Fuori dalla satira, l’equazione “gonna corta” uguale “pensiero corto” è insostenibile. Torniamo ad Adele Faccio: ti puoi occupare di referendum solo se sei castigata

Estate senza parole

Salvatore Merlo
Frodi sintattiche, frasi-cerotto, espressioni a doppio fondo. Sillabario semi serio dei miraggi, dei luoghi comuni e dei tic linguistici della nuova (e un po’ paracula) politica italiana – di Salvatore Merlo

Le idee debbono trasformarsi in rappresentazioni e in sentimenti o rivestire di rappresentazioni e di sentimenti la loro nudità per potere agire sugli uomini. Devono insomma farsi parole. E la qualità delle parole è dunque lo specchio delle idee che esse esprimono in una determinata epoca, sia questa molto breve o molto lunga. Ecco allora, mentre s’avvicina ferragosto, uno sbrigativo ma urgente e semi-serio catalogo, un sillabario di necessità, miraggi, luoghi comuni, contraddizioni, tic linguistici e paraculismi dell’estate italiana. Non parole ma talvolta parole d’ordine, truffe di significato, frodi sintattiche ed espressioni a doppio fondo, frasi-cerotto, da dove potrebbe venirne fuori che, contrariamente alla credenza più diffusa, la ragione ha un’importanza assai secondaria nella diffusione di un pensiero, o nella persuasione.

 

Antropocentrismo (specista). “Roma Capitale è portatrice di una visione biocentrica che si oppone all’antropocentrismo specista che nella cultura occidentale ha trovato la sua massima espressione” (Virginia Raggi, 1 agosto 2016). Produzione di parole a macchina fotocopiatrice secondo posologia. Dimostrazione di sincera e primitiva ammirazione per colui che sa, e usa parole difficili. Da pronunciarsi con l’aria di chi voglia sovvertire un imprecisato ordine dalle radici ma, afflitto da umbratili complessi (e da visione biocentrica), affida la scrittura del suo programma di governo a Nino Frassica.

 

Cicciottelle. Poiché difendono il politicamente corretto e la sensibilità umana, al giornalista un po’ goffo del QN che titola “il trio delle cicciottelle” sopra la foto delle campionese italiane di tiro con l’arco, augurano di morire infilzato da una freccia. Su Twitter, lunedì 8 agosto, lo scrivono decine di persone solitamente garbate e un po’ di sinistra, se lo augura persino una bravissima e rispettabilissima collega di Repubblica. Alla fine l’autore del titolo, Giuseppe Tassi, è stato sospeso dal suo editore, Andrea Riffeser Monti. Il rogo del politicamente corretto. Il buon gusto e l’espressione della simpatia sono cose molto soggettive. E Tassi non è Matteo Salvini, non è un arrapato di turpiloquio sessista che agita bambole gonfiabili vestite da Laura Boldrini. Ma a fare titoli ci si può trascinare in situazioni ridicole, scabrose o impensabili. Per la cronaca, anni fa, il QN, a Bologna, uscì con questo famoso titolo: “Pene più duro per i piromani”. E invece a Prato, il 30 luglio del 2012, in prima pagina: “Cinese ucciso a coltellate: è giallo”. Adesso però non è che li deve licenziare tutti.

 

Deportazione. Tic linguistico e giornalistico che svela l’Italia pigra, satolla ma lamentosa degli anni duemila. Dicesi “deportazione”, di quando dopo anni di precariato ti danno un posto fisso da insegnante nella scuola pubblica al nord, ma tu no, non ci vai. Meglio sbocconcellare cotognate al bar del paese e farsi intervistare da Repubblica: “A Milano? Siete pazzi. Fa freddo! Andateci voi”. Nessuno legge più Giuseppe Marotta, uno di quei terroni che giunti a Milano con la valigia di fibra e la testa piena di sogni di promozione, ebbero la forza di realizzarli anche a costo dei più duri pedaggi. Non offrivano nemmeno il posto fisso. Ne venne fuori il boom economico, ovviamente.

 

Doping. Condizione naturale dell’uomo moderno. Caffé, integratori, nicotina, bibite energetiche, viagra, tutti prendono qualcosa per avere successo. Lo scorso 9 agosto il nuotatore francese Camille Lacourte ha raccontato al mondo intero che il suo collega cinese Sun Yang, campione dei 200 stile libero, “il pisse violet”, fa la pipì viola. Quella sera Sun Yang ha vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Rio. L’11 agosto il marciatore italiano Alex Schwarzer, che avrebbe assunto una sostanza chiamata “Epo”, è stato invece squalificato per otto anni. Qualcuno lo beccano, qualche altro no. Quelli che non li beccano, poi ovviamente fanno la morale ai beccati.

 

Epurazione (vedi scomodo). Qui si entra, purtroppo, in un terreno molto accidentato oggi che gli epurati e gli scomodi della televisione e della radio, i censurati catodici e delle onde medie, spuntano come i funghi dopo la prima pioggia d’agosto. In generale in Italia s’intende per epurazione un particolare stato d’animo, emotivo e psicologico, che coinvolge totalmente un giornalista o un personaggio dello spettacolo che ha perso il suo palcoscenico. Richiede molta comprensione di se, molto tempo e grande impegno. In principio fu l’editto bulgaro. Da allora in poi chiunque venga tagliato da un palinsesto ritiene in buona fede d’essere Michele Santoro o Enzo Biagi, se non Piero Gobetti. Convinto dunque d’essersi battuto lui solo con decisione, in mezzo alla genuflessione generale, e contro le più truculente minacce politiche della nostra epoca, come direbbe Totò, “si butta a sinistra”. Ovviamente, come accade per le onorificenze al merito, è a quel punto un epurato a vita. Si professionalizza. Non torna più indietro. Può fare fiasco a teatro, scrivere libri che nessuno legge, ma sempre epurato resta, come gli ex deputati rimangono “onorevoli” anche quando non sono più eletti. E se non ci si sbriga a dargli presto una scrivania, una telecamera o un microfono, quello finisce che diventa pure un’autorità morale, mezzo Zagrebelsky e mezzo Che Guevara.

 

Golpe. Parola disposta per ogni servizio, pronta per ogni viaggio, mercenaria per ogni guerra, saltellante e instancabile. E ovviamente, come tutte le parole, più se ne abusa più si sgonfia. Un tempo si usava molto contro Berlusconi. Nel 2006 Curzio Maltese ci fece un libro, in cui accusava quel diavolaccio del Cavaliere di “squadrismo culturale”, “imbecillità”, “omologazione a ribasso dei costumi”, “scempio della moralità”, “assassinio del bello”. Tutte piccolezze che, di conseguenza, avevano determinato secondo lui un “golpe democratico” o meglio “un golpe mediatico”. E qui arriviamo al punto. Poiché l’ammonizione biblica “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”, come tutte le prescrizioni morali e i richiami di buon senso, è evidentemente fatta per essere ignorata, adesso è Forza Italia ad avere il primato nell’uso della parola golpe. Uno come Renato Brunetta l’ha (ab)usata contro Napolitano (“con lui è un golpe infinito”), contro le agenzie di rating (“il golpe del rating”), contro Mario Monti (“il professore del golpe”), contro Pierluigi Bersani (“se gli danno l’incarico è un golpe”). Ma è forse sulla nomina dei direttori dei Tg Rai che questa estate il prolifico deputato berlusconiano ha toccato il maximum e l’optimum: “Questo è un golpe. Renzi è come Erdogan”. E davvero sembra la caricatura di quei pezzi sulla Struttura Delta berlusconiana che nel 2011 Massimo Giannini scriveva per Repubblica. Leggete e paragonate: “11 febbraio 2011. Gli storici prendano nota. Ieri, per la prima volta, si è riunita in chiaro, alla luce del sole, la Struttura Delta. Le ‘guardie armate’ del presidente del Consiglio nella carta stampata e nella tv. E poi c’è ancora chi dice che questa non è una vera emergenza democratica”.

 

Gufo (sin. sfiga). Chi di gufo ferisce di gufo perisce. Le parole non vogliono stipendio e si danno a chi meglio le adopera, per qualunque causa. Entrato a Palazzo Chigi il 22 febbraio 2014, Renzi indicò “gufi”, “rosiconi” e “disfattisti”. Poi, il 29 dicembre del 2014, aprì la conferenza stampa di fine anno con una carrellata di gufi, di disegnini, di slide sul pil, sulle riforme, sul jobs Act, accompagnate dalle “gufate” dei pessimisti. A un certo punto, simpaticamente, Pippo Civati e Stefano Fassina, che criticavano Renzi, cominciarono a utilizzare la parola “gufo” per riferirsi a se stessi. Molti altri, molti giornalisti, fecero invece esercizio d’indignazione. Ma poi sono arrivate le Olimpiadi, con la visita di Renzi a Rio, accompagnata dalla rovinosa, terribile caduta del campione di ciclismo Vicenzo Nibali, che ha perso la medaglia d’oro e (momentaneamente) anche l’uso di un ginocchio. E la parola gufo, e porta sfiga, è stata allora rivolta contro il suo originale demiurgo, contro Renzi, e da quegli stessi giornalisti che prima s’indignavano. Uscito dalla gabbia della metafora, il “gufo”, il portatore di sfiga, adesso svolazza cupamente sulla macerie di un confronto pubblico sempre più violento, che coccola la grammatica dell’odio. Ma c’è anche il paraculismo. Nel film “i mostri”, Vittorio Gassmann, pedone sulle strisce, si arrabbia e si ribella, si turba e s’indigna perché gli automobilisti non si fermano, ma anzi, mentre gli sfiorano il sedere con la carrozzeria, gli gridano: “A stronzo, movete, sei cecato?”. Ma poi quando Gassman sale sulla sua cinquecento, allora sfreccia anche lui su quelle stesse strisce, mostrando le corna ai pedoni, proprio come quei giornalisti che s’indignavano per la parola “gufo”, ma poi l’hanno adottata rincarando la dose.

 

Pokemon. Sui quotidiani italiani, in agosto: disperato tentativo di collegare i giornali ai social. Datemi un Pokemon e vi solleverò le vendite! Col cavolo.

 

Satira. Prodotto cosmetico per violenza verbale. Verrebbe voglia di augurarsi possa perdere spazi di libertà per riappropriarsi di spazi di talento (vedi sessismo).

 

Scomodo. Lo dice di sé l’epurato televisivo (vedi epurazione). In Italia più comodo di uno scomodo c’è solo il Papa.

 

Sessismo. E’ quella cosa che se in Italia la pratica Salvini fa vomitare, ma se la fa Travaglio allora è satira, e se ti dicono che non lo è, allora tu rispondi che ti stanno censurando. Se Obama balla il tango a Buenos Aires nessuno dice che è fru fru. Ma se Maria Elena Boschi ha la gonna corta, allora le riforme diventano “lo stato delle cosce”. Militarizzata e militante, mai contro gli amici, nasce così la finta satira. E fuori dalla satira, l’equazione “gonna corta” uguale “pensiero corto” è insostenibile. Torniamo ad Adele Faccio: ti puoi occupare di referendum solo se sei castigata.

 

Olimpiadi. Quella cosa che si fa a Rio ma non si può fare a Roma. I giochi accendono il Brasile ed entusiasmano tutti, persino i cinque stelle, che tifano per i campioni della scherma e dei tuffi, del judo e del canottaggio, purché tuttavia non accendano Roma. Qua, dice la sindaca, ci si deve occupare solo di monnezza e di gabbiani che mangiano ratti per strada, d’inefficienza di servizi e di sottosviluppo. Fino al 2024. (Co)Raggi(o).

 

Poveri. Parola da tutti maneggiata ad innalzare una sorta di nuovo pauperismo – con tanto e tale ardore che, se non fa attenzione, pure Papa Francesco rischia di farsi oscurare la sua saggissima vocazione. Così, chiodo di pelle, t-shirt dei lavoratori dell’Ilva, e abbronzatissimo, ecco che Alessandro Di Battista quest’estate gira l’Italia francescanamente in motorino (“vado senza scorta, a spese mie, al massimo risparmio”). E allora si fa fotografare mentre riposa negli ostelli più spartani (“dico no? alle riforme del trio Renzi-Boschi-Verdini ma dico sì ad un letto a castello”), e prepara i suoi diari della motocicletta: “Siamo i balordi del M5s che si tagliano gli stipendi e rinunciano a rimborsi elettorali e privilegi della casta. Abbiamo donato 13 milioni ai poveri e aiutato le aziende”. Qualche settimana fa aveva detto, testualmente, in televisione: “Agli italiani manca il pane”. E insomma, lui, come il santo vescovo Martino, vuole scendere da cavallo e con la spada tagliare pubblicamente il suo mantello per offrirne metà al mendicante infreddolito ai bordi della strada. O come il beato cardinale Dusmet di Catania: “Finché avremo un panettello noi lo divideremo con il poverello”. Il poveraccismo istituzionale s’innalza a etica, l’etica a predica, la predica a ideologica. E questo travestirsi mediatico ha qualcosa di stonante, di poco autentico, di esasperatamente studiato. Meno male che c’è Renzi, direte voi. E invece no. “Se passa il referendum sulla riforma del Senato, i cinquecento milioni che risparmieremo li daremo ai poveri”, ha detto pochi giorni fa. Pure lui. E qui allora cominciamo a temere d’essere circondati. E’ un avanzare a falange macedone.

 

Vacchi (Gianluca). Un falso-autentico sul quale alla fine si potrebbero accanire i sociologi. Ovvero di come, attraverso internet e poveri quotidiani, si può tentare di spacciare per popolare una cosa che non lo è. Sinonimo estivo di futile, o di trash.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.