Fenomenologia di Casalino, portavoce degli eletti a Cinque stelle
Chiedi a Rocco. Decide Rocco. Sentiamo se Rocco è d’accordo. Che dice Rocco? Rocco, Rocco, Rocco, Rocco. E non c’è verso: c’è che nel mondo a Cinque stelle non si può prescindere dall’importanza di chiamarsi Rocco (Casalino). E infatti Rocco, il super-responsabile comunicazione e portavoce dei Cinque stelle al Senato, vigile supremo delle presenze televisive grilline nei tanto vituperati ma ora non così disdegnati talk-show (vigile nel senso dello smistamento traffico ma pure del controllo di qualità e contenuti), è l’uomo cui tutto fa capo e a cui tutto torna, prima, dopo e durante ogni singola presenza video, ogni “bah” detto davanti a un microfono, ogni domanda accettata o respinta, ogni inquadratura, persino, se è vero – come raccontano autori e redattori – che un controcampo fatto mentre parla, per dire, un Alessandro Di Battista, non passerà certo inosservato a Rocco: Rocco è nel backstage, Rocco guarda, Rocco controlla, Rocco può comminare messaggi Whatsapp di garbato ma fermo rimprovero ma anche lunghi silenzi sempre su Whatsapp, come nelle migliori e nelle peggiori storie d’amore, solo che qui non d’amore ma di duro lavoro si tratta, e quindi è anche peggio: che cosa avrà fatto stranire Rocco?, si è domandato almeno una volta nella vita il povero conduttore o redattore che abbia visto lampeggiare il telefonino su cui si leggeva qualcosa di simile a un “beh, avevate detto che facevate così, invece…”. E a quel punto c’è solo da spiegare il perché e il percome della piccola trasgressione o dimenticanza, e sperare che Casalino si fermi lì, faccia notare e basta, e non metta in quarantena questa o quella trasmissione: sottotraccia corre sempre infatti l’ansia sottile di ritrovarsi a dover pietire presso Rocco la presenza di un qualsiasi deputato e senatore di rilievo, se non di prima almeno di seconda fila (“uno vale uno”, dice scherzando un addetto ai lavori, “può diventare una punizione per il programma inadempiente, se poi ti arriva, bene che ti vada, il Cinque stelle sconosciuto che non fa ascolti”). E se Rocco ha detto così e tu fai cosà, che tu sia anchorman o giornalista o parlamentare a Cinque stelle, può essere pure che non succeda nulla, ma il tuo riflesso condizionato è comunque sempre pronto a emergere: e se Rocco storce il naso? E se Rocco comincia a scrivere smessaggi del genere “scusami, però così non può andar bene”? E se, peggio del peggio, Rocco non mi manda più (visto dal lato del Cinque stelle che non abbia brillato in tv come dovuto)? E se non li manda più (visto dal lato del travet dei programmi della sera, del mattino e del pomeriggio che abbia inavvertitamente o di proposito disatteso gli stringentissimi accordi con Rocco)? E sì, non solo i Cinque stelle prendono accordi, ovvio, così fan tutti in tutti i partiti, ovvio, specie se si tratta di ospiti indesiderati, solo che presso i Cinque stelle quello che dice Rocco è anche imperativo morale, con valenza di tavola della legge. Ne discende, anche presso i comunicatori dei partiti avversari, qualcosa che somiglia all’ammirazione (anche stima), ammirazione che si poggia sul retropensiero “ma come fa questo a farsi sempre dire sì?”.
Parole, parole, parole – stare attenti alle parole – ma non solo, con Rocco. Come si diceva, tocca fare attenzione persino al controcampo. Mai inquadrare un qualsiasi altro ospite, commentatore o avversario, ove presente, che sbuffi o alzi gli occhi al cielo quando un Cinque stelle infervorato o anche tranquillo sta parlando, dice la regola non scritta ma molto tenuta a mente presso i principali programmi, pena il grande freddo con il comunicatore e supervisore. Come pure non si può non ricordare la regola dell’uno su quattro o uno su tre o addirittura uno su cinque, raccontano presso le reti pubbliche e non pubbliche i pazientissimi autori e redattori che abbiano in carico il dossier Cinque stelle: se ci deve essere un Cinque stelle in studio, tra i tre o quattro o cinque ospiti, sarebbe meglio fosse l’unico di opposizione. E come si fa?, trasecolavano inizialmente quasi tutti, di fronte alla richiesta che poi è praticamente, tra le righe, un “o così o niente”. E allora toccava inventarsi l’ospite “neutro”, cioè l’attore, il cantante, lo speleologo, il nano, la ballerina, il sondaggista: tutto pur di avere il Cinque stelle, e già era tanto, ché la ritrosia verso la televisione, sebbene non sia più assurta ai livelli del 2013, nel M5s viene usata come arma letale a intermittenza: veniamo, ma alla prima che mi fai, come dicono le nonne, ti licenzio e te ne vai. E a questo punto ci si rende conto che, nel rapporto “Cinque stelle-gente di tv”, valgono tutte le regole da romanzo sturm und drang, a partire dall’altro proverbio, quello insopportabilmente noto come “in amor vince chi fugge”: non hanno mai smesso di negarsi, i Cinque stelle, e anche in tempi in cui non si rischia più l’espulsione per la comparsata si concedono con il contagocce, e dopo essersi concessi scappano, per poi ridire sì, ma con centomila condizioni, tutte vagliate e supervisionate e spesso anche decise in autonomia da Rocco. Il quale Rocco forse un tempo, chissà, agli inizi, avendo tutto il carico ed essendo ancora inesperto tra i Palazzi, prendeva qualche lavata di capo presso la Casaleggio Associati. Ma poi, come spesso accade, i tempi sono cambiati, e uno strano capovolgimento di destini si è compiuto: Rocco, da interprete e controllore del lessico, della linea e dei modi dei newcomers politici emersi dalle profondità del web, si è trasformato quasi quasi in consigliere presso lo stesso quartier generale grillino: riferisce, parla, ascolta, ma ha ormai idee talmente chiare, dice chi lo conosce, da poter benissimo convincere i vertici della bontà delle proprie considerazioni. E passi per Beppe Grillo, ora impegnato – e a volte forse anche annoiato? – con il suo show, e per carattere adorante con chi lo adora, e Rocco lo adora, come ha sempre detto. Ma che il guru Gianroberto Casaleggio, primo cittadino onorario del futuribile pianeta Gaia, il Casaleggio dalla capigliatura frisé ma dal pensiero apocalittico-lineare, tenga in grandissima considerazione l’opinione politico-mediatica di Rocco, opinione che negli anni si è plasmata anche sulla sua, per poi farsi a suo modo indipendente, beh, è cosa che non capita tutti i giorni. E se nel quartier generale qualcosa non piace, dal titolo al titoletto alla foto alla ripresa, Rocco può riuscire a convincere il guru che non è poi così grave. Ed è così che si è giunti al consolidamento della sua fama di uomo-ponte tra quartier generale milanese e studi televisivi romani.
E passano i giorni, emergono altre stelle mediatiche nel dietro-le-quinte della comunicazione a Cinque stelle (si inabissò quella di Claudio Messora, sorse quella di Silvia Virgulti), e insomma cambiano i collaboratori del settore comunicazione eppure Rocco, in apparenza il più improbabile, è sempre lì, lì dal primo giorno di legislatura, con l’unica differenza che prima stava alla Camera e ora sta in Senato. Ma tanto dove lo metti lo metti: lui ovunque comparirà, e discretamentema inesorabilmente spunterà in Transatlantico, nelle piazze e nei principali happening del M5s. E anche se non ci fosse ci sarebbe comunque, come entità ormai introiettata dalla psiche degli eletti: un Cinque stelle, se si reca in tv, sa già perfettamente che cosa pensi Rocco, e il più delle volte cerca di non deluderlo. E non c’è rete tv in cui non si ricordi l’inquietudine dei consiglieri comunali romani grillini nei giorni pesanti dell’inchiesta Mafia Capitale, quando gli inviti alle trasmissioni giungevano copiosi, ma altrettanto copiosi potevano essere i dinieghi – ma non dei consiglieri, che volentieri sarebbero andati, ma sempre di Rocco, ché tutte le strade, anche e tantopiù a Roma, alla fine portano a Rocco.
Ma chi è questo Rocco?, chiederebbe l’extraterrestre che non conosca la storia del quarantatreenne capo-comunicazione a Cinque stelle, nato in Germania e cresciuto in Puglia, l’uomo che a certo punto della sua vita di ingegnere e giornalista fu concorrente del primo, mitologico Grande Fratello, quello d’inizio millennio (anno 2000). Dettaglio che per i nemici è il peccato originale, e però, oggi, pare arma depotenziata: nessuno più dice “ah, Casalino, quello del Grande Fratello”, e anzi chi lo dicesse si sentirebbe rispondere “embé?” dagli stessi autori e conduttori tv, oltre che dai parlamentari ed eletti grillini. Ed è perfetta aderenza alla sindrome di Stoccolma: Rocco tiene tutti costoro sotto il suo occhio, Rocco non si sposta di un centimetro, Rocco è colui che atterra e suscita, che affanna e che consola, e commenta e controlla, ma loro, i controllati, lo amano d’amore e stima pura. Tuttavia non è Rocco a scatenare contro i distratti o i furbetti che non ricordino le sue raccomandazione le ire del cosiddetto “popolo della Rete”, e anzi il ragazzo, con le sue cravatte azzurro-grigio e la camicia bianca e il baffetto-pizzetto che appare e scompare, a suo tempo è stato egli stesso vittima del popolo della Rete, e proprio per via della sua partecipazione al Gf. Il popolo della Rete agisce da solo, ma se Rocco muove il sopracciglio in Parlamento la sua truppa scatta sull’attenti. Ma non è mai minaccioso, anzi: è preoccupato, teso, corrucciato – e dagli altri partiti gli omologhi comunicatori tornano a guardarlo e, di fronte a eserciti non così obbedienti, tornano a chiedersi “ma come fa?”.
[**Video_box_2**]Ed è a questo punto dell’epopea di Rocco che la partecipazione al Grande Fratello assume il rango di prova del fuoco nel Bildungsroman: sì, è stato al Gf, dicono gli estimatori anche presso le stesse tv che temono i suoi “niet”, “ma guarda quanta strada ha fatto”. E narrano di quando Rocco, giovane giornalista per sempre ex gieffino, capace di litigare a “Buona domenica” con Vittorio Sgarbi, compariva all’alba, dal lunedì al venerdì, sugli schermi di Telelombardia, nel programma “Buongiorno Lombardia”, tra rassegne stampa e approfondimenti. Fu in quegli anni che la vita, ha raccontato Rocco, gli si è capovolta: altro che ore piccole per i ricaschi discotecari dell’antico Gf, macché. Ore piccole per leggere i giornali, con fuso orario da dj ibizenco: da mezzanotte alle cinque sveglio per evidenziare le notizie, poi redazione e diretta, infine dormire dalle nove e mezzo del mattino alle diciotto, e alle diciannove la colazione al posto dell’aperitivo. E quando i suoi fan raccontano che Rocco la mattina si alzava all’alba per lavorare, pare quasi raccontino una lunga espiazione: dai lustrini della “Casa” in cui abitarono anche Marina La Rosa e Pietro Taricone al duro studio antelucano di tutte le gazzette italiane, dalla vita dorata alla gavetta. Rocco ha lavorato anche a Mediaset, e c’era chi “solo per questo” gli dava di “ladro”, ha lamentato Rocco stesso un giorno, colpito da quelli che le vittime degli attivisti internettiani a Cinque stelle chiamerebbero “fango mediatico”. Poi andò a Telenorba (dove, nel 2008, divenne inviato per Lamberto Sposini a “Versus”). Infine, il secondo grande punto di svolta: la discesa in campo come candidato consigliere regionale a Cinque stelle in Lombardia, nel 2012. Si era prima del grande exploit da “Tsunami” di Grillo, e Rocco, su Youtube, aveva annunciato la sua candidatura. E però poi ci aveva rinunciato per via degli insulti sul web, appunto, roba che neanche a Laura Boldrini: chi gli rinfacciava il solito Gf, chi non lo considerava affidabile, chi non si fidava per questioni di tempo (della serie “è troppo poco che sei nel Movimento”). E insomma andava a finire che Rocco, nel dire addio alla nascente carriera politica, diceva “non ho fatto niente di male, conosco sei lingue, ho lavorato dieci anni come giornalista, mentre tutti si ricordano un reality di tredici anni fa”. Ed era la fine di un sogno ma pure l’inizio del successo vero, successo silenzioso e felpato del futuro Rocco dei miracoli, ché quando si può dire “finalmente Casalino ha detto sì, viene il Cinque stelle tal dei tali in trasmissione”, soltanto “miracolo!” viene in mente come esclamazione.
Il Foglio sportivo - in corpore sano