e critica della compostissima collega Barbara Lezzi (vedi a “Virus” giovedì scorso).
I VINTAGE
Appartengono a questa categoria gli ospiti politici in studio da tempo immemorabile. Fanno tutt’uno con l’arredamento, e se non li vedi per un po’ quasi quasi ti preoccupi.
Daniela Santanchè, deputato di Forza Italia, combattente berlusconiana, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Ha partecipato a tutto ciò che il convento televisivo ha passato, non importa su quale argomento. Quando si parla di Islam non la ferma nessuno. Ogni tanto se n’è andata da qualche trasmissione, per poi tornare.
Debora Serracchiani, vicesegretario del Pd e presidente della regione Friuli Venezia Giulia, ex “volto nuovo” del Pd. Anche detta, nel 2009, “l’Amèlie Poulaine” del Partito democratico. Da allora a oggi, in tv, ne ha viste più di Carlo in Francia. E infatti sembra a volte non poterne più (“eehh”, dice all’inizio di ogni intervento, sospirando). Di solito non litiga, ma litigò con Rosy Bindi durante un approfondimento post Leopolda a Skytg24. Quando il grillino co-ospite nel talk parte in quarta con l’invettiva anti-Pd, il sospiro di Serracchiani si fa più profondo mentre dice “Questo non c’è scritto da nessuna parte”.
Simona Bonafè, eurodeputata pd renziana: compariva indefessa in tempi pre-governativi, compare indefessa in tempi governativi. Si sforza di sorridere, ma si vede che la saturazione da talk sta arrivando al livello Serracchiani.
Giorgia Meloni, deputata romana di Roma (Garbatella), leader di Fratelli d’Italia, ex vicepresidente della Camera, ex volto di An, giovane per l’anagrafe ma in politica da vent’anni. Proverbiali gli occhi che si alzano al cielo quando qualcuno dice qualcosa che non le va giù. Più agguerrita di ieri lei, più coraggioso di ieri il suo abbigliamento.
Paola De Micheli, deputata pd e sottosegretario all’Economia. Certezza del talk in orario notturno, da non renziana prima e da renziana oggi.
Pina Picierno, deputata pd. Certezza del talk con accesa discussione.
Laura Ravetto, deputata di Forza Italia, e Davide Faraone, deputato pd: difendono la rispettiva linea, ma se c’è da scherzare scherzano.
Matteo Salvini & Renato Brunetta: a pari merito conquistano la palma dell’ubiquità televisiva, passata e presente. Brunetta è stato protagonista di storiche liti con i conduttori, da Michele Santoro a Massimo Giannini, nonché con gli altri ospiti. Salvini, presente almeno una volta al giorno su tutti i teleschermi, porta in dote a ogni apparizione una diversa frase iperbolica: si va da “gli immigrati perbene sono miei fratelli” a “affittiamo un’isola per metterci chi arriva, come fa l’Australia”.
Antonio Di Pietro. L’inimitabile “uomo del trattore” dell’Idv che fu, ora redivivo sugli schermi per litigare con Alba Parietti a proposito di vegeterianesimo imperante (nel salotto di Giulia Innocenzi al ri-debutto ad “Announo”, su La7).
Il Foglio sportivo - in corpore sano