Via della Conciliazione e sul fondo la basilica di San Pietro rimasta al buio per alcune ore: era mercoledì 2 dicembre. La città si sente un po’ come una Las Vegas del mattino dopo

Roma città spenta

Marianna Rizzini
Scene da uno straordinario Commissariamento Capitale, con clash di decoro, degrado e festività. Il Cupolone oscurato, l’albero di Natale che stenta ad accendersi, piazza Navona senza bancarelle. La notte dello spirito di caciara.

Per un attimo è stato il panico. Dopo che il Cupolone s’era oscurato nel bel mezzo della sera (per blackout, esercitazione antiterrorismo o imminente punizione divina, chissà), e dopo che il tradizionale albero di Natale in piazza Venezia era rimasto per due giorni mezzo pronto e mezzo no, issato ma non illuminato, senza decorazioni e senza lumi, s’era diffusa la notizia che il prefetto commissario Francesco Paolo Tronca, che poco compare sulla scena a differenza del molto mediatico prefetto Franco Gabrielli, avesse deciso di spegnere pure il concerto di Capodanno. Ed è stato troppo per la città che tra il deflagrare di “Mafia Capitale” e l’inizio del Giubileo – un anno esatto di tormento senza estasi – si sente evidentemente come una Las Vegas del mattino dopo, quando i casinò che la sera si ergevano nel buio, enormi e luccicanti mastodonti del kitsch, all’alba rivelano senza scampo tutte le magagne: gru in azione sul retro, impalcature cadenti, facciate posticce come quinte teatrali, insegne grigiastre che non lasciano indovinare la loro natura notturna e fluorescente, e poi finestre che non riescono più a nascondere, sotto il sole, le tende dozzinali, portieri d’albergo assonnati che ciondolano nel caldo sotto un portico, ragazze-croupier che finiscono il turno con il trucco colato.

 

E a Roma, all’idea che oltre a tutti i guai da deviazione bus e metro C in sempiterna incubazione, ci si dovesse pure rassegnare alla notte non della ragione ma dello spirito di caciara (ché è difficile contestare apertamente la linea commissariale “risparmio, sicurezza & decoro”), l’onda anti spegnimento si è innalzata da più angoli, in simultanea. Ed ecco che l’ex sindaco Francesco Rutelli, già animatore di un convegno sulla “Prossima Roma”, scriveva la lettera aperta: “Non spenga Roma”, diceva Rutelli a Tronca, perché “Roma non può avere soltanto le cerimonie del Giubileo. E’ una grande capitale internazionale e si farebbe un favore ai terroristi, a una dinamica di paura e di ripiegamento, se si cancellasse la musica dalle piazze proprio a Capodanno”. Il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, invece, si aggrappava alla diplomazia: “Io spero che si possa recuperare questa cosa, sono in contatto anche con il prefetto per vedere se con un nostro aiuto si può recuperare e so che il prefetto sta lavorando in questo senso”. Persino la morigerata parlamentare centrista Paola Binetti, ex protagonista di battaglie pro-life e anti-gender, twittava rammaricata: “Niente concertone di Capodanno al Circo Massimo, ai Fori Imperiali o piazza del Popolo. Zero feste. Peccato, era stato un Capodanno fantastico!”, e a parte la curiosità scatenata nei cultori del personaggio e nei pettegoli a prescindere – di quale passato Capodanno parlava mai Binetti? – si produceva in men che non si dica la strana situazione per cui la notizia del ripristino del concerto di Capodanno precedeva sui giornali l’annuncio ufficiale del prefetto, anche un po’ punzecchiato dalla stampa per il temporeggiamento, con frasi del tipo: per forza non viene nessuno; a furia di dire “sì, no, ni”, i cantanti hanno già preso impegni, e non vi lamentate se poi Francesco De Gregori va a suonare a Castelsardo. Ci sono i Negramaro “già opzionati”, sì, ma non si sa chi metterci a contorno, e alla fine il tentativo prefettizio del “niet” alla caciara pare essersi risolto in un’immagine da presepe alla rovescia, con fantomatici “promoter musicali” che si dirigono in Campidoglio come Re Magi in processione. E allora qualcuno è tentato dal guardare con sospetto a chi c’era prima, ovvero all’ex sindaco marziano poi giamburrasca Ignazio Marino, che ricompare in riunioni di sostenitori oltranzisti in quel di San Basilio (quartiere romano), per lanciare l’idea non tranquillizzante di un ex primo cittadino disarcionato che al Pd locale fa l’effetto che faceva a Macbeth il fantasma di Banco, comparso a un banchetto a memoria dei torti e a presagio di vendetta. E siccome Marino aveva deciso di fare non uno ma quattro concerti in periferia, uno per ogni fermata delle linee di metropolitana esistenti (A e B), e dunque uno a “Battistini”, uno a “Rebibbia”, uno a “Laurentina” e uno ad “Anagnina”, c’è chi dice che, previsti quelli (gli eventi decentrati), non restasse più budget per questo (l’evento centrale). Tuttavia non è neanche il concerto in sé a turbare i romani dei Palazzi, ma l’angoscia di dover rincorrere le altre città: la Milano che il capo supremo dell’Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone, ora anche supremo revisore di carte bancarie, glorifica come “capitale morale” (e che avrà il concerto in piazza Duomo); la Torino che almeno può annunciare un Vinicio Capossela; la Napoli dove – quasi un affronto – suonerà il romano Max Gazzé. Ci si mette pure il Movimento 5 stelle, manicheo di suo e comunque avverso ai botti di Capodanno in tutta Italia – figurarsi a Roma, dove su twitter ora serpeggia l’indignazione grillina locale per il “no” detto dal Consiglio del Quattordicesimo municipio alla mozione di M5s che, hanno scritto gli attivisti, “chiedeva un’ordinanza per vietare l’utilizzo dei fuochi pirotecnici” la notte del 31 dicembre. E se nel Parlamento nazionale il M5s si accorda con il Pd sui giudici della Corte costituzionale, nel Quattordicesimo municipio romano il M5s mette sotto accusa “il voto di astensione del Pd e delle altre forze di minoranza… Ci saremmo aspettati un voto unanime e una presa di posizione netta contro una pericolosa tradizione che fa registrare ogni anno numerosi incidenti, ma così non è stato”.

 

E però il Capodanno di piazza, salvato ora da oblìo ma a rischio “poveracciata” (evento non riuscito o riuscito con molta sciatteria), è soltanto un simbolo. C’è poi quell’angoscia senza nome che prende all’improvviso molti genitori romani all’idea del Natale e della Befana senza bancarelle in piazza Navona – che quando c’erano, alla sola vista, provocavano moti di snobberia e disgusto (“ormai è tutto di plastica”; “è la fiera del consumismo”, “i dolci fanno schifo”; “non c’è più l’artigiano dei presepi di una volta”; “vendono solo abeti nani”; “il tiro a segno con peluche in premio è ributtante”; “ormai sono tutti banchi dei Tredicine”, dal nome della famiglia che annovera tra i suoi membri e tra i suoi parenti molti bancarellari e caldarrostari). Ma adesso che le bancarelle non ci sono, uno se lo dimentica, che non ci sono, e capita che resti sgomento di fronte al vuoto del selciato attorno alla Fontana dei Quattro Fiumi, tantopiù che i bambini tendono ad aggirarsi delusi, in cerca del croccante e del finto Babbo Natale (ora i finti Babbi Natale si vedono soltanto alle manifestazioni serali dei Pattinatori del Pincio, gruppo attivissimo anche su Facebook). Restano soltanto, nella piazza, come vestigia del passato bancarellaro che fu, i piccioni e la giostra con i cavalli decorati a specchietti, giostra a questo punto incongrua (gira per lo più mezzo vuota).

 

[**Video_box_2**]Il fatto è che abituarsi al processo di graduale spegnimento della cosiddetta “caciara”, per giunta in anno di Giubileo (“ma non doveva portare più gente?”, continuano a chiedersi commercianti e albergatori, che non sanno più se dare la colpa al timore delle azioni Isis o alle ordinanze prefettizie), significa passare attraverso tante piccole prese di coscienza: dove regnava il Degrado, ora ci dev’essere il Decoro, e i due personaggi si contendono la ribalta a giorni alterni, anche se capita che la lotta Decoro-Degrado non riguardi tutti: in nome del Decoro, così ha deciso il commissario Tronca qualche tempo fa, non devono esserci centurioni, finte guide e risciò tra i Fori quasi pedonalizzati da Marino e il Colosseo, e neppure i cosiddetti “urtisti”, i venditori di souvenir che due giorni fa hanno manifestato impedendo per quasi un’ora l’accesso dei turisti all’Anfiteatro Flavio. E a guardare la scena dal monitor del computer, durante la diretta del Corriere.it, si veniva catapultati nel bel mezzo di una guerra tra “noi poveracci che proteggiamo i turisti dagli zingari” (così dicevano gli urtisti) e “gli abusivi davvero” (e partiva l’accusa degli urtisti e dei centurioni contro “l’edicolante che s’è fatto l’edicola di venti metri” e “il bangladescio che s’è arricchito” mentre “qua noi pagamo 12 mila euro de tasse”). “Semo regolaaaari”, gridava il capo-urtista, avvicinandosi minacciosamente alle transenne e prendendosela con Diego Della Valle, pagatore di restauri ma anche uomo nero che “se vole pijà tutto”. E nel suo reportage su Repubblica Francesco Merlo descriveva i “legionari-patacca” in flash mob, ciascuno con “una sua dolente storia personale di impoverimento”, come “squadroni” del “piccolo malaffare urbano” che “caricano e irrompono nel Colosseo come la fanteria pesante di Tito Livio al grido di battaglia ‘se nun magnamo noi / nun magnate manco voi / e nun magna nemmanco Della Valle’” (rieccolo). Poi, nella lotta tra Decoro e Degrado, spunti la notizia che pare inventata: trattasi della storia della “benedizione apostolica personalizzata su pergamena pontificia con tanto di emblemi della Santa Sede e di fotografia di Papa Francesco” (ma falsa). Pare che la Guardia di finanza abbia sequestrato nei giorni scorsi tremilacinquecento pergamene contraffatte, per giunta nella giornata in cui il ministro dell’Interno Angelino Alfano e il comandante generale della Guardia di finanza Saverio Capolupo presentavano i primi risultati del piano d’azione “Jubilaeum” contro le forme di abusivismo e frodi legate all’Anno Santo. E un Alfano dolente prendeva la parola per dire che sì, lo sapevano, al ministero, “che il Giubileo sarebbe stato aggredito dal malaffare e dai truffatori”, e che sì, si erano “attrezzati per il contrasto”, tanto che nella prima settimana d’azione anti taroccamento erano stati sequestrati “già un milione di prodotti”. Ma la storia della pergamena si rivelava suggestiva per i maniaci delle dietrologie sul web, anche perché la stamperia abusiva delle “benedizioni apostoliche” recanti i finti stemmi papali, con dicitura personalizzata e in quattro lingue, si trovava dietro al Vaticano, particolare di per sé capace di ispirare trame alla “Codice Da Vinci”. E quella vendita di benedizioni false riportava alla mente dei più impressionabili e complottisti tra i pellegrini le peggiori reminiscenze scolastiche, tanto che sui commenti internettiani alla notizia spuntava a un certo punto il post di tale “Luca C.”, che nella foga gridava addirittura alla “vendita delle Indulgenze”.

 

Intanto, in città, l’azione commissariale antidegrado si dispiega nel modo più prefettizio possibile, senza grancassa ma pure senza apparente permeabilità alle critiche (e però il concerto di Capodanno dev’essere l’eccezione che conferma la regola, se è vero che l’accerchiamento degli illustri sostenitori della festa di piazza ha fatto sì che infine si producesse nel prefetto il ripensamento, a patto che gli sponsor coprissero tutte le spese). E però a un certo punto, vista l’aria generale di austerity e mestizia, i gestori dei locali di Trastevere, quelli che la sera vedono fiorire (o infuriare, a seconda dei punti di vista) la cosiddetta “movida”, si sono preoccupati: “Non è che questo (sempre Tronca, ndr) ce vie’ a chiude’ tutti a mezzanotte?”, è il timore di un barman a due passi da Piazza Trilussa. “Che famo se questi vanno a pija’ i regazzetti ’mbriachi a Santa Maria in Trastevere?”, è l’interrogativo di un pizzaiolo in zona San Francesco a Ripa. E l’ansia preventiva dello spegnimento rende il clima della Roma del 2015 simile a quello della Bologna del 2008, quando Sergio Cofferati, allora sindaco-sceriffo, vietava, in funzione anti-bivacco, la vendita di bevande alcoliche e quasi quasi pure dei panini bisunti nelle piazze del fancazzismo studentesco.
E si sta come d’inverno aspettando la prossima ordinanza, anche se ancora in balìa della piaga biblica: il guano degli uccelli migratori che quest’anno non se ne sono ancora andati nei paesi caldi (e nulla ha potuto la tentata soluzione pulp: scatenare dei falchi texani per attaccare i migratori in volo e provocare così il cambiamento di rotta. Risultato: nessuno, a parte lo spavento non dei migratori ma dei passati che un pomeriggio, nei pressi di Largo Argentina, guardando per terra, hanno visto inspiegabili, sparuti cadaveri di volatili tra una fermata di taxi e un marciapiede – e l’immaginazione stavolta correva non dalle parti di Dan Brown ma di Paul Thomas Anderson, che in “Magnolia” faceva piovere rane dal cielo.

Di più su questi argomenti:
  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.