Vive l'Italie
Parigi. “Quando sono arrivata qui ho capito che questo era un luogo segreto, poco conosciuto, ho capito che bisognava riscoprirlo e soprattutto farlo riscoprire ai francesi che lo avevano dimenticato. Mi sono messa a studiare, a leggere la biografia di Bonaparte, di Talleyrand, mi sono appassionata e ho ritrovato un mio antico amore”. Il prossimo 19 agosto, dopo quattro anni intensi e indimenticabili, Marina Valensise lascerà la direzione dell’Istituto italiano di cultura (Iic) di Parigi, epicentro della diplomazia culturale ed economica in Francia. Lascerà l’Hôtel de Galliffet, sede dell’Iic dal 1962, dopo avergli ridato lustro e dedicato, lo scorso anno, una fresca e vivace opera (edita da Skira), che è insieme una “biografia del luogo” attraverso le vicende del suo più illustre inquilino, Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, tumultuoso ministro degli Esteri di Napoleone Bonaparte, e un omaggio a un edificio legato indissolubilmente all’Italia fin dai primi del Novecento.
Ma non ha nostalgie, né rimpianti per questa parentesi che sta per chiudersi, “perché se ne aprirà un’altra altrettanto meravigliosa”, dice al “suo” Foglio, e “ho raggiunto il principale obiettivo che mi ero prefissata: rendere l’Istituto italiano di cultura di Parigi non solo un centro per la promozione e la trasmissione dell’eredità culturale italiana ma anche uno spazio per la creazione e la produzione di artisti contemporanei”. L’ultima iniziativa in questo senso è stata l’inaugurazione della mostra di progettazione sperimentale “Le ali ritrovate dell’Hôtel de Galliffet”, che ha offerto una vetrina di rilievo a nove giovani studi di architettura italiani chiamati dall’Iic a immaginare la ricostruzione delle due ali perdute dell’hôtel particulier più affascinante del Faubourg Saint-Germain: l’ala est incompiuta dagli anni Cinquanta, e l’ala sud, demolita negli anni Sessanta perché pericolante.
“Questa mostra, nata dalla collaborazione con il Maxxi e la Biennale d’architettura di Venezia, e curata da Matilde Cassani, docente al Politecnico di Milano, espone i progetti di nove studi italiani emergenti, selezionati da un comitato formato da Cino Zucchi, già responsabile del Padiglione Italia alla Biennale di architettura del 2014, Jean-Louis Cohen, professore all’Institute of Fine Arts della New York University e al Collège de France, Margherita Guccione, direttore del Maxxi Architettura, e Pippo Ciorra, professore all’Università di Ascoli Piceno e curatore del Maxxi Architettura. Tutti testimoniano l’originalità, la competenza tecnica, la ricchezza e l’ultracontemporaneità dell’architettura italiana”, dice al Foglio la direttrice dell’Iic. “Abbiamo chiesto ai nove studi invitati – Baukuh, Diverserighe, StudioErrante, Sara Gangemi e Francesca Cesa Bianchi, Tomas Ghisellin Atelier di Architettura, Margine, PioveneFAbi, stARTT e Tierstudio – di immaginare l’ala est adibita a ospitare uffici e nuove aule per corsi di lingua, e l’ala sud destinata a diventare ‘l’Hôtel d’Italie’, un luogo di residenza e di incontro per i produttori e i promotori dell’eccellenza industriale, artigianale e culturale italiana in visita a Parigi. Il tutto seguendo alla lettera i dettami imposti dall’amministrazione francese, ossia i criteri vincolanti a livello urbanistico che stanno alla base del piano di salvaguardia e di preservazione del Settimo arrondissement”.
Alle soluzioni architettoniche proposte si aggiunge il progetto di ricostruzione filologica affidato alla Scuola di restauro del dipartimento di Architettura dell’Università Roma Tre, sfociato in una monografia completa di Sara D’Abate e Giuliana Mosca, “La storia incompiuta dell’Hôtel de Galliffet”, con tutte le trasformazioni subite nei suoi tre secoli di vita: dalla riconversione urbana del cimitero di Santa Croce nel Seicento, alla funzione di sede del ministero degli Esteri di Talleyrand, fino alla trasformazione in sede dell’ambasciata italiana nel 1909.
Tra i lasciti più importanti della direzione Valensise, risalta sicuramente il “Viale dei Canti”: la trasformazione del muro del viale d’accesso da rue de Grenelle in un’opera multimodale che fonde l’eccellenza dell’arte, della musica, della cultura e dell’industria italiana, conferma la volontà dell’Iic di essere “luogo di produzione”, e immerge immediatamente il visitatore dell’Istituto nell’universo poetico e musicale del Belpaese. Avvalendosi dei caratteri di Alberto Tallone, tra i più grandi tipografi del Novecento, l’artista Giuseppe Caccavale ha realizzato un graffito di poesie italiane incise con la tecnica dello spolvero. I versi del “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” di Giacomo Leopardi, intervallati da quattro poemi del Novecento di Alfonso Gatto, Leonardo Sinisgalli, Lorenzo Calogero e Bartolo Cattafi, sono esaltati dalla musica del compositore Stefano Gervasoni, trasmessa in esafonia, cioè attraverso sei canali indipendenti, da piccoli diffusori acustici. E il risultato finale è un inno al bello, alla tecnica e al lavoro. “Ne sono molto orgogliosa”, dice Marina Valensise. Ed è parimenti orgogliosa, a ragione, dell’iniziativa certamente più feconda e originale dei suoi quattro anni parigini: “Les promesses de l’art”, il programma di residenze d’artista che ha offerto a più di cinquanta giovani talenti italiani di soggiornare per un mese nella foresteria dell’Iic. In cambio, queste giovani promesse della letteratura, del cinema, della fotografia, della musica, dell’architettura e delle arti visive, hanno proposto al pubblico francese il frutto del loro lavoro durante il soggiorno all’Iic: un’opera, un progetto, un’installazione, una scultura, un servizio fotografico, una pièce teatrale, una composizione musicale. “Molti artisti cui è stata offerta la vetrina dell’Iic, hanno poi spiccato il volo, come la pianista Gloria Campaner, che è stata invitata a dare un concerto alla Salle Cortot, o come Dino Rubino, jazzista di Catania selezionato da Paolo Fresu, che è rimasto a vivere a Parigi e ha fatto tournée importanti”.
Tra i grandi meriti della vulcanica ed energica direttrice dell’Iic, c’è quello di aver allargato le maglie della cultura italiana, coinvolgendo attori che vengono spesso relegati in secondo piano, nonostante partecipino in modo attivo al fulgore dell’Italia nel mondo: gli industriali, gli artigiani, i designer. Un’operazione che la direttrice dell’Iic riassume in una formula: “mecenatismo di competenza”. “Sono partita da un’idea molto semplice: la cultura italiana non è ristretta alla letteratura, all’arte, al teatro, al cinema, alla musica, all’archeologia e alla storia, ma è una lampadina che si accende nella testa di tutti gli italiani che pensano, agiscono e creano. Sulla base di questa idea, ho cercato di promuovere anche l’industria italiana, il design italiano, il mondo della produzione italiana. Per farlo, ho contattato delle imprese che potevano contribuire con i loro prodotti al rinnovamento dell’Hôtel de Galliffet, dando loro in cambio la possibilità di poter disporre una volta all’anno dei nostri spazi per un’esposizione, una conferenza, una tavola rotonda, insomma di poter disporre della vetrina dell’Istituto”.
Con quali criteri sono state scelte? “Ho dato la priorità a quelle imprese di eccellenza che investono almeno il 20-25 per cento in ricerca e innovazione, che hanno la necessità di conquistare i mercati stranieri, quindi imprese fondate sull’export, e che sono sensibili al progetto culturale promosso dall’Iic. Alcuni nomi: la Irinox, azienda leader nella produzione di abbattitori termici per la conservazione del cibo, inventati da un geniale signore di Treviso, Florindo da Ros, e utilizzati nella cucina dell’Istituto; Lema, gioiello dell’industria italiana che ha prodotto degli arredi ad hoc per la segreteria di direzione dell’Iic; Smeg che ha fornito tutti gli elettrodomestici; Viabizzuno e i suoi lampadari progettati dall’artista Mario Nanni; Fortuny e i suoi tessuti straordinari (e costosissimi, 600 euro al metro), con una storia leggendaria alle spalle, realizzati alla Giudecca, a Venezia, con tecniche segrete, e offerti all’Iic per rivestire lo studiolo che appartenne a Talleyrand, così come le sedie della sala conferenze; Modulnova, che ha regalato all’Istituto la cucina, accanto a Berti che ha fornito i coltelli, Bitossi i piatti, i bicchieri e le posate, e Bialetti, che ha donato le pentole. Mettendo insieme tutti questi eroi dell’industria e dell’innovazione italiana abbiamo potuto rappresentare le imprese in Francia, attivare questo ‘mecenatismo di competenza’, e trasformare l’Iic in una vetrina permanente del made in Italy di qualità. Il mio principio è stato quello di non chiedere mai una lira agli imprenditori, di non fare il solito ‘giro col piattino’, perché ritengo che siano già sufficientemente tassati dallo stato, e vadano motivati semmai ad aiutare le istituzioni a produrre reddito. L’Iic è una vetrina, abbiamo scelto di chiedere loro di farsi partner, di associarsi ai nostri programmi culturali”.
Nel quadro di questo ‘mecenatismo di competenza’ che ha permesso all’edificio neoclassico dell’Hôtel de Galliffet di indossare un nuovo abito che ne esaltasse le qualità estetico-architettoniche, c’è un gioiello del made in Italy che merita qualche riga in più: il pianoforte Fazioli, che troneggia sul palco in legno della sala conferenze. “Ho chiamato il più grande produttore italiano di pianoforti, appena nominato Cavaliere del Lavoro dal presidente Mattarella: Paolo Fazioli, un genio allo stato puro. Grazie a una sottoscrizione e a uno sconto per l’Istituto siamo riusciti ad avere anche noi uno dei suoi pianoforti. I suoi strumenti sono considerati dai musicisti le Ferrari del piano. A Parigi, solo l’Iic ha questo pezzo unico”. Quella di Fazioli è una delle innumerevoli storie epiche della piccola e media impresa italiana che Marina Valensise, futurista infaticabile e piacevole causeur, ha riunito sotto il tetto dell’Hôtel de Galliffet. “Grazie a questo pianoforte”, dice, “l’Iic, che ha un’acustica perfetta, si è trasformato in un’eccellente sala per concerti da camera”. Una serata memorabile che la direttrice dell’Iic rievoca con grande trasporto emotivo è il passaggio all’Istituto del compianto compositore e direttore d’orchestra Pierre Boulez, nel quadro de “L’Italie et moi”, un ciclo di incontri durante i quali grandi personalità della cultura francese hanno restituito al pubblico la loro immagine dell’Italia.
E l’immagine dell’Iic di Parigi com’è cambiata dal 2012 a oggi? “Abbiamo cercato di far rivivere il luogo, di ridare lustro a questo palazzo meraviglioso, di rinnovarlo, di restaurare il restaurabile. Dall’ambasciatore Giovanni Caracciolo abbiamo ottenuto in consegna tre vecchi alloggi di servizio, che abbiamo riconvertito in aule per i corsi di lingua italiana. Ciò ci ha permesso di incrementare il numero di corsi e degli iscritti, che sono il polmone finanziario dell’Istituto, perché va ricordato che il 60 per cento del bilancio è frutto di risorse proprie, prodotte dall’Iic. Abbiamo inaugurato i corsi di cucina coi grandi chef stellati italiani Oldani e Vissani nel 2013, promuovendo la gastro-diplomazia con Bottura (poche settimane fa incoronato miglior chef del mondo con la sua Osteria Francescana, ndr). E’ stato lui a ideare la formula: ‘Non remunerare gli chef, la loro vera remunerazione sta nel lavorare per la bandiera’. In seguito, abbiamo restaurato le foresterie, la prima destinata agli artisti residenti, l’altra agli ospiti dell’Istituto, risparmiando così dai quindici ai venticinquemila euro al mese di spese di albergo, tutte risorse che abbiamo investito nelle attività, vero cuore pulsante dell’Hôtel de Galliffet: concerti, tavole rotonde, esposizioni, progetti architettonici, pièce teatrali, rassegne cinematografiche, mostre di fotografia, corsi di cucina e molte altre iniziative orientate alla promozione di un’Italia contemporanea che crede in sé e nel suo futuro, un’Italia che produce bellezza, idee alte e opere d’arte senza sosta”.
In cima agli auspici della dinamica direttrice dell’Iic, vi è quello di una presa di coscienza da parte del potere pubblico: grazie ai privati e alle privatizzazioni di alcuni spazi, questo edificio può vivere in parte grazie all’autofinanziamento. “Lo stato deve stabilire forme di partenariato coi privati, favorire uno scambio paritario, dove entrambi, da prospettive diverse, concorrono alla promozione della cultura italiana e dunque del made in Italy”, dice al Foglio Marina Valensise. “Non servono investimenti folli per le attività di promozione, perché se si punta sulla sostanza e sulla sobrietà, si riesce anche con pochi soldi a fare molte cose eccellenti. Certo, a condizione di avere delle buone idee e di poterle realizzare con grandi condizioni di credibilità culturali. Noi non abbiamo mai voluto soldi dalle imprese dell’eccellenza italiana, ma soltanto che credessero nei nostri programmi, diventando nostri associati”.
Francesista, storica di formazione con una tesi di dottorato con François Furet, Marina Valensise per il suo prossimo libro che sarà edito da Marsilio è partita da una frase di Françoise Sagan: “La cultura è come la marmellata, meno se ne ha e più la si spalma”. “Il sottotitolo – spiega – è ‘Come promuovere il patrimonio italiano con le imprese private’. E’ un piccolo vademecum in cui racconto in dieci capitoli la mia esperienza a Parigi. Ogni capitolo tratta di un problema che ho dovuto affrontare durante il mio mandato, e delle soluzioni trovate per risolverli. Insomma, un manualetto di management culturale. Noi in Italia di marmellata ne abbiamo persino in eccesso, e non dovremmo avere problemi a spalmarla. Dobbiamo renderci conto che siamo dei privilegiati, smetterla di autodenigrarci, e valorizzarci al massimo. Sono comunque ottimista per le giovani generazioni, perché sono più sensibili, hanno viaggiato e fanno i confronti. Mi aspetto molto dai giovani: sono più disposti a lavorare e a gettare il cuore oltre l’ostacolo”.
Il Foglio sportivo - in corpore sano