Ventidue dei venticinque paesi più anziani al mondo sono oggi in Europa. Le ultime prospettive demografiche nel rapporto “An Aging World: 2015”

Quando saremo tutti vecchi

Giulio Meotti
Nei giorni della preparazione dell’invasione di Baghdad, l’allora segretario alla Difesa americano, Donald Rumsfeld, si avventò contro la "vecchia Europa" per denunciare l’ostracismo di Francia e Germania, scandalizzando non pochi sepolcri imbiancati e benpensanti.

Nei giorni della preparazione dell’invasione di Baghdad, l’allora segretario alla Difesa americano, Donald Rumsfeld, si avventò contro la “vecchia Europa” per denunciare l’ostracismo di Francia e Germania, scandalizzando non pochi sepolcri imbiancati e benpensanti. A dare ragione a Rumsfeld ci avrebbero pensato i demografi, che hanno appena spiegato cosa ne sarà dell’“Europa dei vecchi”. Ventidue dei venticinque paesi più anziani del mondo sono oggi in Europa. E nel mondo la popolazione sempre più anziana continua a crescere a un ritmo senza precedenti. E’ quanto emerge dal rapporto “An Aging World: 2015”: 617 milioni di persone, l’otto per cento della popolazione mondiale, hanno sessantacinque anni e oltre, un trend in crescita che nel 2050 farà arrivare la popolazione anziana mondiale a 1,6 miliardi, quasi il diciassette per cento di tutti gli esseri umani che vivranno allora sul pianeta.

 

Non era mai successo nella storia della civiltà. “Per la prima volta nella storia umana le persone sopra i sessantacinque anni sono più numerose dei bambini sotto i cinque”. E il trend riguarda soprattutto i paesi industrializzati, ricchi, avanzati, a oriente come a occidente. Il rapporto, commissionato dai National Institutes of Health e prodotto dal Census Bureau Usa, spiega che l’Italia è attualmente il terzo paese più vecchio al mondo, dopo Giappone e Germania, per popolazione sopra i sessantacinque anni, ma nel 2015 scenderemo al 15esimo posto, superati da paesi asiatici come Corea del sud, Hong Kong e Taiwan ma anche da quasi tutti i paesi dell’Europa ex comunista e dalla Spagna. Secondo le proiezioni demografiche, l’Unione europea avrà perso circa cinquanta milioni dei suoi abitanti attuali entro il 2050, vale a dire il dieci per cento della popolazione di oggi, ovvero le popolazioni di Polonia e Grecia messe assieme (senza considerare eventuali flussi migratori di massa). Anche negli Stati Uniti, la popolazione over sessantacinque è destinata a raddoppiare, arrivando a ottantotto milioni nell 2050, quando un terzo della popolazione dell’Asia avrà più di sessantacinque anni. L’Europa mostra oggi ovunque drammatici segni di declino demografico, tanto più notevole in quanto avvenuto senza alcun intervento statale come in Cina con la “politica del figlio unico”. Questa radicale denatalità appare come un riflesso dei desideri contemporanei.

 

Nel 2060, la popolazione totale dell’Europa raggiungerà 517 milioni di abitanti, di poco superiore ai 502 milioni del 2010, e un terzo degli europei avrà sessantacinque anni o più di età. E’ lo scenario drammatico prospettato dalla “Relazione sull’invecchiamento demografico: previsioni economiche e di bilancio per gli Stati membri della Ue a ventisette (2010-2060)”, pubblicata dalla Direzione generale Affari economici e finanziari della Commissione europea. Non molto tempo fa, siamo stati avvertiti che l’aumento della popolazione mondiale avrebbe inevitabilmente scatenato la fame nel mondo. Come scrisse Paul Ehrlich nel suo bestseller “The Population Bomb”, “negli anni Settanta e Ottanta centinaia di milioni di persone moriranno di fame”. Ovviamente, l’olocausto previsto da Ehrlich non c’è stato. Anzi, c’è più cibo e più acqua.

 

Ma una bomba demografica sì: quella delle persone anziane. Come ha fatto il mondo a diventare così grigio e così in fretta? Una ragione è che più persone vivono fino alla vecchiaia avanzata. Ma altrettanto importante è l’enorme calo delle nascite. Philip Longman, in un saggio per Foreign Affairs, scrive che stiamo vivendo “gli ultimi echi del baby boom a livello mondiale”. La popolazione mondiale è quasi quadruplicata nel corso del secolo scorso. E cresce ancora di circa 230 mila nuovi nati al giorno, raggiungendo la cifra di 9,4 miliardi nel 2050. Ma una rivoluzione invisibile è già in corso. Verso la fine degli anni Ottanta, gli esperti sostenevano che l’Europa non si stava riproducendo, ma quegli avvertimenti furono denigrati dai politici e dai media, perché si riferivano a tendenze di lungo periodo e i governi europei non pensano mai in grande. Nemmeno la popolazione prestò attenzione, anche se non occorreva essere un genio in statistica e demografia per accorgersi che importanti mutamenti stavano avendo luogo: una semplice passeggiata per le città poteva mostrare il semplice fatto che c’erano in giro molto meno bambini di prima e sempre più anziani.

 



 

Gli abitanti dell’Europa stanno sperimentando adesso l’attacco su due fronti: vivono più a lungo e hanno sempre meno figli (il nuovo rapporto americano dice che il tasso totale di fertilità dell’Europa è di 1,6, considerato patologico dai demografi e mai stato tanto basso nella storia). La dinamica della popolazione futura sarà caratterizzata dalla morte, non dalla nascita. Società e cultura saranno così scosse come da una guerra silenziosa. Secondo le stime delle Nazioni Unite e dell’Unione europea (World Population Prospects ed Eurostat), la popolazione della Francia diminuirebbe solo di poco, da circa sessanta milioni di adesso a cinquantacinque milioni nel 2050 e quarantatré alla fine del secolo, però il numero delle persone di matrice etnica francese diminuirà rapidamente. Una simile tendenza è prevista per il Regno Unito: da sessanta milioni a cinquantatré milioni nel 2050 e quarantacinque nel 2100.

 

La maggior parte degli altri paesi europei avrebbe un futuro decisamente peggiore. La Germania è in prima linea. Il tasso di fecondità totale è di circa 1,4 figli per donna, che ha fatto sì che nel corso degli ultimi trentacinque anni i nuovi nati abbiano sostituito solo due terzi della generazione dei genitori. Inoltre, dal 1972, la Germania non ha visto un solo anno in cui il numero dei neonati abbia superato il numero dei morti. La popolazione della Germania, che conta attualmente ottantadue milioni di abitanti, diminuirà fino a sessantuno milioni nel 2050 e a trentadue milioni nel 2100. Il declino di Italia e Spagna sarà altrettanto drastico. La Spagna scenderà a ventotto milioni nel 2050. Dati dell’Istituto di statistica spagnolo dicono che tra il 2013 e il 2024 la Spagna perderà 2,6 milioni di persone (sei per cento della popolazione) e che le nascite si ridurranno del venticinque per cento, passando da 456 mila nel 2013 a meno di 340 mila nel 2023. Nessuno conosce gli effetti di questo collasso sulla società.

 

Tutte queste previsioni non tengono conto dell’immigrazione nei decenni a venire o di un eventuale tasso di fertilità che risale almeno a 2,2 figli per donna. Ma non è mai successo prima che una fertilità zero risalga al punto di sopravvivenza. Secondo uno scenario presentato nel rapporto dell’Onu, “Replacement Migration: Is It a Solution to Declining and Ageing Population?”, non meno di settecento milioni di immigrati saranno necessari entro il 2050 per ristabilire l’equilibrio dell’età perduto.
Le proiezioni per le perdite di popolazione nei paesi dell’Europa orientale sono ancora più catastrofiche. Come per l’Ucraina, che scenderà a trentasei milioni di persone. La Bulgaria da sette milioni scenderà a cinque. Lettonia e Lituania perderanno invece il venticinque per cento della popolazione.

 

Entro la metà di questo secolo, se i modelli presenti di fertilità continueranno, il sessanta per cento degli italiani non avrà l’esperienza personale di un fratello o di una sorella, una zia, uno zio o un cugino; la Germania perderà l’equivalente della popolazione dell’ex Germania orientale; e la popolazione della Spagna diminuirà di quasi un quarto.
E’ l’Europa “senescente”, come l’ha definita lo storico britannico Niall Ferguson. Nel 1960, le persone di origine europea erano un quarto della popolazione mondiale; nel 2000 erano un sesto; nel 2050 saranno un decimo. Queste sono le statistiche di un continente morente. Il massimo demografo francese, Alfred Sauvy, ha scritto che “l’Europa è destinata a diventare un continente di vecchi, che vivono in case vecchie, con vecchie idee” e che “l’invecchiamento ha colpito molte popolazioni nella storia: Grecia, Roma e Venezia sono gli esempi più famosi. Ogni volta era la morte della società”.

 

In passato, cambiamenti demografici radicali portarono alla sparizione degli antichi Sumeri, le regioni Maya del Centro America, e l’Isola di Pasqua. Il cambiamento climatico ha contribuito a eliminare le colonie in Groenlandia. La carestia di patate in Irlanda nel 1846 ha lasciato un milione di morti. Due milioni di irlandesi emigrarono, trasformando l’Irlanda nell’unica area europea importante ad aver perso popolazione durante il XIX secolo. La popolazione azteca si è vista dimezzare nel XVI secolo, in parte attraverso nuove malattie introdotte dai colonizzatori spagnoli. I paesi ricchi faranno questa stessa esperienza a causa del crack demografico volontario. La Cina, per ora, continua a godere dei benefici economici connessi con la prima fase di declino del tasso di natalità, quando una società ha meno figli da mantenere e più forza lavoro femminile disponibile. Ma con la sua rigorosa politica del figlio unico e un eccezionalmente basso tasso di natalità, la Cina si sta rapidamente evolvendo in quello che i demografi chiamano una società “4-2-1”: un bambino diventa responsabile per il supporto di due genitori e quattro nonni.
Se persisteranno le attuali tendenze demografiche, entro il 2050 la Russia scenderà ad appena 116 milioni di abitanti. Le popolazioni di Giappone, Russia e Germania dovrebbero diminuire di oltre il dieci per cento entro il 2050. Per il Giappone questo significa una perdita di diciannove milioni di abitanti; per la Russia, di ventitré milioni.

 

In Giappone oggi i tassi di mortalità sono di routine superiori ai tasso di natalità, e lo squilibrio è in crescita. La nazione si prepara a iniziare un periodo prolungato di spopolamento delle città. I tedeschi hanno inventato un termine: restringimento della società, “schrumpfende Gesellschaft”. Le tendenze demografiche promettono di trasformare il Giappone in modo drammatico, per certi versi quasi inimmaginabile. A poco a poco ma inesorabilmente, il Giappone si sta evolvendo in un tipo di società i cui contorni possono essere previsti solo nella fantascienza. E’ la domanda posta da Jared Diamond nel suo magistrale “Collasso”: “Le rovine lasciate dalle società del passato esercitano un fascino romantico su tutti noi. Ci meravigliamo quando da bambini impariamo di loro attraverso le immagini. Quando si cresce, pianifichiamo le vacanze al fine di sperimentarle in prima persona. Ci sentiamo attratti dalla loro spettacolare e inquietante bellezza. In agguato dietro questo mistero romantico c’è però un pensiero assillante: un simile destino potrebbe capitare alla nostra società benestante?”. Già, potrebbe succedere anche a noi? Visiteranno i nostri reparti di maternità come si fa oggi con le rovine antiche? Forse si domanderanno: cosa diavolo è andato storto nella civiltà occidentale?

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.