Juppé, saggio e pop
Per il suo mentore e padre politico, Jacques Chirac, è sempre stato il “migliore” dei neogollisti. Per l’ex primo ministro, Jean-Pierre Raffarin, soltanto la sua “attitudine serena” potrà ridare fiducia ai francesi nel 2017. Per l’eterno outsider delle presidenziali, il leader del MoDem François Bayrou, è l’unica personalità politica “compatibile con la necessità di ricostruire la corrente politica del centro che tanto manca alla Francia”. Alain Juppé, sindaco di Bordeaux e candidato alle primarie dei Républicains (Lr), è oggi la personalità politica preferita dai francesi e il più quotato della destra neogollista per diventare il prossimo inquilino dell’Eliseo.
Dopo quarant’anni di esercizio delle più alte funzioni della République – ministro del Budget dal 1986 al 1988, ministro della Difesa dal 2010 al 2011, ministro degli Esteri nel 1993 e dal 2011 al 2012, primo ministro dal 1995 al 1997, senza dimenticare la lunga parentesi da vice di Chirac al comune di Parigi, dopo essere stato ispettore delle finanze – colui che ha fatto di Bordeaux il suo feudo elettorale si sente pronto per il grande salto. I suoi detrattori dicono da sempre che è un po’ troppo grigio, distante e algido per forgiare una grande narrazione, ma questa è l’immagine di Juppé prima della famosa copertina degli Inrocks di due anni fa, la sua svolta pop, quando senza cravatta e il colletto della camicia aperta posò sorridente facendo l’occhiolino all’elettorato giovanile sopra il titolo: Juppémania.
Da quel momento, dalla “une” sgargiante sulla bibbia degli hipster parigini, l’eterno primo della classe – vincitore del concorso nazionale di latino e greco ai tempi del liceo, classi preparatorie al Lycée Louis-le-Grand, diploma alla Normal Sup’, poi Sciences Po e Ena promozione “Charles de Gaulle” – è diventato improvvisamente moderno e seducente anche per quei giovani che in lui vedevano il simbolo della Francia dei fils à papa, elitaria, distante, autoreferenziale, fatta di copinages e connivenze, molto poco cool e decisamente noiosa. Per diventarlo, in realtà, si è anche dato molto da fare Juppé. Ha modulato molte delle sue idee per apparire più in sintonia con la nostra epoca e scrollarsi di dosso l’immagine di tecnocrate macina numeri, dicendosi favorevole al matrimonio omosessuale, difensore di una laicità che protegge le religioni e non le annulla, e promotore dell’”identità felice” della Francia, perché “siamo diversi, bisogna rispettare le nostre differenze, nessuno priverà nessuno delle proprie radici”.
Sull’islam, Juppé preferisce trovare degli “aggiustamenti ragionevoli” per integrarlo nella République, invece di trasformare la difesa della laicità in una battaglia esclusiva contro l’islam, come fa Sarkozy. Il modello cui ispirarsi, dice il sindaco di Bordeaux, è quello napoleonico: creare una gerarchia nel culto musulmano, come fu fatto con il culto ebraico grazie alla creazione del Concistoro, al fine di avere degli interlocutori quotidiani e favorire la creazione di un vero “islam de France”. Sulle polemiche attorno alle ordinanze anti burkini si è detto contrario alla promulgazione di “leggi di circostanza dettate dalle polemiche mediatiche”. E sull’Europa, l’altro grande tema assieme all’identità che occuperà il dibattito politico-mediatico durante la campagna presidenziale, afferma che soltanto il rinsaldamento della “relazione privilegiata tra Francia e Germania” potrà garantire al vecchio continente una “nuova partenza”.
Una bagnante musulmana in burkini (foto LaPresse)
“L’Europa ha bisogno di una Francia che non rattristi per i suoi fallimenti, ma che ispiri per i suoi successi. Una Francia che ritrova la sua relazione privilegiata con la Germania, la sua capacità di convincere e indicare la via. E quando ce n’è bisogno, una Francia che sappia dire ’no’ a Washington, a Pechino, a Ankara o a Mosca”, ha scritto Juppé in un intervento pubblicato sul Monde intitolato “Oui, à l’Europe debout!”. La giornalista Camille Vigogne Le Coat ha appena pubblicato un libro pieno di aneddoti croccanti: “Je serai président! L’histoire du jeune et ambitieux Alain Juppé”, dove si scopre che il giovane Alain non era poi così distante da quello che oggi tutti definiscono un “resuscitato”, un nuovo Juppé. “Non ha mai smesso di essere quel bambino che sognava di essere papa. E che spera oggi di diventare ‘re della République’”, scrive Le Coat.
Lo scorso weekend, a La Baule, nella Loira-Atlantica, si è tenuta l’università estiva dei Républicains, con la passerella di tutti i candidati alle primarie in un clima particolarmente agitato per via dei comizi bellicosi di Sarkozy, contro il quale sia Juppé sia Fillon covano desideri di vendetta. Ma mentre quest’ultimo ha contribuito a incendiare le discussioni facendo allusione ai guai giudiziari dell’ex capo di stato e accusandolo, senza citarlo, di “copiare il programma dell’estrema destra”, Juppé ha invitato alla calma e a far sì che le primarie siano l’”occasione di un dibattito, non di un pugilato”. “Il dibattito è assolutamente legittimo e necessario, ma non cadiamo negli attacchi personali”, ha dichiarato il favorito dei neogollisti, proponendo agli altri candidati un “codice di buona condotta”, al fine di trasmettere una buona immagine di Lr, dopo lo spettacolo stucchevole delle primarie del 2012 con Jean-François Copé e François Fillon ad accusarsi reciprocamente di brogli elettorali. “Bisogna che questo scrutinio sia trasparente e incontestabile”, ha aggiunto Juppé, che nella carta deontologica sottoposta ai suoi compagni di partito invoca l’impegno di ognuno ad accodarsi al vincitore senza livore e revanscismi.
Difficile che accada. Difficile immaginare lo stesso Juppé sostenere uno come Sarkozy, che in questi due anni non ha mai smesso di dargli del “vecchio” – “Contro un tipo di sinistra di 72 anni, non posso perdere”, ha detto Sarko con l’abituale dose di malignità – e che freme dalla voglia di mandare ai giardinetti tutti i baroni della destra neogollista contrari al suo ritorno nell’arena politica. Ma lo scenario che vede l’ex président trionfante il prossimo novembre, è uno scenario che Juppé non prende nemmeno in considerazione. Mai come in questo momento, il sindaco di Bordeaux è convinto di essere l’uomo giusto per la Francia, dopo una lunga carriera da uomo di apparato del gollismo tradizionale, dopo trent’anni trascorsi sotto l’ala protettrice di Chirac, dopo ritiri mesti (la condanna per impieghi fittizi al comune di Parigi da vice di Chirac, l’interdizione dai pubblici uffici e l’esilio in Quebec) e rentrée luccicanti nella politica che conta (la fondazione dell’Ump, ministro della Difesa e degli Esteri nel governo Fillon III, la terza rielezione a Bordeaux), dopo aver conosciuto da vicino ogni ingranaggio della République.
All’iperattivismo scontroso dell’ex capo di stato, Juppé risponde con i toni pacati e rassicuranti di un homme d’état che a 72 anni si sente sufficientemente preparato per assumere la guida del paese, e alla vanagloria del suo rivale che si trascina da un comizio all’altro con arie da uomo provvidenziale, controbatte con un discorso rassembleur, che lascia aperta l’ipotesi di una grande coalizione in vista del 2017. Thomas Guenolé, politologo e professore a Sciences Po, ha scritto sul Figaro che la “botte secrète” di Juppé, la sua mossa segreta all’orizzonte 2017, è la creazione di un governo di unità nazionale, dove il potere è esercitato da un grande arco repubblicano che va dalla destra moderata alla sinistra moderata. Lui stesso, al Point, parlava in questi termini lo scorso 4 gennaio a proposito di un ipotetico Parti de la nation: “A livello nazionale, bisognerà che un giorno vengano tagliati i due estremi dell’omelette, affinché le persone ragionevoli governino assieme e lascino da parte i due estremi, di destra e di sinistra, che non hanno capito nulla del mondo”.
Soltanto tre giorni dopo, ribadiva la sua idea di adunanza repubblicana per il bene del paese: “Penso soprattutto che la Francia sia un bel paese, che ha tutte le capacità per risollevarsi, e mi dispiace vederla continuare a ristagnare nel marasma. Bisogna fare qualcosa. Invito tutti coloro che ci credono ad aiutarmi a farlo: un grande raggruppamento della destra, del centro-destra, del centro… e un giorno forse bisognerà andare oltre, non attraverso delle combinazioni individuali o dei reclutamenti personali, bensì tramite un accordo su un progetto”. Il messaggio di Juppé è passato quasi inosservato a inizio anno, un po’ perché erano appena finite le vacanze e l’attenzione dei media non era ai massimi livelli, un po’ perché il dibattito era monopolizzato dalle polemiche sulla revoca di nazionalità per i terroristi con la doppia cittadinanza e sullo stato d’emergenza decretato dopo gli attentati di novembre 2015.
Ma tuttora, quando il sindaco di Bordeaux viene interrogato sulla possibilità di un governo di unità nazionale, lascia intendere che potrebbe essere una soluzione per la Francia. Prima, però, bisogna vincere le primarie di partito, che secondo tutti gli osservatori saranno il teatro dell’ennesimo regolamento di conti sanguinoso nella destra neogollista. I sondaggi, che fino a qualche settimana fa davano Juppé in netto vantaggio rispetto a Sarkozy, ora mostrano che lo scarto tra i due comincia a ridursi. E nella cerchia dei fedelissimi dell’ex capo di stato, mentre il suo “Tout pour la France” balza in cima alla classifica dei libri più venduti, c’è grande ottimismo.
Anthony Dodeman, segretario nazionale dei Républicains e consigliere municipale Lr a Neuilly-sur-Seine, ha elencato sull’Huffington post francese le cinque ragioni per cui Sarkozy vincerà le primarie di partito, affermando che nessun altro nei Républicains ha la forza e la determinazione per riportare la destra neogollista all’Eliseo, che i Juppé e i Fillon avranno certamente gli atout dei politici di lungo corso, che Le Maire avrà pure dalla sua l’età e la dinamica di rupture, che Nathalie Kosciuscko-Morizet farà pure strage di cuori tra i bòbò di Parigi e gli ambientalisti di ogni latitudine, ma non scaldano i cuori, non infiammano le folle, e non hanno il carisma necessario per guidare una nazione come la Francia.
Juppé lascia fare. Legge, ascolta, incassa. E forte della sua popolarità tra i francesi e i simpatizzanti di Lr, prosegue con la sua allure rassicurante presentandosi come il candidato della riconciliazione nazionale. Certo sa bene che non può riposarsi sugli allori dei sondaggi, ma intanto continua a incassare adesioni su adesioni, anche da ex pasdaran della sarkozia che fu. Christine Albanel, ministra della Cultura sotto la presidenza Sarkozy, ha deciso di passare nel campo Juppé per la prossimità ideologica con il favorito delle primarie, idee liberali e moderatismo, per l’appartenenza alla stessa famiglia chirachiana, e perché l’ex capo di stato, all’Eliseo, pensava più alla comunicazione che all’azione, l’esatto contrario di Juppé, che a Bordeaux, da sindaco, ha dimostrato di essere un homme d’action.
L’ex primo ministro, Jean-Pierre Raffarin, ha abbandonato a febbraio il suo ex compagno di battaglie Sarkozy, il candidato della “divisione”, per abbracciare “fermamente e attivamente” Juppé, il candidato del “rassemblement”, “personalità forte, affidabile, fedele”, e il solo che “può ricompattare i francesi”. François Bayrou, leader dei centristi del MoDem, che con il suo partito si è più volte accordato con la destra neogollista, non ha nessun dubbio sul candidato da sostenere nel 2017: Alain Juppé. Quest’ultimo, in cambio, gli ha già promesso un posto importante nell’ipotetica équipe di governo del 2017, e dall’entourage di Juppé amano ripetere che l’adesione di Bayrou è un “atout nella campagna per le primarie” e che assieme rappresentano il “miglior tandem per vincere”.
Ma il pupillo di Chirac può soprattutto contare sulla sua cerchia di fedelissimi: Benoist Apparu, la sua “plume” assieme a Laurent Laffont, direttore editoriale di JC Lattès (casa editrice che ha pubblicato tutti gli ultimi libri di Juppé), Edouard Philippe, deputato e sindaco di Le Havre, Hervé Gaymard, ex ministro chirachiano e presidente del consiglio generale della Savoia, Christophe Béchu, senatore e sindaco di Angers, Arnaud Danjean, europarlamentare specialista delle questioni di difesa, e soprattutto Virginie Calmels, sua delfina a Bordeaux, ex pdg di Endemol e attuale amministratrice di Iliad-Free (il gruppo di Xavier Niel) dalle amicizie influenti e un carnet di contatti molto denso. Come ogni candidato alle presidenziali che fa sul serio, anche Juppé ha il suo think tank di riferimento. Si chiama La Boîte à idées, è nato nel settembre 2012 come contraltare di destra a Terra Nova, il laboratorio di idee vicino al Partito socialista, ed è guidato da Maël de Calan, giovane rampante dei Républicains, soprannominato il “blairista di Juppé”, che ha appena pubblicato un pamphlet che riduce a brandelli il programma politico-economico del Fn, “La vérité sur le programme du Front national”.
De Calan, consigliere discreto per le questioni economiche, predica un “liberalismo pragmatico” e continua a salire nella gerarchia juppeista, alla stregua dell’altro giovane liberale di Lr, l’ambiziossissimo Robin Rivaton, che per ora sussurra all’orecchio di Valérie Pécresse, presidente della Regione Ile-de-France, ma nel 2017 chissà. La squadra c’è, l’indice di gradimento è tutto a suo favore, e lo slogan della futura campagna presidenziale è già pronto: “Radunare invece di dividere”, ripete incessantemente Juppé. Lui che come ha scritto Ludovic Vigorgne sull’Opinion vuole essere l’icona della “zenitude”: il candidato della forza tranquilla.
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