Fang Lizhi (1936-2012). Scrisse “The most wanted man in China”, pubblicato ora negli Stati Uniti, durante i tredici mesi passati nell’ambasciata americana di Pechino in cui si era rifugiato

Dietro Tiananmen

Eugenio Cau
Ricordate la piazza degli studenti cinesi? L’ispiratore fu Fang Lizhi. Del primo dissidente comunista escono ora in America le memorie

Alla notizia che Mao Zedong e i generali rivoluzionari stavano per entrare a Pechino e fermarsi nello stadio vicino a Xiannongtan, dopo la Lunga marcia e la vittoria sull’esercito nazionalista, Fang Lizhi e i suoi compagni si misero a ballare sotto la pioggia per l’eccitazione – anche per combattere il freddo, scrive, ma soprattutto per l’eccitazione. Fang aveva 13 anni e un’idea vaga di cosa fosse il marxismo, ma stava assistendo alla rivoluzione. Era entrato nella federazione giovanile del Partito comunista pochi mesi prima, mentre ancora la guerra infuriava, perché a scuola un ragazzo più grande gli aveva chiesto se voleva “entrare in un’organizzazione”. “Quale organizzazione?”, chiese Fang. “Un’organizzazione rivoluzionaria, una che appartiene a noi studenti”. “Cosa dovrei fare?”. “Niente di speciale, ma potresti imparare qualcosa”. Fang non si era mai interessato alla politica prima, ma l’idea di imparare lo appassionava. A scuola andava bene nelle materie scientifiche ed era appassionato di elettronica, riparava i gadget dei suoi vicini di casa con i rottami che trovava nella discarica. Il suo battesimo al pensiero politico fu la lettura del “Manifesto del Partito comunista” e fu una folgorazione. Gli ci vollero venticinque anni per cambiare definitivamente idea.

 

Fang Lizhi è conosciuto in tutto il mondo come il “Sakharov cinese”. Il paragone con il dissidente russo calza sotto molti punti di vista. Entrambi scienziati, fisici di rilievo, entrambi impegnati per un periodo nei programmi nucleari dei rispettivi paesi, entrambi dissidenti e perseguitati dai regimi comunisti. Fang è conosciuto anche come l’uomo che ispirò la protesta di piazza Tiananmen ed è stato, per un certo periodo subito dopo quella terribile primavera del 1989, l’uomo più ricercato di tutta la Cina. Per sfuggire alla persecuzione del regime, mentre rimbombavano gli spari e i colpi dei carri armati contro gli studenti nel centro di Pechino, Fang e sua moglie Li Shuxian fuggirono dalla loro casa e si rifugiarono nell’ambasciata degli Stati Uniti. Rimasero lì tredici mesi, mentre il Partito orchestrava una campagna di diffamazione contro di loro, fino a che non riuscirono a volare in America dopo un estenuante negoziato. “The most wanted man in China: my journey from scientist to enemy of the state” è anche il titolo dell’autobiografia di Fang, uscita per la prima volta il mese scorso in America. Fang è morto nel 2012 a Tucson, in Arizona, ma la stesura del libro è ancora precedente. “The most wanted man in China” è stato scritto tra il 1989 e il 1990, nei mesi trascorsi – sempre nelle stesse stanze, e quasi al buio per non farsi notare – in reclusione nell’ambasciata americana di Pechino. Dopo tanti anni, la sua traduzione dal cinese e pubblicazione è un piccolo evento letterario. Fang è uno scrittore dotato, un intellettuale raffinato e ironico. Ma soprattutto, prima del premio Nobel Liu Xiaobo, prima di Chen Guangcheng, Fang è stato il primo dissidente della storia della Cina comunista, è stato l’uomo che ha re-insegnato ai cinesi il concetto di libertà.

 

La storia di Fang Lizhi non è quella di un semplice dissidente, di un convertito all’anticomunismo, di un partigiano resistente. Fang è prima di ogni altra cosa – prima ancora che un cittadino, prima ancora, perfino, che un buon marito e un padre affettuoso – uno scienziato, un astrofisico di valore. Per questo “The most wanted man in China” è la cronaca anzitutto di un divorzio intellettuale. Esclusa l’incredibile accelerazione finale che porterà Fang a diventare nemico del Partito, la gran parte della sua vita non ha niente di speciale. O meglio, è la vita di un uomo normale in tempi straordinari quali furono quelli vissuti in Cina sotto il dominio di Mao Zedong. L’eccezionalità del racconto di Fang sta nella lenta e accidentata incubazione del concetto di libertà e di diritto individuale in una mente che fino a quel momento ne era quasi sprovvista. Tutto inizia e sfocia dall’amore per la scienza. In qualsiasi altro paese del mondo, Fang sarebbe stato un bravo e anonimo professore di astrofisica. Ma nella Cina comunista Fang non può essere uno scienziato. Ci sono ragioni tecniche, perché almeno fino alla morte di Mao l’astrofisica e gli studi legati alla teoria della relatività generale erano considerati “scienza borghese”, in aperta opposizione al materialismo dialettico propugnato da Marx ed Engels. C’è però soprattutto una ragione più ampia: la scienza e il comunismo sono fondamentalmente incompatibili. “Queste due forze (la fisica e il comunismo, ndr) sono i motori principali che hanno determinato in gran parte la mia vita. All’inizio le due sono sembrate estranee l’una all’altra, ma gradualmente ho capito che erano contraddittorie nella loro natura più intima… Questo cambiamento è avvenuto perché la fisica, come le altre scienze naturali, ritiene che lo scetticismo sia una virtù, mentre il comunismo chiede che siano adottate delle credenze senza discutere”.

 

Questa incompatibilità sarà il rovello della vita di Fang, che lo porterà a trasformarsi nel più prominente dissidente cinese. Lo stesso concetto viene ripetuto, sviluppato, approfondito decine di volte nel libro, ma sempre con la scienza e il desiderio di fare scienza, in mente. Nella sua autobiografia Fang parla raramente di libertà e diritti. Non ha l’afflato universalistico di un rivoluzionario francese o di un filosofo anglosassone. A lui interessa quasi esclusivamente che gli sia garantita la capacità critica, la creatività e l’onestà intellettuale necessarie per condurre la sua ricerca. La libertà, i diritti civili, il libero pensiero sono solo un sottoprodotto in questo processo, ed è questo che rende la trasformazione di Fang in dissidente tanto speciale. Pensa scientificamente la libertà, e capisce che la libertà è logica, efficiente, conveniente.

 

L’altro aspetto straordinario è la sua peculiare posizione di partenza. Fang non è un paria, un perseguitato – almeno, non più di quanto lo siano stati centinaia di milioni di cinesi che sono passati sotto la dittatura di Mao, la Grande carestia, la Rivoluzione culturale. Fang era un entusiasta “figlio di Mao”, un iscritto precoce al Partito comunista, un seguace dell’ideologia marxista.
“Nei primi tre anni degli anni Quaranta… la credenza nel comunismo attraversò la Cina come la nuvola di vento circolare generata da un’esplosione atomica”, scrive Fang. “Quasi tutti gli intellettuali e gli studenti delle scuole superiori divennero simpatizzanti, sostenitori e perfino adoratori del comunismo, spesso senza aver letto Marx, Engels o Feuerbach”. Fang faceva parte della schiera degli adoratori. “Ero completamente preso”, scrive dopo la lettura delle opere di Marx, e la sua eccitazione arrivò fino alla danza sotto la pioggia allo stadio a Xiannongtan in attesa dell’arrivo di Mao. Più tardi, quando all’Università di Pechino incontrerà Li Shuxian, la sua futura moglie, i due inizieranno una romantica ancorché peculiare competizione su chi tra loro era il miglior studente e il miglior seguace di Mao. Quando Li otterrà il privilegio di diventare membro ufficiale del Partito comunista prima di lui (processo che l’autore definisce come una iniziazione a un culto, tracciando alcuni paragoni azzeccati tra un regime comunista e una religione organizzata), Fang scriverà all’amata una poesia di congratulazione che trasuda dolore per la sconfitta.

 

I primi incontri con un regime stolido arrivano quasi subito. Quando, in un primo confronto con le autorità dell’Università di Pechino, gli viene spiegato che: “Non c’è bisogno di ‘pensiero indipendente’ perché Marx, Lenin, Mao e il Partito comunista hanno già pensato tutto così bene al posto del popolo che non c’è possibilità di fare meglio. Perché sprecare energie in domande ridondanti?”, nella fede di Fang iniziano a crearsi delle crepe. Il rovello che divide scienza e marxismo ritorna continuamente, e gli eventi della storia non faranno che ampliarlo. Dopo un periodo passato a collaborare al progetto atomico cinese, Fang è preso di mira da una prima campagna contro i controrivoluzionari, poi è obiettivo della Rivoluzione culturale, è mandato a essere “rieducato” nei campi e nelle miniere – un destino comune a milioni di cinesi di quell’epoca, ma che in Fang ottiene l’effetto opposto a quello sperato. Negli anni Settanta, dopo la morte di Mao, inizierà a comprendere che due decenni di “inedia culturale avevano fatto seccare la mente delle persone”, ma in lui i sentimenti di sfida e rivalsa non hanno fatto che crescere.

 

Ci sono due caratteristiche di Fang che emergono dalla sua autobiografia, oltre all’amore per il pensiero critico. La prima è la sua intelligenza e memoria sbalorditive. Basti pensare che “The most wanted man in China”, pieno com’è di date, documenti, ricordi precisi, è stato scritto nella reclusione dell’ambasciata americana, senza archivi e documenti. La seconda è il coraggio. Prima spinto dall’idealismo comunista, poi dalla buona volontà di rafforzare il Partito attraverso la libera scienza, infine dall’aperta sfida a un’ideologia ormai considerata retrograda, Fang parla di libertà e diritti con il candore di chi è convinto di essere nel giusto. La sua disillusione è graduale, e non sarà prima del 1974, venticinque anni dopo l’instaurazione del goveno comunista, che dichiarerà di aver ormai perso ogni fede nel marxismo. Per allora però Mao è morto, sotto Deng Xiaoping la Cina inizia il grande processo di apertura e riforma, e Fang è riabilitato. Rientra di buon grado nei ranghi del Partito comunista, perché in questo modo gli sarà consentito di fare ricerca, e scala le gerarchie fino a diventare vicerettore dell’Università di scienza e tecnologia a Hefei, nella provincia orientale dell’Anhui. Ma il rallentamento delle riforme, la pervasiva e immutata repressione del Partito e il malcontento portano a nuove tensioni. Fang descriverà il clima precedente alle proteste di piazza Tiananmen come la reazione che porta all’esplosione di una bomba atomica. La società aveva il suo materiale fissile nel risentimento della popolazione; molti anniversari ed eventi scandalosi portarono nel 1989 all’accumulo del materiale fissile in una massa critica; infine, il bombardamento di neutroni, che attiva l’esplosione. Fang dice di essere stato parte di quest’ultimo processo.

 

Il suo pensiero, incubato per anni, era ormai arrivato a sostenere che le riforme in Cina dovessero “aprirsi in tutte le direzioni”, e dunque verso la completa libertà di espressione e i diritti civili. “Queste idee non erano una mia invenzione, ovviamente; erano già iscritte come diritti nella Costituzione cinese e non potevano essere definite illegali”, scrive Fang. “La mia innovazione fu semplicemente dire che questi diritti sulla carta avrebbero dovuto essere diritti reali. In seguito, quando gli studenti capirono che la Costituzione poteva essere invocata in questo modo, iniziarono a invocare il loro ‘diritto di manifestare’ e il loro ‘diritto di assemblea’ in luoghi come piazza Tiananmen. Queste rivendicazioni portarono Deng Xiaoping a denunciare, con rabbia, che ‘il popolo si sta approfittando della Costituzione!’”. Una serie di discorsi e di dibattiti pubblici in cui Fang continua a sostenere l’“apertura in ogni direzione” portano allo scontro aperto con il governo, infine alla sua espulsione dal Partito comunista, su ordine diretto di Deng, e rimozione dalla carica di vicerettore.

 

Fang diventa così il primo dissidente di Cina. Il primo in senso cronologico. Prima di lui c’erano stati “controrivoluzionari”, “elementi borghesi”, “persone di destra”. Ma “dissidente” era una parola nuova, slegata dal retaggio ideologico comunista, che fu importata dall’estero e usata per la prima volta nel caso di Fang. Questo presentava diversi problemi per il Partito. Come si gestisce un dissidente? Con la repressione, la tolleranza magnanima, ignorandolo? Il regime era inesperto e commise molti errori. Il più grave fu quello di stampare in mezzo milione di copie un libretto di duecento pagine contenente i discorsi e gli articoli di Fang, da inviare in tutto il paese per dare dimostrazione del suo cattivo esempio. Lungi dal deplorare le tesi di Fang sulla libertà e i diritti, in tutta la Cina chi leggeva il libretto era rapito dalle sue idee. Quando i burocrati si accorsero dell’errore e ritirarono tutte le copie ormai era tardi, iniziarono a diffondersi infinite edizioni illegali. I cinesi lessero discorsi come quello tenuto nel 1986 agli studenti della sua università, in cui si legge: “La vera democrazia arriverà solo se ci impegniamo per raggiungerla… L’unica democrazia vera è una democrazia che è costruita sulla consapevolezza del popolo e conquistata con una lotta dal basso. Una cosa concessa dall’alto, dopo tutto, può sempre essere ritirata dall’alto”. Si può dire che fu Fang, e pochi altri con lui, a insegnare la libertà ai giovani di piazza Tiananmen.

 

Nel gennaio del 1989 Fang inviò una lettera a Deng Xiaoping (prima privata, poi pubblica, infine ripresa e sottoscritta da decine di intellettuali) in cui chiedeva la liberazione di Wei Jingsheng, un celebre attivista per i diritti umani imprigionato da dieci anni, e invocava i valori di libertà ed eguaglianza. Fu quella lettera, diffusa in tutta la Cina, il definitivo “bombardamento di neutroni” nella reazione a catena di piazza Tiananmen – o almeno fu quella lettera che fece di Fang uno dei capri espiatori, per così dire, delle proteste, con memorandum interni al Partito che definirono i tumulti di Tiananmen come opera personale sua e di sua moglie.

 

Fang non vide mai le proteste di piazza. Era uno scienziato, non un politico. I suoi amici gli consigliarono di non andare tra gli studenti per non peggiorare le cose, e lui rimase in casa durante tutta la protesta sperando che davvero “un giorno più luminoso per la Cina fosse dietro l’angolo”. Si decise a scappare nell’ambasciata americana solo quando la repressione armata era iniziata da qualche giorno. Migliaia di giovani morirono nel massacro.

 

Dopo il suo ingresso in America, Fang conoscerà un breve momento di celebrità. Una copertina di Time, decine di interviste. Continuerà a scrivere articoli legati alla sua vicenda per qualche anno, ma il suo desiderio non era di trasformarsi in un dissidente a tempo pieno. Poco a poco si ritirò nell’Università dell’Arizona, dove continuò a fare ricerca e a insegnare. Ma pochi come lui avevano capito i meccanismi interni del Partito, e nessuno come lui seppe immaginare il futuro repressivo della Cina. All’inizio del 1990, mentre era ancora chiuso nell’ambasciata degli Stati Uniti, la New York Review of Books gli chiese di scrivere un pezzo sulla sua esperienza. Il pezzo uscì a settembre e si intitolava “The chinese amnesia”. Il sangue degli studenti di piazza Tiananmen in pratica era ancora fresco, il mondo ancora sconvolto. Ma Fang scrisse che probabilmente in Cina tutti si sarebbero dimenticati del massacro. Il Partito è già stato capace molte volte, scrisse, di far dimenticare la storia ai suoi cittadini, potrebbe succedere ancora. Quando uscì l’articolo generò stupore. E’ impossibile dimenticare una tragedia tanto grande, dissero tutti. Ma Fang aveva ragione, oggi pochissimi giovani cinesi sanno cosa è davvero successo a piazza Tiananmen. Su questa amnesia si fonda la Cina di oggi.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.