Marilyn Monroe, l’ipermiope Pola di “Come sposare un milionario” (la regia era di Jean Negulescu, il film uscì nel 1953)

Le quattrocchi

Fabiana Giacomotti
Dalle sfilate al calendario Pirelli: indossare occhiali non è mai stato così sexy. Un postulato di rilevanza sociale. E un’industria che tira. Credevano che per trasformarla in uno schianto di donna bastasse ordinarle di sciogliersi i capelli e di levarsi gli occhiali. Invece

Ora che Annie Leibovitz ha reso cool gli occhiali da vista fotografando Yoko Ono e Fran Lebowitz con le lenti graduate per il calendario Pirelli 2016 e che la musa di Karl Lagerfeld, Cara Delevingne, si scatta i selfie sfoggiandone un paio con la montatura da gufo disneyano, possiamo finalmente dedicare un lungo articolo alla vendetta estetico-sociale di noi quattrocchi. L’abbiamo attesa a lungo. Per capire quanto, fingete di non sapere che le royalty sulle vendite di occhiali permettono a diversi marchi della moda italiana di pagarsi le sfilate e le campagne pubblicitarie, e che dunque non è particolarmente significativo vederli inseriti nello styling di una collezione, e provate invece a focalizzare la memoria sullo stereotipo estetico-vestimentario della segretaria efficiente nelle commedie cinematografiche del secolo scorso: occhiali da ipermetropi, tailleur abbottonato grigio e chignon altissimo sul capo. Fino a quando quel genio di Delbert Mann non ne fece un modello di ironia ne “Il visone sulla pelle” (“ma come, nei film funziona sempre”, esclama desolato Gig Young vedendo l’assistente di Cary Grant brancolare scarmigliata e senza occhiali come un pipistrello a mezzogiorno), almeno tre generazioni di donne, e molti uomini, hanno creduto che per trasformare un cesso a pedali in uno schianto di donna bastasse ordinarle di sciogliersi i capelli e di levarsi gli occhiali. Le lenti graduate, di quel genere convesso che solitamente si definisce “fondo di bottiglia”, sembravano infatti rappresentare l’unico grado di separazione fra la direttrice di un collegio per signorine e una femmina da letto: il semplice gesto di toglierglieli era sufficiente per rivelarne il potenziale erotico, un po’ come accade nella favola di Biancaneve col bacio vivificante del principe necrofilo che ne ha aperto la bara di cristallo e che infatti sarebbe sempre vetro, addizionato giusto di un po’ di piombo. Intimarle poi di scuotere la chioma, richiamo sessuale secondario come chiunque sa e i musulmani meglio di tutti, equivaleva a darle il via libera all’esercizio di una sessualità fino ad allora repressa e che un visus limitato sicuramente favoriva.

 

Anche senza richiamare la solita immagine di Marilyn Monroe mentre passa in rassegna i muri col naso alla ricerca dell’appartamento di Lauren Bacall in “Come sposare un milionario”, a lungo e soprattutto alle donne è parso ovvio che lo sguardo liquido e vacuo di un pulcino suscitasse maggiore senso di protezione di quello di un rapace notturno, e che sfoggiarlo segnasse dunque un punto a loro favore nella caccia all’uomo. L’uso costante degli occhiali suggeriva inoltre una frequentazione con i libri e lo studio che invece molti, non sfacciatamente ma tuttora, reputano noiosa e che infatti, non a caso, funziona anche in senso contrario: non c’è manuale di self coaching che non suggerisca a una donna, specie quando vistosa, di infilarsi un paio di occhiali da vista anche falsi prima di un colloquio di lavoro per garantirsi almeno l’aura dell’autorevolezza e della serietà. Un assioma codificato per secoli, interiorizzato da molti uomini e attivamente promosso dalle donne fino a pochissimo tempo fa, oltre che dalla narrativa e dalla cinematografia, sosteneva infatti che la donna con gli occhiali fosse una secchiona sessualmente frustrata. Una blue stocking, saccente e sciatta come la brutta “calza blu” che qualificava le letterate nell’Inghilterra del XVIII secolo, oppure, naturale derivazione dell’assioma precedente, che fosse una libertina sotto mentite spoglie, una bomba innescata a cui basta offrire la vista di un muscolo maschile guizzante per attizzarne gli istinti, da cui il ricco filone erotico della bomba del sesso seduta dietro la cattedra o anche sopra, con le gonne rovesciate in testa e in luogo dello chignon.

 

Una ricerca condotta di recente dal sito journalism.co.uk avrebbe dimostrato che oltre il novanta per cento degli uomini trova sexy le donne occhialute ma, non avendola vista granché ripresa dai grandi media, ho il sospetto che sia stata pilotata o che abbia teso a valorizzare le giornaliste del sito stesso, quasi certamente provviste di lenti come chiunque faccia della scrittura e della lettura una professione o una passione esclusiva. Per questo, migliaia di donne hanno camuffato nei secoli dietro occhiali affumicati la propria miopia, spacciandosi per fotofobiche che era già un difetto più accettabile e che in più donava un’allure misteriosa; quindi si sono prosciugate le cornee coprendole con le lenti a contatto per decenni e per diciotto ore al giorno, e infine si sono rassegnate all’operazione a laser, talvolta subendola anche più di una volta che, come avrete intuito, rappresenta per filo e per segno il mio calvario da quando, a dieci anni, scoprii gli effetti delle notti trascorse a leggere sotto le coperte con la pila accesa perché non filtrasse la luce da sotto la porta della camera, allertando i miei genitori. Se non si è mai rischiato il destino di Marcia D. Bennet dei Peanuts, non si può capire con quale ostinazione una adolescente possa rifiutare di indossare lenti correttive, e d’altronde Barbie, il modello femminile attualmente più frequentato a Milano grazie alla mostra al Mudec, non ha mai portato gli occhiali da vista: giusto quelli da sole, grandissimi e con le lenti rosa, per proteggersi l’incarnato durante le gite sulla decapottabile. Insomma un vezzo, non una necessità. Nel giro di pochi mesi, è cambiato tutto. Sulle passerelle di Max Mara, di Gucci, di DSquared2, è apparso infatti un gruppo di bellissime in occhiali da vista. A causa della faccenda delle royalty a cui si accennava nelle prime righe, il fatto in sé non sarebbe stato per l’appunto dirimente, non fosse che, per la prima volta, lenti e stanghette sono state indossate con baldanza sotto velette e acconciature a fiori e questa, forse lo ricorderete, è la panoplia di cui Adrian veste l’insopportabile Rosalind Russell in “Donne” mentre siede in prima fila alla sfilata, sferruzzando e sibilando malignità.

 

Le ragazze e i ragazzi no gender immaginati dal direttore creativo di Gucci, Alessandro Michele, di cui tanto si è scritto e discusso (Riccardo Chiaberge ha voluto dedicare loro addirittura una voce nella nuova edizione del “Libro dell’anno” Treccani), ne hanno replicato con maniacale precisione lo stile in apparenza goffo, dai fiori posticci alle camicette di chiffon fino all’occhialetto, rivoluzionando l’estetica occidentale forse per il prossimo decennio. Ian Griffiths, direttore creativo di Max Mara, si è rifatto invece direttamente al periodo milleriano di Marilyn Monroe, replicandola in decine di modelle con gli occhiali dalla montatura che per convenzione internazionale si definisce “a gatto”. Non a caso, era anche l’unico modello tollerato dalle dive hollywoodiane degli anni Cinquanta in poi e cioè fino all’avvento dell’era di Diane Keaton e di Giorgio Armani alla fine degli anni Settanta, quando lo stile di riferimento della classe intellettuale e chic diventò, ed è tuttora, quello semplicissimo, rigoroso, perfettamente circolare dei “roidi da ogli” del cardinale Ugo di Provenza pittato da Tommaso da Modena alla metà del XIV secolo; lo stesso di Gandhi che arriva da Londra a Bombay indossando il dhoti e i sandali e mettendo in mora il formalismo occidentale di lord Willingdon nel 1919 e, per conseguenza diretta, lo stesso di John Lennon quando canta “Imagine”, che è anche il sottofondo musicale al video di backstage del nuovo calendario Pirelli, fatta eccezione per la clip di Patti Smith che invece ha voluto posare ascoltando l’ingresso degli dèi nel Walhalla dal “Rheingold” di Richard Wagner e non si può fargliene un torto, perché questo è proprio un calendario eroico, negli intenti come nelle scelte.

 

[**Video_box_2**]Indossare occhiali da vista, dunque, non è solo diventato sexy, come tanti ci ripeterebbero da anni e forse non li abbiamo mai sentiti, stordite che siamo; è diventato cool, figo, che è ben altra cosa, in quanto postula non solo l’appetibilità sessuale, di cui al limite potremmo fare a meno, ma la rilevanza sociale, che in tempi di Instagram e di Facebook è invece fondamentale per galleggiare fra precariato lavorativo, affettivo e sentimentale. Dopo decenni di relativa invisibilità stilistica e di modellistica infinitamente riproducibile fra le valli del Cadore, stanno infatti conoscendo una nuova giovinezza artigiani storici dell’occhialeria come Alessandro Spiezia di via del Babuino, dove un tempo ordinavano i nuovi modelli Pietro Germi e Federico Fellini, che abitava a un passo, e ora può capitare che entri Papa Francesco per sostituire le sole lenti economizzando sulla montatura, ma vanno affacciandosi anche giovanissimi imprenditori di guizzo modaiolo. Fra quelli di cui si parla, che stanno curiosamente tutti a Roma e che all’occasione vestono anche Toni Servillo, ci sono i Mondelliani, sempre a caccia di blogger da ingaggiare, oppure i selezionatori di montature d’antan di VintageGoo, in via Giulia, che nell’agenda di costumisti e designer sta scalzando la Foto Venezia Ottica di Milano o i mitici Chierichetti di corso di Porta Romana dove si rifornisce il sindaco uscente, Giuliano Pisapia, che alla città hanno donato un patrimonio incalcolabile di fotografie storiche. Lo scorso autunno, le immagini scattate dal fondatore della Chierichetti, Arnaldo, in una Milano ancora navigabile, sono state protagoniste di una delle mostre di maggiore successo della stagione, e ora arricchiscono il fondo a disposizione degli studiosi e degli appassionati, che non smettono di sospirare sul ponte delle sirenette e anche sulle casette e i lupanari del Bottonuto, il quartieraccio scomparso per lasciare il posto alla via Albricci e a piazza Diaz.

 

Ma se Roma contende a Milano il primato nella nascita di nuove boutique dove ordinare un modello unico, è online che sta affermandosi il primo brand imprenditoriale ad aver inventato una montatura nuova non solo nell’estetica ma anche nella funzionalità, che è praticamente un non dato dall’epoca del pince nez e da quando Conrad von Soest dipinse il famoso “Apostolo degli occhiali”, e correva il 1403. La linea di occhiali in questione si chiama Movitra Spectacles e, per essere onesti, ancorché declinabile in una marea di colori e in un acetato morbidissimo, ha uno stile che ricorda davvero molto quello dell’iconico apostolo. Ampi, tondi, importanti e persino un po’ imponenti. L’innovazione sta infatti nella meccanica della montatura che, ruotando su se stessa, permette di chiudere le stanghette su entrambe le lenti, proteggendole così da ogni inconveniente. L’idea geniale, e come poteva essere altrimenti quando ne va della propria vita sociale e affettiva, è di un’amica dei tre giovani fondatori, una di quelle mamme quattrocchi che rischiano di vedersi strappare gli occhiali dal pupo ogni cinque minuti e di doverli poi raccogliere da terra con una mano continuando a reggere il pupo con l’altra. Una scelta di praticità, innanzitutto, conferma il brand manager di Movitra Spectacles, Giuseppe Pizzuto, cofondatore del brand con Filippo Pagliacci e Diego Ponzetto, a cui è seguito il design: tre modelli diversi, studiati con una serie di produttori del consueto e in apparenza imprescindibile Cadore.

 

Nascono tutti sotto le Dolomiti, gli occhiali italiani che poi fanno il giro del mondo: fra quell’immenso parallelepipedo di cristallo e tinta blu con occhiale-monolito sul piazzale che è la sede di Luxottica ad Agordo, e il museo dell’occhialeria di Pieve di Cadore, e nascono quasi sempre in piccoli laboratori, terzisti di caratura familiare che, una volta completato l’ordine, portano nella sede della multinazionale il prodotto pressoché finito. Da una di queste aziende creatrici e collettrici, la De Lotto, sta uscendo anche uno dei nuovi talenti del settore: è il nipote del fondatore, si chiama Nathan, gioca a hockey sul ghiaccio e va naturalmente ancora a scuola, visto che ha solo diciassette anni. Mentre l’azienda di famiglia produce quasi esclusivamente occhiali in acetato per le griffe della moda, una per tutte Balenciaga, lui li lavora a mano in legni diversi, leggerissimi, e poi li dipinge. A uno a uno: a fiori, righe, finti tatuaggi, pseudo graffiti. Dietro invito, ne ha portato qualche paio all’ultima Mostra del cinema di Venezia. Le attrici se li sono strappati di mano.

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