Cristo è morto, l'islam no
Parte da lontano Pierre Manent, una delle ultime teste pensanti d’Europa, autore di un saggio, “Situation de la France”, che esce oggi da Desclée de Brouwer (190 pp., 15,90 euro) e offre una disamina senza pregiudizi del rapporto con l’islam e della necessità di trattarlo con coraggio. Al centro delle polemiche, il libro gli è già valsa da parte dei laici indignati l’accusa di abbandonare la Francia e l’Europa al jihad e di proporre ricette irrealistiche. Liberale, cattolico per scelta, essendo nato in una famiglia di comunisti, filosofo della politica, autore di saggi importanti sul liberalismo, su Machiavelli e Montesquieu e Adam Smith, Manent denuncia il lassismo e la stanchezza morale dell’Europa di fronte alla minaccia dello Stato islamico. Parla senza giri di parole di guerra aperta sul fronte esterno e sul fronte interno. Ne scrive in modo limpido, argomentando con pacata energia, e invoca la prudenza aristotelica, la phronesis, che da esperto studioso di Aristotele e Leo Strauss reputa una delle qualità più indispensabili a noi moderni, dilaniati come siamo tra la pressione inattesa di un mondo che crede nell’ordine della legge divina e le nostre pusille aspirazioni a salvaguardare il solo interesse materiale, estendendo oltre ogni limite i diritti dell’individuo sovrano.
E’ questo infatti il nodo del libro. Punto di partenza di Manent è l’incompatibilità insanabile tra due schemi di pensiero che generano due opposti stili di vita. “La mia idea è semplice”, spiega l’autore al Foglio. “Una comunità come l’islam prende forma in virtù di alcuni costumi che intendono obbedire alla legge di Dio, dunque non può dissolversi nei suoi elementi costitutivi in una serie di individui titolari di diritti inalienabili, come vorrebbe l’ideologia democratica. Per trent’anni abbiamo vissuto sul presupposto errato che i musulmani entrano a far parte della società francese e diventano ipso facto titolari di diritti, fra i quali la libertà di credere nella religione di Maometto. Ma in realtà i musulmani non sono passibili di diventare individui atomizzati. L’islam ha una sua consistenza collettiva, indissolubile nella società dei diritti dell’uomo. E, d’altra parte, nemmeno l’Europa è una pianura dei diritti dell’uomo, dove alcuni agenti garantiscono il rispetto dei diritti individuali. Al contrario, noi europei siamo una forma di vita umana, con le sue componenti specifiche. Il problema dunque non è solo di assicurare i diritti di tutti, ma di inserire pacificamente la forma di vita musulmana, certamente circoscritta, con alcune riserve, escludendo certi aspetti e vietandone altri, in uno spazio sociale pieno, dal volto umano e morale”.
Eppure, quando parla di incompatibilità tra i musulmani e l’Europa, e quando insiste nel dire che l’islam politico e il mondo musulmano ci pongono di fronte a una dimensione radicale della religione, fornendo la confutazione stessa della secolarizzazione e della morte di Dio alla quale ci avevano abituato l’ateismo illuministico imperante, Manent sembra mettere in questione l’idea del cristianesimo come religione della fine della religione. “A lungo abbiamo vissuto su una certezza delle società democratiche contemporanee, secondo la quale la religione come fatto sociale e dimensione collettiva, la religione come comunità, fosse destinata a scomparire. Era l’idea dell’ateismo progressista, che è stata profondamente interiorizzata anche dal mondo cristiano. I cattolici del Concilio Vaticano II hanno accettato di fondersi in questa sorta di nuova chiesa postcristiana che sarebbe l’umanità cosciente di sé. E il cristianesimo si è dissolto in una religione dell’umanità. Adesso, però, questa bella narrazione viene a essere profondamente rimessa in discussione, prima di tutto dalla ricostituzione di una piena esistenza degli ebrei. In Francia si parla solo di islam. Invece bisogna insistere sull’importanza della composizione del popolo ebraico, che si è ridato un’esistenza politica completa, e si è costituito come comunità politicamente indipendente dalle nazione europee. In questo senso, il giudaismo si è rivelato insolubile nella società democratica moderna, e dotato invece di una sua consistenza spirituale che chiede di perseverare nell’essere”.
E il mondo islamico? “Con altro stile e in altre dimensioni, attraverso uno sviluppo caotico e a volte inquietante, anche il mondo islamico ha dimostrato di non essere passibile di dissoluzione nell’umanità unificata. Anzi, per l’islam l’umanità unificata è la comunità dei credenti, che non ha affatto bisogno della nostra umanità senza religione. Perché gli islamici hanno l’umma. La comunità dei credenti, che si è impegnata in un movimento di riaffermazione di sé, all’interno di sé con l’islamismo politico e nel rapporto con ciò che finora era fuori dal mondo musulmano, e cioè con l’occidente, pone l’occidente su una posizione difensiva estremamente precaria”.
Lei parla di posizione difensiva. I fautori del politicamente corretto l’accuseranno di islamofobia. “Insisto. Dobbiamo sottolineare un aspetto che i laici non avvertono. La posizione dell’occidente è difensiva perché noi non sappiamo come rapportarci a un mondo che ha altre norme, diverse dalle nostre. Non basta la laicità per contrastare l’islam. E diversamente da quanto sostengono i politici radicali, la laicità nemmeno serve a integrare i musulmani”. In effetti, lei chiarisce nel suo libro che la laicità non consentirebbe la dissoluzione della componente musulmana nella società dei diritti dell’uomo, perché storicamente è nata come sintesi delle forze repubblicane e radicali, sulla base di valori forti e soprattutto comuni, come la nazione, lo stato, l’amministrazione dello stato, della lingua e della scuola, che oggi invece sono diventati termini che fanno ridere.
[**Video_box_2**]“La laicità, o meglio, la separazione tra lo stato e la chiesa, presupponeva una preliminare unità, oggi scomparsa. Cattolici e repubblicani erano sicuri di dividersi la Francia, oggetto del loro contendere. Si affrontavano sulle norme da dare alla vita francese. Non è questo il caso del rapporto col mondo dell’islam che viene da fuori e resta straniero. Oggi il problema è far entrare i nostri amici musulmani nella vita francese: nulla ha a che fare con quello della Terza repubblica, che doveva arginare la presenza un po’ troppo pesante della chiesa sul governo, sul governo dell’educazione e sulla vita sociale in generale. Allora si trattava di circoscrivere il potere sociale e educativo della chiesa, sulla base di una realtà condivisa e sacra per tutti, e cioè la nazione, la Francia”.
Oggi la nazione ha vita grama sia come idea sia come pratica. “Oggi da un lato i musulmani di Francia restano in larga parte estranei alla vita della nazione, dall’altro la nazione ha deliberatamente abbandonato il sentimento di essere una comunità sacra che si ha il dovere di preservare per far vivere nell’avvenire. E’ chiaro che se i francesi si prefiggono l’obiettivo di diventare europei, il progetto di riunire i musulmani in una associazione francese finisce per diventare contraddittorio. Sicché assistiamo a una corsa verso la dissoluzione: vogliamo integrare i musulmani in una Francia che vuole integrarsi in un insieme europeo, il quale a sua volta vuole integrarsi in un mondo senza frontiere…”.
Dunque, sul piano teorico, integrare i musulmani in Francia sembra un problema irrisolvibile, ma sul piano pratico lei propone una serie di misure concrete. “I grandi riferimenti della vita politica moderna, i diritti umani, la tradizione illuministica non ci aiutano a risolvere il problema con cui ci stiamo misurando. Dobbiamo dunque inventarci una nuova prudenza apolitica, che lasci da parte i grandi princìpi, guardando alla realtà delle associazioni umane. Dobbiamo capire, e insisto su questo aspetto, che l’islam costituisce un’associazione umana non passibile di dissolversi nell’umanità dei diritti dell’uomo. Dobbiamo trovare un’altra strada e un altro modo per inserire la comunità dei musulmani nella comunità francese, dando un senso concreto alla cosa, per evitare di ricadere in proposte astratte e inefficaci”.
La Francia però resta la patria dell’universalismo filosofico moderno, come si fa a rinunciare alle idee astratte? “La Francia significa diritti dell’uomo, eguaglianza, libertà; ma significa anche una nazione di marca cristiana, dove gli ebrei hanno un ruolo importante. I musulmani dunque non si integrano in una spazio vuoto dall’umanità astratta. Bisogna tenere conto della realtà e pretendere che il governo ne tenga conto, perché prima di essere l’amministratore dei diritti dell’uomo, è il responsabile di un paese che ha una forma di vita, una società, una sociabilità nelle quali il cristianesimo e il cattolicesimo hanno esercitato un ruolo preponderante”.
Diritto naturale e storia, dunque, ritorno a Leo Strauss? Eppure, a complicare le cose, lei mostra la preterintenzionalità di questo ruolo del cristianesimo, che procede per secoli nell’ignoranza di sé, quando ricorda nel suo libro come fu proprio separando radicalmente i princìpi politici dai princìpi del cristianesimo che gli europei misero in pratica e convalidarono la separazione radicale che era al principio dello stesso cristianesimo, con le misteriose parole di Cristo nel Vangelo di Matteo, “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. “L’idea aristotelica e tomistica, secondo la quale noi siamo animali sociali e politici, è un invito a riconoscere le principali articolazioni collettive del mondo in cui viviamo, perché il ragionamento politico è innanzitutto pratico e impone di capire che cosa stiamo facendo. Ora, l’articolazione collettiva del mondo in cui viviamo non consente di guardare ai musulmani come a un gruppo di individui, ma come a un gruppo di credenti. Il contenuto intimo della loro fede non è politicamente rilevante, mentre lo sono i loro costumi. E’ l’islam dei costumi che dobbiamo integrare. I musulmani che vivono secondo certe usanze devono entrare nella comunità francese, vanno attratti, a condizione di un compromesso: noi dobbiamo essere meno cavillosi verso i loro costumi, accettandone alcuni, e loro in cambio dovranno rinunciare alla dipendenza nei confronti della umma e dell’insieme del mondo arabo musulmano. Cosa ben più difficile, me ne rendo conto, per i governi francesi che da anni hanno lasciato nel dimenticatoio la formazione degli imam, subappaltandola al Marocco”.
In concreto dunque cosa propone sul velo, sulle piscine separate, sulle mense scolastiche? “Penso che sia inutile insistere sul divieto del velo nelle scuole o difendere a spada tratta, sino a farne un punto d’onore, la carne di maiale nelle scuole. Per il velo c’è una legge e va applicata. Ma se il velo lascia il volto scoperto non ci sono ragioni solide per vietarlo. Mentre il velo integrale, il burka, o il niqab vanno banditi. Ci sono vari modi per venire a patti su certi aspetti della vita quotidiana, e andrebbero incoraggiati, senza per questo mettere a repentaglio i princìpi della vita europea. Che alcuni genitori vogliano orari separati per i loro figli adolescenti in piscina, non mi sembra una pretesa esorbitante. In fondo, chi di noi ha una certa età ha conosciuto le scuole solo femminili e solo maschili, e ha frequentato corsi di nuoto in classi separate, senza che questo rappresentasse un regime contrario ai diritti elementari della persona umana. Ripeto sarebbe un compromesso auspicabile, un gesto di amicizia”.
Non avrebbe l’effetto di incrementare il fai da te del multiculturalismo? “Si tratterebbe di una semplice facilitazione che andrebbe affiancata da un’esigenza nuova. Misuro bene la difficoltà della mia proposta che consiste in un’affermazione di indipendenza, intellettuale, organizzativa, finanziaria, nei confronti di un mondo arabo-musulmano percorso da movimenti estremamente inquietanti. Ma se noi ci mostriamo desiderosi di vivere in amicizia, chiedendo ai musulmani di entrare nell’amicizia fisica, possiamo anche pretendere che loro, certo senza tagliare i ponti, assumano piena indipendenza nei confronti del mondo arabo-musulmano. E’ questa la vera posta in gioco che i francesi s’ostinano a non vedere, quando continuano a assumere posizioni demagogiche sulle mense scolastiche, sulle piscine separate, anziché compiere un vero sforzo per obbligare i musulmani di Francia a prendere in mano la responsabilità dell’islam in Francia”. Insomma prudenza e mano tesa per integrare meglio i musulmani in Francia separandoli dalla umma, e neutralizzando la tentazione di affiliarsi al califfato. “Per affrontare questo rischio, i musulmani devono essere più integrati. La Francia deve essere una scelta per loro. Se vogliamo neutralizzare l’eventuale attrazione del radicalismo islamico o del salafismo, i musulmani devono entrare nella vita della nazione, scegliere la Francia per decidere di vivere in Francia, in modo che il loro futuro sia la Francia e non la umma. La mia non è una proposta facile, lo so. E a chi mi accusa di essere irrealista, obietto solo che se non riusciamo a inserire i musulmani francesi nella vita europea, rimaniamo in uno stato di frammentazione distruttivo per tutti”.
Allora la profezia di Michel Houellebecq, quella cioè di una sottomissione, di un’islamizzazione morbida e irresistibile è realistica? “Houellebecq ha scritto un libro giusto e molto significativo. Ci offre una buona diagnosi della tentazione di una classe politica e in generale di una società estremamente stanca, la quale, dopo aver rinunciato a tanti aspetti della sua indipendenza nazionale, è pronta forse a cedere all’islam se ciò gli assicura un’apparente tranquillità, presentandosi in un momento di crisi con risorse finanziarie illimitate come i paesi del Golfo, che ottengono per questo un’influenza crescente”.
Il Foglio sportivo - in corpore sano