Rapallo decadance
Serenata nostalgica ma piena di speranza per il Tigullio e per i luoghi della mia adolescenza estiva che ritrovo intatti solo nella memoria e in un vecchio film con Rock Hudson e Gina Lollobrigida girato sul promontorio di Villa Spinola nei primi anni Sessanta, sintonizzato per caso nel pigro scorrimento del telecomando di un pomeriggio di burrasca: si intitola “Torna a settembre” e, se per caso non l’aveste mai visto, evento improbabile perché della scarna programmazione estiva delle reti minori è un caposaldo, regalatevi dieci minuti di tempo per gustare, già un poco incanagliti ma ancora leggibili, i luoghi dei soggiorni di Frédéric Mistral e di Ezra Pound, di Jean Sibelius e di Friedrich Nietzsche, di William Butler Yeats e di Ernest Hemingway col suo “Gatto sotto la pioggia”, ma anche di un nugolo di imprenditori piccoli e grandi e di belle signore ingioiellate che sono state, loro malgrado, il motore e la causa della sua rovina. Cinquant’anni dopo, la “rapallizzazione” coniata da Indro Montanelli per indicare l’“urbanizzazione indiscriminata e selvaggia in zone turistiche a seguito del boom economico”, subito entrata nei dizionari e nel lessico comune, è giunta al suo naturale stadio evolutivo, e cioè alla decadenza. Dei 12 milioni e mezzo di euro che il sindaco Carlo Bagnasco dice che investirà a partire sostanzialmente da oggi fra la nuova strada pedonale per santa Margherita, l’illuminazione totale a led delle strade, la valorizzazione del network di automobiline elettriche in affitto e il recupero della passeggiata a mare appena saranno conclusi i lavori per il nuovo depuratore, si vedranno i risultati, forse, dalla prossima estate, più probabilmente dal 2018. Nei giorni scorsi i gestori dei bagni della costa, imbufaliti per la mancata proroga delle concessioni fino al 2020 decisa dalla Corte di Giustizia di Bruxelles, hanno esposto la Union Jack, Brexit balneare finita a piena pagina sul Financial Times per la gioia di Patrizia Gentoso dei bagni Tigullio i cui pontili guardano proprio il Castello rinascimentale e che dunque sono molto fotogenici: in attesa delle aste che indispettiscono anche molti villeggianti, abituati a trovare negli stabilimenti da decenni una seconda casa, affetto e coccole comprese, le spiaggette libere sono rastrellate di terra di dubbia provenienza. I pescatori che un tempo le occupavano offrendo strepitose acciughe sotto sale sono scomparsi. Se il futuro promette meraviglie, come Alberto Sordi in “Racconti d’estate”, la prima delle sue tante interpretazioni dell’aspirante vedovo con bruttona di successo al fianco, girato per l’appunto a Rapallo (“Ada, vieni da Aristarco tuo”) l’attualità di questa cittadina che d’estate passa da trentamila a ottantaseimila abitanti è invece desolante, caotica.
Del tutto insufficiente, perché unico, pare anche il rilancio del ristorante di Villa Portofino “dove è appena passato anche Marco Tronchetti Provera”, come evidenzia il sindaco, forse ignaro degli ultimi sviluppi Rizzoli e della necessità di guardare dall’altra parte della baia, cioè verso san Michele di Pagana, dove talvolta soggiorna Urbano Cairo e dove un tempo scendeva sulla spiaggia dell’Excelsior, ora rinvigorita di cemento a uso dei russi che la frequentano, anche Angelo Rizzoli in accappatoio bianco e occhiali neri, guarda i casi della vita. Gli orrendi condomini costruiti dai geometri del paradigma urbanistico anni Sessanta per gratificare le smanie della villeggiatura di un ceto medio che in estate voleva strusciarsi coi cumenda hanno perso la maggior parte degli occupanti originari: i nipoti andati a far baldoria a Magaluf o nelle isole greche, i genitori in crociera ad assaporare il brivido dell’inchino, i primi proprietari sospinti in carrozzina da un’infinità di badanti per le strade intossicate dallo smog. Poche centinaia di metri più in là, i soci del Golf Club Rapallo, anno di fondazione 1931, percorso magnifico con vista sulle rovine del monastero duecentesco di Valle Christi, vi accedono attraverso un sistema di sbarramento e una guardiania che fino a pochi anni fa nessuno avrebbe ritenuto necessaria. I terrazzoni a piastrelle di gres e i muri intonacati di giallo e rosso senza grazia e ora perlopiù scrostati, sono stati dunque occupati da una comunità variegata ma ad altissima presenza islamica da cui, lo scorso 4 agosto, la polizia di Genova ha prelevato l’imam Mohamed Ali Othman, tunisino, indagato per terrorismo. La sera, il passeggio velato dai hijab o, perdonate l’impertinenza, dalla cataratta degli acquirenti originari dei condomini di cui sopra, si riversa sulla storica passeggiata a mare che tutti avrete visto raffigurata sulle cartoline almeno una volta e che tale è rimasta, credo, dai primi anni Settanta, quando un’immensa colata di cemento rosso mattone venne gettata sul primo impianto architettonico, invero di fattura decente, che aveva coperto i ciottoli tipici della zona dando però un invaso sicuro all’esuberanza di due torrenti e un percorso con vista al turismo elegante di quei primi decenni del Novecento. “Rapallo è un grappolo di perle che divide il mare di lapislazzuli dalle colline verde smeraldo”, scriveva John Gilbert Bohun Lynch, un eccentrico letterato inglese che nel 1927 aveva percorso la riviera ligure a piedi con il compagno, incantato da tutte le frazioni fra cui era ancora suddivisa la cittadina che ora appare invece come un lungo nastro ininterrotto di case fino a santa Margherita Ligure. Solo occasionalmente appaiono “i promontori rocciosi e le piccole baie verdi” che il nostro tanto ammirava pochi anni prima che Pound vi si stabilisse in via quasi permanente, accidenti di guerra e prigionia ovviamente esclusi, dando vita a un circolo le cui vestigia si trovano tuttora, a voler cercare bene, e ispirando comunque un importante fondo presso la locale biblioteca di cui avremo modo di scrivere a breve. Dobbiamo infatti tornare sul lungomare.
Esattamente come i condomini che si incontrano uscendo dall’autostrada e l’inopinato grattacielo che alla fine degli anni Sessanta sorse in pieno centro storico nell’arco di pochi mesi, insidiando il campanile della basilica dedicata ai santi Gervasio e Protasio e parecchio rimaneggiata nei suoi ottocento anni di storia, anche il cemento rosso ha subito la naturale usura del tempo. In attesa della quota dei dodici milioni e rotti annunciata dal sindaco, resta dunque crepato e malamente rappezzato in più punti e specialmente, va da sé, attorno al Castello a mare costruito verso il 1560 per difendere i cittadini dopo che il condottiero turco Torghud, monumento in memoria sulla punta di Bodrum perché la storia è una questione di prospettive, l’aveva messa a ferro e fuoco depredando le chiese e catturando un congruo numero di schiavi nel 1549. La sera, carrozzine e carrozzelle vi sobbalzano continuamente, fra le imprecazioni degli anziani e i risvegli irosi dei lattanti. A Rapallo, le case sono in offerta ovunque in affitto o in vendita a prezzi inferiori anche del trenta per cento rispetto alle vicine Santa Margherita, a Zoagli e a Sestri Levante, rilanciata soprattutto negli ultimi anni da una giunta a maggioranza Pd che, lavorando di pedonalizzazione e di vincoli a scopi ufficialmente ecologici, ha ottenuto il risultato, forse non inatteso, di far riaprire ville e case importanti abbandonate da tempo e di rianimare un commercio di qualità che qui non ha più luogo nonostante, o forse a causa, della presenza di famiglie impegnate nel ramo nelle giunte degli ultimi vent’anni. Ha ragione il sindaco, famiglia di farmacisti molto in vista, a dire che la gente compra ormai su internet e che gli smartphone hanno ucciso il rito delle compagnie estive e dei motorini lanciati a tutto gas lungo la strada per Portofino. Rallentamento obbligato (a saperlo) alla prima curva per san Michele di Pagana causa palazzina sporgente di nessun interesse epperò appena vincolata per una di quelle ripicche politiche su cui la stampa locale imbastisce pagine quotidiane e che a Rapallo prende il nome dell’ex sindaco Armando Ezio Capurro, autore di seimilasettecento accessi agli atti delle ultime amministrazioni fra mozioni, interpellanze, interrogazioni, segnalazioni che gli ha appena procurato un esposto da parte di Bagnasco, primo caso di stalking amministrativo denunciato. La realtà evidente e incontrovertibile è che per le trentamila-ottantaseimila anime rapallesi (rapallini si possono definire solo i locali, e badate bene a non sbagliare), in inverno o in estate non c’è più un cinema degno del nome, una libreria che assomigli anche solo vagamente al mitico Convegno, punto di ritrovo degli intellettuali favorito dal gruppo degli americani che ruotava attorno a Pound negli Anni Cinquanta e dove tanti di noi hanno imparato a distinguere un libraio da un venditore di libri. Nella viuzza dove un tempo lavorava un ottimo restauratore, ha preso posto da pochi mesi una signora che vende colori a tempera e olio di grandissima qualità. Propone laboratori creativi e si fa il tifo per lei, stretta com’è fra tre delle infinite focaccerie che costellano non solo Rapallo ma tutta l’Italia da quando la liberalizzazione del commercio ha permesso di trasformare ogni angolo in una friggitoria e poi vai a smaltire tutta quella monnezza. Resiste “la Pia”, bouticcara della grande transizione modaiola fra i Settanta e gli Ottanta e sempre più a fatica “la Jucci”, che ai milanesi fece scoprire gli stilisti di ricerca giapponesi come Rei Kawakubo quando a Milano andava ancora la gonna a pieghe.
Oggi si vede passare davanti alle vetrine i pullman di Serravalle Outlet: parcheggiati in ogni dove, aspettano la massa dei crocieristi che attraccano al largo della baia per portarli nell’entroterra a fare incetta di firme scontate. A Rapallo servono per fare numero di presenze: si fermano venti minuti, non consumano neanche un caffè. Tanti negozianti, dunque, chiudono, lasciando spazio a una lunga teoria di negozi di cianfrusaglie cinesi senza gusto e senza storia, mentre i più fortunati e i più abili si spostano a Sestri e a Santa (noi milanesi siamo per l’elisione e il troncamento, abbiate pietà ma il lessico in uso è questo da sempre) dove, evidentemente, i Pokemon Go e gli smartphone hanno minor presa che sul Caruggio Dritto di Rapallo, vai a capire. Nella cittadina dei trenta-ottantaseimila, snodo autostradale per tutto il golfo con un progetto di svincolo fermo sulla carta perché invasivo dell’area attorno al Monte di Portofino, il simbolo delle amministrazioni che si sono susseguite dagli anni Settanta a oggi sono i monumenti laici ai fasti che furono e che si sostengono l’un l’altro, pericolanti: tre deliziosi alberghetti Belle Epoque nell’ultimo tratto della passeggiata, transennati ormai da trent’anni e ormai irrecuperabili nelle strutture originali, e soprattutto il grande albergo Savoia, che della mia generazione credo di essere l’ultima ad aver visto aperto, alla fine degli anni Settanta, e quella di mia figlia solo nella riproduzione applicata più per disgusto estetico che per vincolo paesaggistico alla facciata in rovina. Attorno al suo piano di recupero, portato avanti dal 2003 da una società in cui figurano gli stessi immobiliaristi che in contemporanea acquistarono l’antico Grande Albergo di Sestri, restaurato e riaperto da tempo, si consumano da quasi vent’anni gli attriti fra le diverse giunte, ufficialmente sempre di centro-destra ma in realtà e in buona parte liste civiche. Dopo essersi visto riapprovare il piano di ristrutturazione originario bocciato quindici anni fa, l’amministratore, Riccardo Bancalari, ora ritiene del tutto antieconomico avviarlo: la formula mista albergo-residenza che in tempi antecedenti alla crisi avrebbe avuto ottime possibilità di riuscita, adesso sarebbe certamente un fallimento. E’ dunque probabile che il Savoia crollerà su se stesso prima che si arrivi a una soluzione. A rischio crolli, e lo dico con cognizione di causa perché lo scorso anno mi sono ritrovata con la testa imbiancata di stucco mentre esaminavo la raccolta originale del primo decennio di pubblicazioni dello Spectator, che credo non vantino altri nell’Europa della Brexit, è anche parte del tetto della Villa Tigullio, la Biblioteca internazionale e Museo del Merletto, appunto, nonché il più bel strepitoso punto della baia. Costruzione settecentesca voluta ancora dalla famiglia Spinola, parco in stile inglese, ultima residenza di Costantino Nigra, negli anni della mia infanzia era ancora privata. Il comune la acquistò infatti nel 1974, spostando quelli che erano allora pochi libri e qualche rotolo di ricami da Villa Porticciolo, dove erano ammassati, al più congruo spazio dove resistono eroicamente all’umidità. Non sto neanche ad elencarvi le prime edizioni e la preziosa emeroteca marittima che la Biblioteca possiede, i lasciti di Pietro Berri, di Padre Chute e di Sita Meyer Camperio, e certe biografie giustamente promosse come “introvabili” dal gruppo di esperte che la dirige, vedi l’edizione di sir Arthur Hardinge su Henry Howard Molyneux Herbert, uno che ai tanti federalisti rapallini dovrebbe essere caro, per dire. Il pomeriggio, quei ragazzi che il sindaco vorrebbe attaccati agli smartphone la occupano in religioso silenzio per studiare, leggere, scrivere la tesi ed è un piacere vedere quanti siano e quanto ritengano Villa Tigullio come l’unico e ultimo posto rimasto nella cittadina della quiete impossibile. Il sito del Comune la fotografa fra le proprie eccellenze: cinquantamila euro per riparare il tetto e per preservare quell’immagine di cui mena gran vanto, forse, potrebbe trovarli.
Il Foglio sportivo - in corpore sano