Largo ai capitali coraggiosi
Dopo un lungo sonno e un apatico letargo, il capitalismo italiano sta vivendo un faticoso risveglio. Si rimette in moto lentamente, forse troppo lentamente, ma basta leggere le cronache di questi mesi per capire che molto sta cambiando. Qualche nome per essere più concreti? Vivendi-Telecom e Vivendi-Mediaset; la fusione Wind-H3G; la banca ultralarga. E poi: le banche popolari diventano società per azioni; Mediobanca cambia pelle, anche se la muta è sofferta; le Assicurazioni Generali non sono più le mammelle del sistema come le definì una volta Cesare Geronzi; Berlusconi e De Benedetti, i duellanti che si sono sfidati e inseguiti per trent’anni segnando l’economia e la politica dell’Italia, stanno sistemando le loro proprietà per non fare la fine di Mastro don Gesualdo; gli Agnelli parlano inglese e vivono tra Londra e Detroit; la Benetton che aveva stupito tutti con i suoi maglioncini colorati è una multinazionale delle infrastrutture; gli eredi Falck, l’antico barone dell’acciaio, diventano i signori del vento e delle energie rinnovabili. Sono nati altri protagonisti nella manifattura, si pensi alla cosiddetta fabbrica 4.0 o alle officine-laboratorio che utilizzano le stampanti 3D, mentre i vecchi impianti finiscono in Cina. La mappa del capitalismo italiano si sta rimescolando. Non si può dire che siano emersi nuovi equilibri di lungo periodo, ma forse non ci saranno più equilibri stabili, forse la rivoluzione digitale che soltanto adesso pervade l’intera società, non consentirà più che si creino salotti, consorterie, cartelli, stanze di compensazione o per meglio dire di redistribuzione consociativa del potere.
Che cosa ha scosso la foresta pietrificata? C’è una direzione di marcia verso la quale s’indirizza questa grande trasformazione? Sì, c’è, ne è convinto Giovanni Pitruzzella, costituzionalista, avvocato amministrativista, dal 2011 presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, l’Antitrust italiano. In questi anni, dal suo osservatorio privilegiato ha visto tutti questi cambiamenti e per molti aspetti li ha accompagnati, se non proprio sollecitati. Per esempio il divieto di cumulare cariche, deciso nel gennaio 2012 insieme a Banca d’Italia, Consob, Isvap e poi diventato legge, ha sciolto i legami incestuosi grazie ai quali una ristretta oligarchia di amministratori e di capitalisti si scambiava informazioni, decisioni, favori. Poi sono arrivate la mega-multa a Telecom Italia perché bloccava i concorrenti, la bacchettata alle Ferrovie dello stato che avevano relegato Italo nei sottoscala delle stazioni, e adesso il duro colpo che s’abbatte su Mediaset (soprattutto), su Sky e sulla Lega di serie A per la spartizione dei diritti televisivi. Sono solo alcune delle decisioni più sofferte e anche più incisive.
Dal suo ufficio all’ottavo piano del palazzetto in piazza Verdi, Pitruzzella può vedere con i propri occhi uno dei simboli del cambiamento. La vecchia Zecca, l’imponente edificio fine Ottocento del Poligrafico dello stato, quasi un simbolo dell’Italia unita e della lira, diventerà un albergo di lusso, l’unico Four Season romano. Patrimonio dello stato venduto o svenduto ai canadesi che controllano la grande catena alberghiera? C’è chi ci piange sopra sognando il tempo perduto. Ma le cose non stanno esattamente così. Piuttosto è un altro esempio di questa Italia che viene scossa e riplasmata dall’onda lunga della globalizzazione, che distrugge vecchie certezze e crea nuove opportunità. La stessa onda che, accoppiata con l’impatto delle nuove tecnologie, ha reso obsoleto il capitalismo di relazione. Si diceva da tempo che fosse ormai un impaccio, in gran parte responsabile di quel letargo, perché “favorisce la pigrizia tenendo lontano il mercato”, dice Pitruzzella. Adesso assistiamo al tramonto definitivo e il presidente dell’Antitrust non nasconde la sua soddisfazione per aver dato il suo contributo a sciogliere gli intrecci perversi, con una scelta che sembrava tecnica o marginale, ma che al contrario ha innescato una vera reazione a catena.
Giovanni Pitruzzella, costituzionalista, avvocato amministrativista, dal 2011 presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato
“La grande scommessa a questo punto è dar vita a un capitalismo dell’innovazione che sappia sfruttare la forza dirompente delle nuove tecnologie”, sottolinea Pitruzzella. E anche le autorità regolatorie possono dare un contributo importante con norme che non blocchino questo processo, ma al contrario lo favoriscano. Il mercato ha bisogno di un cane da guardia, o magari di un cane pastore, che metta insieme il gregge, recuperi le pecorelle smarrite e le riporti sulla buona strada. Alla metafora forse troppo ottimistica della mano invisibile di Adam Smith oggi si confà meglio “l’insocievole socievolezza”, la formula di Immanuel Kant con l’immagine della foresta dove gli alberi, in lotta l’uno con l’altro per raggiungere la luce, alla fine crescono e salgono verso l’altro. Eppure nel bosco, come si sa, ci vuole chi toglie i rami secchi, ripulisce il terreno dalle scorie, spegne gli incendi.
La trasformazione tecnologica crea vincitori e vinti e la società non può non prendersi cura degli sconfitti. Internet per Pitruzzella “è il terreno del conflitto sociale del XXI secolo, è sbagliato dire che il web sia il mondo della democrazia, della libertà, della pacificazione”. Non solo, “questa ondata della quale vediamo solo adesso gli effetti pervasivi, ha creato i nuovi luddisti, i nuovi distruttori di macchine. Dunque, occorre assecondare il cambiamento trovando soluzioni per ridurre i costi e lenire le ferite, ma mettendo un argine al neo-luddismo”. E’ il grande compito di questa fase, un compito squisitamente politico, ma anche le autorità indipendenti possono dare un contributo importante, facilitando il nuovo e impedendo che le scorie del vecchio mondo creino nuovi ostacoli, spesso insormontabili.
Prendiamo il mondo dei media, cominciando dai diritti televisivi sul calcio. L’Antitrust ha giudicato illecito l’accordo del 2014 tra Mediaset Premium e Sky con l’aiuto della Lega calcio per spartirsi il campionato, tagliando fuori Eurosport. La multa più pesante, 51 milioni di euro su un totale di 66, è caduta su Mediaset, ritenuta responsabile principale dell’operazione collusiva. Il gruppo che fa capo a Silvio Berlusconi ha annunciato ricorso al Tar. Nel frattempo, però, Premium non è più di Mediaset, è stata assorbita da Vivendi che la fonderà in Canal Plus. Dunque, è cambiato il campo da gioco e in parte lo stesso gioco concorrenziale, mentre l’Antitrust lavorava alla propria indagine. E’ l’eterna rincorsa tra lo scudo e la lancia? O è la dimostrazione che il mercato corre sempre più veloce? Lo stesso vale per la carta stampata. L’accordo tra la Repubblica, la Stampa e il Secolo XIX fa sì che il gruppo Espresso, mettendo insieme anche i quotidiani locali, controlli il 23 per cento della tiratura, violando la legge che impone un limite del 20 per cento. Anche in questo caso, la realtà è andata più avanti di una normativa rigida che stenta a tenere conto dei cambiamenti in corso.
Sul caso Repubblica-Stampa, Pitruzzella non si esprime (si tratta, tra l’altro, di un’operazione non ancora formalmente comunicata) perché il tetto del 20 per cento è previsto dalla legge sulla editoria e non spetta all’Antitrust verificarne il rispetto. Sui diritti calcistici lascia parlare le carte e una indagine prolungata di un anno proprio per esaminare ogni dettaglio. Ma il presidente insiste: “Qualsiasi accordo che restringa il mercato è un contributo alla stagnazione, un mattone sul muro del vecchio che ostacola il nuovo”. E’ questa la prima linea guida, la seconda che ne consegue direttamente è ridurre il potere dei monopoli (di qui le sentenze su Telecom o sulle Fs); il terzo obiettivo è aprire la concorrenza anche ai piccoli soggetti del mercato, senza però cedere all’ideologia del piccolo è bello che ha avuto effetti negativi sull’efficienza e la produttività del sistema Italia. A differenza dal passato o da altre impostazioni teoriche che hanno guidato l’Antitrust, non si tratta di impedire le concentrazioni, anzi quando fusioni e acquisizioni portano un aumento della efficienza, riducono i prezzi, creano nuovi prodotti o nuovi e migliori sevizi, quindi offrono vantaggi per i consumatori e gli utenti, non resta che apprezzarle, vigilando che non si tratti di fumo negli occhi, ma di cambiamenti veri e duraturi.
“Se nascono nuovi player globali non possiamo essere contrari”, sottolinea Pitruzzella: “Per questo abbiamo dato via libera all’acquisizione di Rcs libri da parte di Mondadori, ponendo come condizione lo scorporo di Bompiani e Marsilio, per evitare che si crei una posizione dominante. E’ che siamo entrati in un mondo completamente diverso, anche nella comunicazione, nei media, nei libri. Le nuove tecnologie portano a cambiare il modello di business e guai se anche l’Antitrust non adegua le proprie categorie analitiche e la propria prassi. Vogliamo accettare questa trasformazione oppure vogliamo ostacolarla? Accettarla non vuol dire che tutto va bene, è ovvio anzi dobbiamo operare affinché emergano le potenzialità positive e per affrontare le ricadute negative”.
Joseph A. Schumpeter aveva ragione, ma era ancora vittima di una impostazione tardo-positivista: quella del progresso come freccia lanciata in linea retta verso il futuro. Spesso la distruzione non è così creatrice come promette e in quel caso si mette in moto una reazione nella società che blocca ogni progresso. Prendiamo i nuovi giganti del web: Google, Facebook hanno generato grandi novità e prodotto benessere, non c’è dubbio, ma hanno anche accumulato molto potere e sono diventati un ostacolo, hanno innalzato di fatto nuove barriere all’ingresso. E’ questa la sostanza dell’indagine aperta dalla Commissione europea contro Google perché il suo sistema operativo Android ha una posizione dominante negli smartphone. Un problema opposto si pone per Uber, che scardina i vecchi monopoli locali dei tassisti. Naturalmente possono esserci problemi anche sul funzionamento dei nuovi servizi di mobilità condivisa, ma la questione di fondo qui è che alcuni governi hanno preso decisioni protezionistiche in omaggio a vecchie lobby che hanno un forte potere di ricatto politico anche se perdono potere di mercato. Anche in questo caso occorre una linea di condotta comune. “E’ un’altra conferma che abbiamo bisogno di più Europa”, commenta Pitruzzella, “non possiamo presentarci in ordine sparso e affrontare senza una strategia coerente i cambiamenti indotti dall’era digitale”.
In realtà l’Europa non è all’avanguardia, non langue solo la crescita del prodotto lordo, ma anche il portafoglio dei brevetti e il ventaglio delle innovazioni. “Non è sempre così”, obietta Pitruzzella, “e non lo è stato nel passato. Si pensi allo standard Gsm che ha collocato il Vecchio continente molto più avanti degli Stati Uniti nella telefonia mobile, si pensi a Nokia o a Tom Tom. Ma è vero che negli ultimi dieci anni l’Europa si trova con il fiato corto. E solo un balzo in avanti nella sua integrazione, anche dal punto di vista delle regole, può consentirle di recuperare rispetto all’America e all’Asia, che sono oggi le due grandi arene dell’innovazione”.
Non tutto è perduto, insomma, e in fondo lo dimostra anche l’Italia con le novità che stanno emergendo. “Smettiamola di piangerci addosso, facciamo in modo che la nuova economia abbia tutte le condizioni giuste per crescere e rafforzarsi”. Qualche esempio? Le telecomunicazioni: ci sono delle eccellenze e il progetto banda ultralarga servirà da acceleratore. L’energia: l’Italia ha competenze tecnologiche di altissimo livello ed è tra i maggiori produttori di tecnologie nell’energia pulita, potrebbe diventare una esportatrice netta. La meccanica che oggi si è integrata in modo sempre più stretto con l’elettronica: qui competiamo solo con la Germania, tutti gli altri sono indietro. Ci sono aziende come la Brembo (sistemi frenanti) che utilizzano tecnologie tra le più sofisticate. Ma gli esempi si possono moltiplicare.
Sì, è vero, l’industria ha reagito alla crisi (anche se l’Italia nel suo insieme ha perso capacità produttiva rispetto alla Germania) e ha fatto passi avanti notevoli. Ma i servizi? Non si annida lì l’inefficienza del sistema? Pitruzzella non è del tutto d’accordo e fa l’esempio delle Poste, finite nel mirino dell’Antitrust che aveva trovato ingiustificata l’esenzione dell’Iva. Ebbene hanno fatto grandi passi avanti, il servizio è stato liberalizzato e si è aperto anche se restano residui del passato come il monopolio degli atti giudiziari. “La vera palla al piede è il socialismo municipale, quella economia locale inefficiente anche perché basata sullo scambio di favori”, accusa il presidente dell’Antitrust, anche se si dice fiducioso che la nuova legge Madia possa dare un contributo a ripulire il sistema. “E’ vero che i servizi pubblici hanno anche una funzione anticongiunturale, servono insomma ad assorbire le conseguenze della recessione, ma se sono gestiti in modo inefficiente diventano un costo insopportabile e una vera pena per gli utenti, finendo per moltiplicare la crisi e aggravarla”.
Le vicissitudini parlamentari della legge sulla concorrenza, chiesta dall’Antitrust, non segnalano esattamente un’Italia aperta alle nuove frontiere del mercato. Ostaggio di veti incrociati, lobbismo di basso livello, logica da assalto alla diligenza, è stata depotenziata e ne esce in parte snaturata. Pitruzzella cerca di guardare anche in questo caso al bicchiere mezzo pieno. Per esempio, la piena liberalizzazione dell’energia elettrica entro il 2018, che porterà benefici agli utenti perché la concorrenza sarà non solo sui prezzi ma anche sui servizi. E qui la novità sarà data ancora una volta dall’utilizzo delle tecnologie informatiche che consentiranno di personalizzare la gestione della propria casa dall’esterno: i consumi, l’utilizzo degli elettrodomestici, il riscaldamento. Sarà un balzo nel mondo nuovo del risparmio, dell’efficienza, della personalizzazione nel soddisfacimento dei bisogni. Un balzo nel futuro.
La conversazione con Pitruzzella è un percorso nell’universo della razionalità, mentre il circo mediatico-politico continua a mitragliare polemiche, a lanciare e rilanciare insulti, a sparare raffiche di dati negativi: l’Italia non cresce, la disoccupazione non si riduce, il debito sale, l’Unione europea bacchetta, Wolfgang Schäuble borbotta, per non parlare di quel che vomita l’Isis. E viene il dubbio che, abbacinati dall’epifenomeno abbiamo perso di vista quella sostanza che sta davanti ai nostri occhi, se solo sappiamo guardarla. Forse abbiamo messo le lenti sbagliate o forse da cambiare non sono gli occhiali, ma le categorie mentali, i paradigmi con i quali ci ostiniamo a interpretare un mondo che ci è sfuggito di mano.
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