Nato nel 1975 a Londra, James Rhodes è uno dei pianisti più apprezzati a livello internazionale. Da poco Einaudi ha pubblicato la sua autobiografia, “Le variazioni del dolore” (foto da www.jamesrhodes

Piano terapeutico

Mario Leone
James Rhodes è disteso sul letto di un’asettica stanza ospedaliera. Gli occhi semi chiusi. Qualche spasmo muscolare. Un lamento di fondo. Ripete parole incomprensibili. Piange. Sussulta. I medici provano a tranquillizzarlo. D’improvviso un sussulto più forte. “Lasciatemi stare. Lasciatemi andare. Lasciatemi”.

James Rhodes è disteso sul letto di un’asettica stanza ospedaliera. Gli occhi semi chiusi. Qualche spasmo muscolare. Un lamento di fondo. Ripete parole incomprensibili. Piange. Sussulta. I medici provano a tranquillizzarlo. D’improvviso un sussulto più forte. “Lasciatemi stare. Lasciatemi andare. Lasciatemi”. Gli occhi si fanno pesanti. E’ una lotta inumana provare a tenerli aperti. “Inumano – pensa James – cos’è umano? Io sono umano?”. E intanto vede allontanarsi il folto numero di medici che circonda il suo letto. Solo un forzuto infermiere si ferma al suo capezzale. Anche lì nessuna umanità. Una guardia alla vita di una persona cui non interessa nulla di sé. James Rhodes incontrerà molte persone che vogliono proteggerlo da se stesso nel suo tortuoso percorso.

 

“Ehi, James, a fine lezione fermati! Risistemiamo insieme gli attrezzi in palestra e poi c’è una sorpresa per te!”. Il signor Lee è un insegnante di ginnastica molto ben voluto alla Arnold House School di Londra. Da anni insegna in questo istituto propedeutico all’ingresso nella scuola vera e propria. E’ un uomo forte, sicuro. I genitori apprezzano questo tipo di scuole e affidano molto volentieri i loro figli al signor Lee che riesce a sviluppare il fisico e il carattere di questi piccolissimi studenti. James Rhodes è timido, gentile, sensibile e generoso. A cinque anni è un bambino minuto, molto bello e ben educato. Ama la danza ma soprattutto la musica. Il signor Lee lo accoglie e lo inserisce subito con grande premura. Corde, salti, attività di squadra. James vede nel suo maestro un modello e si compiace dell’attenzione che questi gli riserva. Le giornate a scuola passano serene e il piccolo Rhodes è sempre più legato al suo insegnante di ginnastica che a ogni lezione lo premia con piccoli doni, premi e pubblici complimenti. James è contento. Lo sarà ancora per poco.

 

A segnare il passaggio, la boxe, che il signor Lee propone ad alcuni suoi alunni. Tempra il fisico ma soprattutto il carattere. James partecipa dietro autorizzazione della mamma. Da quel giorno non sarà più lo stesso. Non a causa della violenza fisica né del ring. A causa del signor Lee. Anni di stupri mai raccontati, nascosti con sagace perfezione. Anni passati dietro maschere e dietro inutili richieste di aiuto confuse con indolenza. James diventerà adolescente e cambierà anche scuola, ma le violenze continueranno e rimarranno la sua ferita più grande. Il suo invisibile tratto distintivo. Quella palestra da mettere in ordine, le corde del ring, gli spogliatoi saranno la prigione nella quale James dovrà muoversi forse per tutta la vita.

 

Nel 1985, a dieci anni, scopre la musica e il pianoforte. La ama da subito. Non solo. E’ proprio portato. Il pianoforte è l’alveo nel quale tutto si acquieta e dove il corpo e la mente trovano una regola. Tic, nevrosi, atteggiamenti ossessivi si fermano di fronte allo strumento, quasi fosse uno scuro incantatore capace, con la sua sola presenza, di interagire con un mondo complesso qual è la mente del ragazzo. Ma non è tutto così facile. Con il passare del tempo, gli anni di violenza riaffiorano in maniera incontrollata. Tutti pensano alla genialità di un ragazzo le cui doti artistiche siano direttamente proporzionali alle follie comportamentali. James fuma, beve. Poi la droga. Tanta droga. Le lamette che penetrano gli avambracci. La solitudine, le giornate a vagare senza meta o bloccato a letto guardando il soffitto bianco che gira. Depressioni, ossessioni suicide, dipendenze da droghe e alcol, paranoie, diffidenze. Un binomio quasi ontologico, la musica e la follia. Come quella dell’amato Robert Schumann. Prima che la malattia si conclamasse, Schumann aveva sviluppato tutti i sintomi psicotici. Le allucinazioni acustiche, nelle quali una nota musicale era continuamente suonata nella sua testa. Il delirio psicotico di Schumann coinvolse anche l’amata moglie e collega Clara Wieck che doveva ascoltare i farneticanti discorsi di Robert. Con il passare degli anni la situazione si aggravò tanto da condurre Schumann ai due (terribilmente famosi) tentativi di suicidio.

 

Oltre a Schumann, James Rhodes è legato alla storia di altri grandi artisti segnati dall’infermità mentale. Ama la vita e le esecuzioni di Glenn Gould. La sua fuga dal mondo per chiudersi in una sorta d’isolamento rotto solo da registrazioni nel suo studio privato. Delle “Variazioni Goldberg” di Bach eseguite da Gould, fa la colonna sonora di tutta la sua vita. Apprezza altresì il Rachmaninov di David Helfgott e la serenità con cui non nasconde la sua personalissima follia. Diversa quella di James che nasce da un trauma inconfessabile. La situazione negli anni si aggrava. I ricoveri in ospedali psichiatrici, le fughe. I mesi nascosto chissà dove. L’abbandono lento, quasi involontario, della musica e del pianoforte. Non ha la forza né gli stimoli. Le giornate che prima trovavano un ordine nelle ore di esercizi alla tastiera, nella memorizzazione di nuovi brani, nella scelta del repertorio e nell’ascolto di registrazioni autorevoli, s’interrompono bruscamente. “Vagavo per Londra pensando solo a come farmi del male”, racconta nella sua autobiografia “Le variazioni del dolore” da poco uscita per Einaudi. La vita di James è simile a una passeggiata sul bordo di un burrone. Si può cadere da un momento all’altro. E James cade. Ma spesso è salvato dal ramo di un albero che blocca il suo tonfo. Proprio quando sembra tutto perduto incontra Jane, la sua prima moglie che gli donerà, nel 2003, il figlio Jack (sono questi tutti nomi di fantasia usati da James nella sua biografia). Jane e Jack diventeranno la sua ragione di vita. Sarà Jack a impedire e a farlo desistere dai numerosi progetti suicidi.

 

James è un buon padre, presente e che non fa mai pesare le sue nascoste ma evidenti turbe. Gira con il figlio per i parchi di Londra. Gioca con lui. La musica è alle spalle. Ormai ha un nuovo lavoro, anche redditizio. Un sogno accarezzato, un sostegno per dimenticare e scacciare i demoni. La carriera del concertista ha delle regole non scritte insuperabili: devi iniziare presto, devi essere forte mentalmente e fisicamente, devi essere metodico, devi avere uno staff che lavora per te e devi essere disponibile a vivere in grande solitudine. Tutto ciò che Rhodes non ha. O forse non vuole più avere. Ha raggiunto un equilibrio. Pensa di poter gestire e superare da solo il labirinto della sua mente. Durerà pochi anni. Il suo fisico e la sua testa si ribelleranno. Uno tsunami emotivo, un’ onda anomala che sfalderà tutto il suo mondo: riprenderanno i deliri, i ricoveri, il matrimonio in frantumi e l’allontanamento dal figlio.

 


Il pianista James Rhodes


 

Sarà nel momento più basso che James ritroverà la musica. L’incontro con il maestro Edoardo Strabbioli gli permetterà di riprendere a suonare. James si accorge di non aver dimenticato come si fa, riprova quell’esperienza carnale e mistica di affondare le dita nella tastiera. Prova la chiassosa pace del suonare. Comprende l’insensatezza di aver mollato. Ha trent’anni. Qualsiasi altra persona “normale” non penserebbe di riprendere quella carriera appena iniziata. Rhodes non ragiona con le categorie comuni, anche quelle più sensate, e si lancia in uno studio intenso. Tra cadute, momenti di pausa, nuovi fantasmi, altri ricoveri, James dà il suo primo concerto nel 2008 alle Steinway Hall di Londra. Nei suoi programmi non mancano mai la musica di Johann Sebastian Bach e quella di Fryderyc Chopin. Del primo, Rhodes non solo apprezza l’uso della polifonia ma soprattutto la possibilità di dare vita, corpo, anima a quelle voci. Il suo Bach è inusuale, esagerato. Non impensierito dalla prassi esecutiva. Provate ad ascoltare la “Ciaccona in re minore” nella trascrizione di Ferruccio Busoni, lì troverete tutto quello che James Rhodes è. Chopin invece, con le sue frasi lunghe, l’inestinguibile malinconia, le forme meno rigide, il cantabile in tutte le voci, dà corpo alle innumerevoli sfaccettature del pianista. Una simbiosi ed un amore viscerale rinvenibile nella sua esecuzione della “Fantasia in Fa minore op. 49” e nel documentario che il quarto canale della BBC gli chiede di scrivere e condurre per il bicentenario della nascita, nel 2010, del compositore polacco.

 

I concerti di Rhodes iniziano ad aumentare nelle sale più famose ma anche nei posti più inusuali. Agli orari canonici o in tarda serata per dare la possibilità a tutti di poter partecipare. I suoi recital molto spesso sono gratis oppure pochi minuti prima del concerto, se in sala ci sono dei posti vuoti, vengono fatte entrare gratuitamente persone dall’esterno. La sua fama cresce. Quasi per caso nel 2008, viene alla luce il suo primo album che è anche un primo racconto della sua vita: “Razor Blades, Little Pills and Big Pianos”, pubblicato dalla Signum Records. “Lamette, piccole pillole e grandi pianoforti”; Bach e Chopin presenti, ovviamente. La voce gira, iniziano le prime interviste, l’interesse dei giornali e di qualche manager affermato. Nel 2010 arriva la chiamata della Warner Music. E’ l’occasione della vita. James registra “Bullets and Lullabies”, un doppio cd, uno di brani veloci, briosi, dei “proiettili”, l’altro che contiene melodie e brani lenti di autori quali Ravel, Chopin, Debussy, solo per citarne alcuni. Nelle sue sempre più numerose interviste, James dice: “In questo disco ho raccontato cosa succede nella mia testa”. Anche l’opinione pubblica, se pur non unanime, accoglie la bontà del fenomeno cercando anche di indagare sempre più la sua vita privata. Fiona Maddocks sul Guardian lo definisce un disco suonato in maniera briosa e spericolata.

 

Jed Distler sulla rivista Grammophone definisce Rhodes un pianista “che ha qualcosa da comunicare.” In questi anni appare Hattie, donna che ha saputo amare e accogliere James nel momento peggiore della sua vita per poi condurlo alla ripresa. James però manda anche questo rapporto “in vacca” perché intimorito dal desiderio della ragazza di sposarsi, avere figli e costruire una vita stabile. La fallimentare esperienza matrimoniale con Jane, in un soggetto così fragile mentalmente ed emotivamente, fanno il resto. Hattie rispetterà in silenzio la sua scelta facendosi da parte. Intanto James continua il suo percorso tra alti e bassi. E’ l’ostinato della sua vita. Il bordone di ogni sua mossa. Sarà ancora una notte solitaria, un letto e una porta in faccia a dare una sterzata alla sua vita. E’ l’ultimo giorno dell’anno 2012. Sono le nove di sera e James è solo a letto con il disperato desiderio di dormire per mettere a tacere le voci che lo tormentano. Gioca nervosamente con il suo cellulare quando, aprendo Facebook, nota le foto della sua Hattie in procinto di festeggiare l’ultimo dell’anno. Le ore passano. James pensa di morire. Alle sei del mattino chiama Denis, l’amico di una vita. All’ennesimo racconto senza senso, Denis sbotta: “Veditela da solo”.

 

Quel rifiuto segnerà un nuovo inizio. James riprenderà il lavoro su di sé anche utilizzando dei testi di psichiatria, si lancerà con più forza nella musica. E ritroverà Dennis. Ma non è tutto a posto. Hattie. Gli manca Hattie. Nel Marzo 2013 il dialogo con “l’amore della sua vita” (così ama definirla) riprende, lento e sincero. James può essere se stesso. Può raccontarsi e può ascoltare. Può mostrare la sua debolezza, le sue paure e sa che possono essere abbracciate. Da solo non vai da nessuna parte. James Rhodes ama ricordare che la musica gli ha salvato la vita. Forse sì. Ma chi l’ha restituito a se stesso è stata Hattie che l’ha amato non per quello che è ma per il semplice fatto che ci sia.

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