Truman Grillo Show
E a questo punto della storia tra Beppe Grillo e la tv, e tra la tv e Beppe Grillo, torna in mente lo spazzolino da denti. C’è uno spazzolino da denti di plastica, diceva Grillo quando faceva soltanto il comico e nei suoi monologhi tirava sempre fuori due pezzi da risata amara: quello delle patatine Pai – che potrebbero essere prodotte a chilometro zero e invece, tra una cosa e l’altra, per arrivare nei negozi fanno fare talmente tanti viaggi ai camion che il riscaldamento globale praticamente è colpa loro – e quello dello spazzolino. Lo spazzolino da denti di plastica, derivato dal petrolio e contaminato dal cloruro della tinta con cui lo colorano, diceva Grillo, finisce ogni tre mesi nell’immondizia perché il tuo dentista di fiducia ti dice che devi cambiarlo ogni tre mesi. E allora ogni tre mesi venti milioni di spazzolini fanno un volo nella spazzatura e vengono bruciati, e i cloruri diventano diossina e la diossina va nell’aria, e se piove la diossina va nel mare, viene assorbita dal plancton, il pesce mangia il plancton, tu esci, vai al ristorante, mangi il pesce e ti sei mangiato il tuo spazzolino da denti. E adesso, a vedere questo Grillo tutto intento a girare attorno alla questione “la tv è morta ma anche no” (e i Cinque stelle forse ci sono caduti dentro), non si può fare a meno di pensare che a lui sia accaduto quello che accade agli spazzolini dei suoi sketch: il comico nato fuori dalla tv, diventato dio della tv, cacciato dalla tv, cresciuto nell’assenza di tv, poi tornato come il fantasma di Banquo davanti al Macbeth-tv che l’aveva ucciso (con il blog, la rete, il pianeta Gaia, gli uni che valgono uno purché lontani dal piccolo schermo, salvo poche eccezioni e sempre con molta cura della mise-en-scène), alla fine è stato risputato dal fato come tubo catodico in sé. E tu mangi Beppe Grillo e tv, tv e Beppe Grillo, con Grillo che neanche più si preoccupa di quelli che su Twitter e Facebook gli dicono: ma come, cinque anni fa gridavi “la tv è morta da un pezzo, gli unici a non saperlo sono quelli che ci vanno” e adesso i tuoi sbandierano, come inno di battaglia, quell’“andremo nelle tv” a cancellare gli effetti mediatici del cosiddetto “caso Quarto”? Tutto deve ora scorrere sullo schermo: la sindaca che non si dimette, Roberto Saviano che dal web fa il maestrino, le intercettazioni in cui si confondono i contorni di chi sa, di chi non sa e di quanto si sa, con conseguente autoscontro dei moralismi (del M5s, del Pd, dei manettari d’ogni colore) e scoppio delle contraddizioni dentro e fuori dal blog del capo.
Ma il problema non è degli altri, dei soldati e soldatini, delle controfigure, dei comprimari di quel Grillo primattore che sta sul palco pure quando non ci sta. Il problema è sempre e comunque suo, dell’uomo che è stato al tempo stesso cancellato e riplasmato dalla famosa cacciata televisiva (1986, “Fantastico 7”, battuta sui socialisti italiani in Cina nella Cina dove tutti sono socialisti e allora “a chi rubano?”, questo era il concetto cui seguì allontanamento e il nulla, per un po’). Da quella sera del 1986 Grillo diventava il Grillo di oggi, da un lato orgoglioso dall’altro insoddisfatto per aver passato anni e anni nello spazio che sta attorno e di lato alla televisione-matrigna (della serie: io me ne vado ma sarà un arrivederci, un tormento mio e vostro di presenza-assenza). Ed ecco il girovagare per Teatri Tenda sempre più pieni, fino a trovare la via per riaffacciarsi ai grandi numeri, ma non con l’espressione mansueta del Grillo da pubblicità dello yogurt – maschera bambinesca da finto santone telepatico – bensì con il ghigno scanzonato del tribuno che nel settembre 2007, mentre il primo “Vaffa-Day” partito dal web invadeva i piccoli schermi, sembrava parlare al se stesso di vent’anni prima: rieccoci, siamo di nuovo qui, dove tutto è davvero cominciato. Perché è chiaro che quello che c’è stato prima, nella storia del comico-ex comico, è stato soltanto preludio della pièce, materiale per il mito delle origini che non del tutto illumina il seguito. Il resto sono aneddoti su Pippo Baudo che in una sera del 1977 va al locale “La Bullona”, a Milano, e scopre quel cabarettista genovese stralunato, e come la fata di Cenerentola lo trasporta con la zucca al quiz “Secondo voi” e poi a “Fantastico”, e il cabarettista, dai e dai, “dal basso”, come direbbe lui ai suoi in seguito, a forza di far ridere con battute sugli avanzi di Natale che restano in frigorifero fino a Pasqua, arriva a condurseli da solo, i programmi, e ad andare in giro oltreoceano (in “Te la do io l’America” e in “Te lo do io il Brasile”), stand-up comedian on the road, con il pubblico che comincia ad aspettarlo, il suo monologo, e con lui che, non più “dal basso”, prende talmente sicurezza da bruciarsi le ali, Icaro della battuta che cade rovinosamente al suolo (per hybris? per distrazione? per divertimento?). Ed è stato lo stesso Baudo a dirlo, nel 2007, intervistato da Fabrizio Roncone sul Corriere della Sera: “… sì, Grillo fu sbattuto fuori dalla Rai, ma io credo che fu proprio allora, diciamo nelle settimane successive, che Beppe cominciò ad assaporare il gusto dell’allontanamento… a diventare un escluso di professione… io ci ho sempre provato a richiamarlo: gli ho offerto di tutto, da ‘Sanremo’ a ‘Domenica In’…”. E lui? “Lui rifiuta, dice che ormai fa altre cose”, diceva Baudo, “ha questo suo blog, e poi riempie teatri e piazze”.
Senza la caduta, e senza la cacciata, e senza la conseguente diffusione a mo’ di leggenda della favola nera del Grillo allontanato – l’uomo che cammina da solo senza video – non si sarebbe mai creato il contro-mito del Grillo anticasta che fa le pulci all’Eni e alla Telecom e nel frattempo sviluppa attitudini superomiste (Stretto a nuoto, Sicilia a piedi, comizi sotto la neve) e luddiste, con distruzione di computer sul palco – altra mise-en-scène, altro segno e simbolo – per poi diventare Blogger Supremo delle Coscienze. Il tutto lontano dalla tv ma senza mai perderla di vista, e sempre più chiaramente a un passo dal rientrarci con tutte le scarpe, in tv, seppure a modo suo: interviste solo alle reti straniere (nel 2013, prima e dopo la vittoria alle elezioni politiche), su sfondo di drappo rosso, nero o bianco, in modo che non si potesse indovinare da dove si trasmetteva (dalla villa sopra Genova? dalla spiaggia di Marina di Bibbiona? dal sottoscala dell’Hotel Forum a Roma?). Un passo dopo l’altro si procedeva verso la chiusura dell’antico cerchio catodico, ma nel contempo il percorso e il punto di arrivo venivano negati: l’intervista alla rete svedese o turca? Io sì, ma voi truppa meglio di no, se poi è italiana per carità, e la comparsata da Barbara D’Urso a “Pomeriggio Cinque” dell’allora senatore Marino Mastrangeli da Cassino, ex poliziotto dai modi ruspanti, veniva sancita negativamente con l’espulsione. Intanto, però, si preparava il terreno per la successiva mise-en-scène, e il senatore Vito Crimi, indimenticato mito tragicomico (e di fatto televisivo) degli streaming con Roberta Lombardi al cospetto di Pier Luigi Bersani ed Enrico Letta, si faceva intervistare a “Porta a Porta”, dunque in tv, per sconfessare pubblicamente una presenza tv (quella di Mastrangeli, appunto).
Sempre in tv si finiva, ripresi da telegiornali e talk-show, anche se per interposto schermo di computer, e cioè dai video che rimandavano in diretta l’assemblea dell’espulsione, con i neodeputati e neosenatori a Cinque stelle che piangevano, si arrabbiavano, criticavano, se ne infischiavano e infine cacciavano – sempre di cacciate televisive si parla – il Mastrangeli reo di talk-show, e senza che Grillo dovesse ricomparire in video in prima persona. Lui, Mastrangeli, godeva a quel punto attimi di notorietà effimera, mentre gli osservatori avanzavano il dubbio: Mastrangeli aveva partecipato a un talk, sì, ma attraverso interviste pre-registrate e dunque in teoria non aveva davvero violato i diktat della Casaleggio Associati. “Non è che avete cacciato Mastrangeli perché non buca il video?”, era l’accusa, ma poi il mare si era subito richiuso sopra le teste dei neoparlamentari espulsori e del loro leader, televisivo più che mai proprio nel momento in cui si negava. “E’ come in amore”, dicevano allora i più romantici tra i politologi, “vince chi fugge”. Ma Grillo non era mai fuggito. Né dal palcoscenico (anzi: trasformava in palcoscenico qualsiasi luogo) né dallo schermo, tanto che il suo “Tsunami tour 2013”, seguito passo passo da telecamere pubbliche e private, era stato per mesi una gigantesca non-stop televisiva.
E più tornava a essere televisivo, Grillo, più il suo contro-mito non catodico subiva gli assalti dalla realtà. E allora si passava alla fase: “Va bene mandare in tv quelli che almeno reggono botta” e sono riconoscibili anche come “caratteri” nel canovaccio: Alessandro Di Battista il passionale, Luigi Di Maio il freddo, Barbara Lezzi la compassata, Paola Taverna la castigamatti, Danilo Toninelli il bravo ragazzo. Lui, Grillo, si concentrava sull’effetto suspense: darà o no l’intervista a Enrico Mentana su La7? Comparirà o no da Bruno Vespa su RaiUno? Si concederà soltanto a Skytg24 o anche a Mediaset? E nel gioco di ruolo (con lui inseguito e i media inseguitori), c’era sempre la miratissima uscita in cui Grillo all’improvviso faceva “maramao”, con l’aria di chi si fa riprendere obtorto collo: una volta usciva dall’ascensore della Camera, l’altra volta dal retrobottega, l’altra volta ancora spuntava in bicicletta, in macchina, dietro a un ombrellone. Epperò tutto si svolgeva, di fatto, sempre e comunque in tv.
[**Video_box_2**]“In scena non devi chiamarti ‘Giuse’”, devi chiamarti Beppe, gli aveva detto il mentore Baudo poco dopo l’incontro a “La Bullona”, locale dove il giovane comico genovese aveva fatto un monologo di due ore anche se in sala, la prima sera, c’era soltanto uno spettatore (Baudo stesso). Torno un’altra volta, aveva detto Pippo, ma Grillo aveva insistito, come tutti gli attori: no, lo spettacolo lo faccio lo stesso. E da attore Baudo sempre lo tratterà, anche dopo la metamorfosi di Grillo in paladino delle masse indignate. “Gli voglio bene, non voglio che si faccia male”, diceva Baudo al Corriere, incredulo: ma davvero questo si mette a fare politica?, doveva essere il retropensiero, se la risposta all’intervistatore si faceva monito all’amico di un tempo: “… un paese non si migliora con le battute di un comico, si migliora facendo politica!”. E vai a immaginare che Grillo, dopo aver opposto altri gran rifiuti al ritorno in tv, come nei grandi amori da “se mi lasci ti cancello”, avrebbe trovato la terza via che gli permetteva di essere in tv senza metterci piede: prima i post, poi i video, poi la tv casalinga da blog, quella “Cosa” le cui trasmissioni, nei primi mesi del 2013, parevano una parodia dei programmi da Cortina di ferro: luce verdognola, stesso annunciatore a tutte le ore, videoriprese con mano tremolante dalla camera e cucina di un qualche aspirante consigliere comunale in Puglia, Marche o Sicilia, e per il resto streaming ininterrotto di comizi del leader, pause del tour in camper del leader, colloqui del leader con i cittadini adoranti e interviste endogamiche (grillino che fa domanda a grillino) ai Cinque stelle ancora sconosciuti, prima e dopo l’ingresso in Parlamento. Poi il diluvio, cominciato come pioggerella di comparsate dei Cinque stelle più “mediatici”, a condizione che fossero soli con il conduttore, e finito con il grido (liberatorio?) “andremo nelle tv!” . E si capisce che molti Cinque stelle pensino “meno male”, vista anche la resa dell’ultimo video autoprodotto in cui Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio e Roberto Fico, moschettieri mesti, appaiono seduti su una panca troppo stretta, come al commissariato o a scuola, vagamente smarriti, mentre si difendono dall’accusa “non potevate non sapere” (sempre sul caso Quarto). E alla fine non si capisce più che cosa sia dentro e che cosa fuori dal set televisivo a Cinque stelle, dove Grillo è protagonista del “Truman Show” ma non vuole neppure fuggire, avendo consumato la (finta?) fuga all’incirca trent’anni fa.
Il Foglio sportivo - in corpore sano