Siamo in ogni luogo comune
Viviamo immersi nei luoghi comuni. Li respiriamo e ci esercitiamo a ripeterli parlando con conoscenti, colleghi, vicini di posto in treno o in autobus. Li impariamo guardando i telegiornali, leggendo i quotidiani, ascoltando la radio, talvolta pure sfogliando libri. C’è chi sostiene che sapere parlare di niente oggi sia un’arte necessaria. Anche a questo servono i luoghi comuni. Accompagnano l’umanità da sempre, sono la scorciatoia banale per dire qualcosa sulla realtà, sono definizioni codificate da qualcuno prima di noi che ci evitano la fatica di pensare qualcosa di originale. Non sono male di per sé, aiutano a riempire il vuoto (che pure è “sempre incolmabile”), a non sembrare maleducati con il tassista che ci accompagna dove vogliamo andare, e durante il tragitto ci chiede qualcosa, e noi gli rispondiamo ma senza fare troppa fatica: “Certo che quest’anno l’inverno non lo abbiamo quasi visto”. “Eh ma il clima sta cambiando”. “Adesso ci sono le elezioni…”. “Ah per me i politici sono tutti uguali, tutti ladri”. “Già, come i commercianti e i dentisti”.
I luoghi comuni sono entità vive, pressoché immortali, si riproducono costantemente, dando vita a quella che Gustave Flaubert nell’Ottocento già chiamava Lingua Universale, interamente fatta di frasi fatte. Una lingua che da secoli è più parlata di molte altre, ma alla quale mancava un dizionario. Un progetto immenso, che proprio Flaubert iniziò senza portare a compimento, e che in una lettera del 1852 descriveva così: “Credo che l’insieme sarebbe formidabile come il piombo. Bisognerebbe che in tutto il libro non ci fosse una parola mia, e che, una volta letto il dizionario, non si osasse più parlare, per paura di dire spontaneamente una delle frasi che vi si trovano”. Nessuno è immune, o quasi, da questo linguaggio, e i luoghi comuni sono subdoli e infingardi: quando li stiamo usando non ce ne accorgiamo. Il rifugio di chi vuole essere particolarmente brillante è ironizzare sul fatto che in una chiacchierata si stanno usando dei luoghi comuni, e quindi continuare a usarli, ridendone. Ma ormai dire platealmente che non ci sono più le mezze stagioni per indicare che quella che si sta facendo è una discussione banale è diventato a sua volta un luogo comune.
ALLEVI Genio del pianoforte. Ogni volta che m’imbatto in una sua performance ripenso a quel cartello nei saloon del Far West, Non sparate sul pianista. E perché?
Come uscirne? Provando a fare come Flaubert, deve avere pensato Giuseppe Culicchia (nella foto qui accanto), che nel suo ultimo libro, “Mi sono perso in un luogo comune”, da poco uscito per Einaudi, stila un perfetto “Dizionario della nostra stupidità” nel quale inchioda tic e mentalità degli italiani nostri contemporanei con ironia e ferocia. Si comincia con la definizione di A: “Quando si vuole essere onnicompresivi, inserirla fra ‘dalla’ e ‘alla’, poi aggiungere ‘zeta’. Per compiere un atto di ribellione nei confronti della società capitalista, tracciarla su un muro avendo cura di aggiungervi un cerchio attorno”. Si finisce con ZUZZURELLONE: “Usarlo solo quando si discetta di dizionari”. Nelle 220 pagine in mezzo c’è un mondo, che è quello in cui viviamo quotidianamente, come spiega al Foglio lo stesso Culicchia: “All’interno della mia produzione ho sempre fatto il tentativo di raccontare il paese da un punto di vista antropologico. I luoghi comuni che usiamo sono utili per parlare di noi stessi e dare un’idea di quello che succede in questi anni”. Impossibile non ritrovarsi in tante delle definizioni raccolte in questo libro, che come tutte le cose che fanno ridere è in realtà serissimo. E cattivo.
BARICCO Scrive da Dio. Leggerlo durante l’adolescenza, ovvero anche oltre i quarant’anni, sottolineando alcune frasi. Dire sempre: “Ha uno stile inimitabile”. Aggiungere: “Sottolineo tutti i suoi libri”. Concludere con: “E poi con le maniche della camicia arrotolate è un grande divulgatore”. Lo si cita discorrendo di barbari prima di citare anche la Bignardi.
Essendo scritto con intelligenza, il dizionario di Culicchia ha più piani di lettura. Descrivendo il nostro modo di pensare su tanti argomenti, denuncia – come pochi ormai hanno il coraggio di fare – una certa dittatura del pensiero unico.
ADOZIONI Le sole di cui si parla sono quelle omo… pardon, gay, ma occorre fare attenzione a come se ne parla, ovvero a non esternare la propria opinione in merito. A meno che non si sia a favore delle medesime. […] Dire sempre: “E allora? Che problema c’è? Con tutte le coppie eterosessuali che crescono male i figli!”.
MUTAMENTI Sempre climatici. Nel giro di pochi decenni cambieranno in modo irreversibile la faccia della Terra. Attribuire a essi qualsiasi fenomeno meteorologico: alluvioni, tornado, uragani, tsunami, raffreddori del fieno. Sono responsabili perfino del caldo d’estate e del freddo d’inverno.
Scorrendo le centinaia di voci ci si accorge che questa nuova Lingua Universale serve innanzitutto per difendersi, per restare comodi. I luoghi comuni sono quasi sempre veri, o verosimili, certo. Ma la verità è un’altra cosa. “C’è difficoltà a dire la verità – dice Culicchia al Foglio – o anche solo ad andarci vicino. Non riusciamo a superare gli stereotipi”. Fatichiamo a rifuggire i luoghi confortevoli, soprattutto nel linguaggio: “Siamo la patria del cerchiobottismo, che è una variante del paraculismo: vogliamo le spalle coperte, sempre”. Viene la tentazione paradossale di elogiare gli ultrà: “Il loro è un atteggiamento più onesto e corretto, se vogliamo”. Il luogo comune “dà una mano a chi vuole evitare la limpidezza, a chi non vuole prendersi responsabilità”.
ULTRA’ Albergano le curve. Sempre teppisti. Sempre estremisti. Sempre di Destra, tranne che a Livorno. Ricattano i club di calcio. Dovrebbero prendersi tutti il Daspo […].
I luoghi comuni non sono quasi mai innocui, anche quando sembra che dimostrino soltanto la pigrizia di pensiero di chi li usa. L’eccellenza è sempre italiana, qualsiasi fenomeno legato al meteo diventa “eccezionale”, l’omicidio è spesso efferato, il filo è sempre rosso, come il tappeto, la cellula è staminale o composta da terroristi, lo champagne scorre a fiumi, le brasiliane sono le ragazze più belle del mondo ma bisogna stare attenti a non beccare i travestiti, la sregolatezza si accompagna solo ed esclusivamente al genio, il genio alla sregolatezza e serve a definire Giovanni Allevi, gli arabi sono terroristi/delinquenti/spacciatori, le polemiche roventi o sterili, gli editoriali graffianti, l’emergenza è provocata dagli immigrati ma riguarda anche i trasporti e il clima, il Colle produce moniti e bacchettate.
L’elenco di possibili frasi fatte è lunghissimo – lo stesso autore ha ammesso, intervistato sul Venerdì di Repubblica, che a un certo punto a forza di aggiungere voci il libro gli stava sfuggendo di mano – e ci comunica pagina dopo pagina il progressivo svuotamento di significato a cui le parole di tutti i giorni sono sottoposte da chi ne abusa sprofondandole nei luoghi comuni.
Primi colpevoli di tutto questo sono i media, che con il loro giornalese stretto collaborano quotidianamente all’ottusità del mondo. Sono loro uno dei tanti obiettivi polemici delle pagine di Culicchia: riproponendo alcune notizie cicliche date dai telegiornali – siano esse le code in autostrada, l’emergenza caldo, l’omicidio dei vicini di casa, le crisi politiche, le diete innovative, l’ultima follia di Balotelli (vedi BIZZE) o la nuova stravaganza di Madonna – Culicchia denuda un mondo fatto di tic pigri, riflessi (ovviamente) pavloviani, inchini al potente di turno e difesa strenua del pensiero unico politicamente corretto. E’ proprio a quest’ultimo che viene da pensare leggendo le frecciate che Culicchia lancia ai colleghi scrittori, ai maniaci dei premi letterari, ai fanatici della scrittura come autofiction, a chi si ostina a chiamare “emergenti” gli scrittori che hanno scritto la loro prima opera entro i quarant’anni ma nel frattempo hanno pubblicato altri venti libri. Prende in giro molto anche se stesso, l’autore siciliano nato a Torino, come quando prende in giro “Gomorra” di Saviano e confessa di invidiarne le copie vendute. “Il politicamente corretto meriterebbe un libro a parte – ci dice al telefono dopo essere tornato da una mattinata di reading agli studenti di una scuola – Viviamo in una dittatura del politicamente corretto”. Ma essere sempre e comunque politicamente scorretti rischia di diventare un luogo comune. “Vero, infatti bisogna distinguere tra quello di parte, usato solo per provocare e demolire l’avversario, di solito a fini elettorali, e quello adoperato non come una clava, che nasce dal guardare la realtà per quello che è: ormai chiamare le cose con il loro nome è diventato politicamente scorretto”.
DIVERSAMENTE ABILI Li si definisce così anche quando non hanno abilità alcuna per non venir tacciati di fascismo. Ignorare il fatto che non di rado si tratta di un insulto.
In questo caso le frasi fatte servono a “ripulire il linguaggio – spiega Culicchia – e quindi la coscienza”. E’ ricco di esempi di questo tipo il nostro tempo, basti pensare al tentativo di censura di “Huckleberry Finn” in alcune università americane perché il romanzo di Mark Twain contiene la parola “negro”. Culicchia parla di “rifugio senza senso”, oltre a sottolineare l’idiozia di chi vuole riscrivere con i criteri di oggi un libro nato in un differente contesto storico: “In un romanzo ci deve essere sempre il tentativo di raccontare le cose per quello che sono”, anche usando un linguaggio più forte. E’ un’operazione che ricorda certe recite di Natale senza riferimenti a Gesù per non offendere i musulmani o la più recente abolizione della festa del papà in una scuola italiana fatta per non turbare eventuali allievi con due mamme, suggerisce ancora lo scrittore torinese.
KYENGE Nominarla ministro permette di cogliere i celebri due piccioni con la nota fava.
Abitiamo luoghi comuni sempre, qualsiasi cosa facciamo: nello sport (il ciclismo è roba da dopati, il calcio – spesso preceduto da “pianeta” – è un mondo corrotto dai soldi delle tv, il rugby è esempio di sportività e lealtà), sul lavoro, nei viaggi (qualunque città dell’est Europa o esotica è visitata per farci turismo sessuale), nel nostro rapporto con la comunicazione e la tecnologia (SELFIE Deprecare sempre. Poi farsene uno), nel parlare dei fenomeni sociali (BULLISMO Lo praticano i bulli quando si annoiano. BUONISMO Invenzione di Veltroni di cui sono ignari i bulli che praticano bullismo).
In tutto il libro c’è una sola voce senza definizione, ed è PARTITO DEMOCRATICO. Lo si trova però citato in molte altre: da EATALY a FUFFA passando per JOVANOTTI e NULLA. Non citato, ma presente, quando si parla di SINISTRA (“E’ indispensabile per l’attuazione di politiche di Destra senza dover incorrere in fastidiose proteste di piazza”).
La pigrizia non basta a spiegare tutto questo però, forse oggi manca un pensiero originale. “Non manca – ci dice Culicchia – ma è sommerso dalla cacofonia”. La voce originale viene silenzata da altre voci che ripetono tutte la stessa cosa. “Anche questo è un luogo comune – sorride – ma rileggendo ‘1984’ ho l’impressione che quel romanzo sia stato usato come un manuale per i tempi moderni: nel libro di George Orwell la riduzione del pensiero da parte del potere avviene grazie alla riduzione del linguaggio”. Ridurre il vocabolario utilizzato riduce la libertà e la capacità di pensiero. “Non è in fondo quello che tante volte facciamo noi, riducendoci a un like su Facebook o a un retweet?”. E’ più comodo così, probabilmente. “Molte persone che hanno idee se le tengono per sé perché temono di essere etichettate. Meglio essere tutti d’accordo su tutto”.
GAY PRIDE Viene celebrato dai gay che per l’occasione si conciano da Carnevale per chiedere che venga loro riconosciuto il diritto di sposarsi e di adottare. Parteciparvi anche se etero è la sola cosa che consenta di non passare automaticamente per clerico-fascisti reazionari. Vedi ADOZIONI.
Il Foglio sportivo - in corpore sano