Il libro è morto ma è risorto
Scegliete un libro di carta dalla vostra libreria. Cercate il più grosso, maestoso volume a copertina rigida che trovate. Tenetelo in mano. Apritelo e ascoltate il fruscio della carta e il crepitìo della colla. Annusatelo! Sfogliate tra le pagine e sentite la brezza sulla vostra faccia”, scrive Keith Houston. Ora prendete un lettore di ebook, aggiungiamo noi. Un Kindle, un Kobo o un Tolino, ché sembra che questi aggeggi non possano avere un nome presentabile. Premete il pulsante di accensione. I più fortunati saranno illuminati da una luce biancastra che serve a simulare il candore della pagina. Toccate lo schermo per sfogliare un libro digitale. Nessun odore, nessun crepitìo. Sfogliate un altro ebook. E’ uguale al primo, stesso carattere, stessa spaziatura nella pagina a finto inchiostro. “Un ebook imprigionato dietro al vetro di un tablet o allo schermo di un computer è una cosa inerte”, chiosa Houston.
La scena è già stata scritta quasi un decennio fa. Di questo romanzo giallo troppo prevedibile conosciamo la vittima (il libro cartaceo), l’assassino (l’ebook) e il contesto in cui il delitto si svolge (l’ondata ormai inarrestabile della cultura digitale che sta soppiantando in tutti i campi, dai media all’intrattenimento, quella analogica). Ogni momento sembra buono per sferrare il colpo mortale. Ma all’assassino manca il tempismo, o manca l’arma del delitto, e la morte annunciata del libro di carta è rimandata e rimandata. Ogni innovazione del libro digitale è vista come la volta buona, come la dimostrazione definitiva di una superiorità tecnologica che ha bisogno di poco tempo per essere sancita definitivamente dalla storia, ma ogni volta il libro di carta sembra scampare al suo destino già scritto. Gli ultimi dati che provengono dall’America, mercato più avanzato del mondo per quanto riguarda la diffusione del libro digitale, mostrano una resistenza stupefacente dell’analogico, che in qualche caso si traduce in una resurrezione. Secondo una ricerca Pew di settembre, il 65 per cento degli americani ha letto almeno un libro di carta nell’ultimo anno. E’ la stessa percentuale del 2012, segnale che i vecchi libri reggono eccome. Nel frattempo, la quota di lettori di ebook (28 per cento; si tratta ovviamente di lettori non esclusivamente in digitale) non cresce. I dati di vendita dei libri cartacei, inoltre, sono aumentati tanto nel 2014 quanto nel 2015, e anche se queste statistiche di vendita sono contestate da più parti (per esempio, sono drogate dal boom incomprensibile dei libri da colorare per adulti e non conteggiano i libri autopubblicati, che costituiscono una mole consistente del mercato digitale) costituiscono una resurrezione niente male.
Da anni gli evangelisti del libro digitale si chiedono come sia possibile tutto questo. Come sia possibile che gli appassionati di David Foster Wallace, per esempio, preferiscano portarsi in metropolitana un paio di chili di “Infinite Jest”, mastodontica opera di migliaia di pagine, piuttosto che i pochi grammi di un buon lettore digitale, o che si ostinino ad accumulare in casa quintali di carta che raccoglie polvere e ruba spazio sulle librerie. Si chiedono come sia possibile che la maggior parte dei lettori sostenga che leggere in digitale è meno appagante, che ti rimangono in testa meno informazioni, anche se la transizione da un formato all’altro è stata pensata per essere indolore, svelta e nativa. Il dato più sconvolgente per i fissati degli ebook è che anche i nativi digitali, i cosiddetti millennial, secondo tutte le ricerche continuano a preferire il libro cartaceo esattamente come i loro vetusti parenti. E mentre i talebeni degli ebook ripongono la loro fiducia nelle generazioni successive, in cui l’homo digitalis sarà addestrato fin dalle scuole primarie a vivere in un mondo immateriale e soprattutto senza carta, non possono fare a meno di chiedersi la ragione per cui nessuno ancora comprenda l’indiscutibile superiorità tecnologica dell’ebook. E’ più comodo, più veloce, più funzionale, come buona parte del consumo culturale in digitale. Lo streaming musicale ha soppiantato i vecchi cd, la lettura delle notizie online sta devastando il mondo dell’editoria tradizionale, perché diamine con i libri questa rivoluzione già annunciata non si compie e la superiorità tecnologica non è riconosciuta?
Il punto è che forse, per capire l’apparente invincibilità del libro cartaceo in questa guerra con il digitale, la cosa più utile è iniziare a considerare il dato più materiale del libro, il suo essere un pezzo di tecnologia prima ancora che un vettore di cultura. Il libro, infatti, è uno dei più antichi oggetti tecnologici ancora in uso, se non il più antico di tutti, e la sua permanenza millenaria, sebbene in forme differenti, è il frutto di un’evoluzione lunghissima che lo ha reso un pezzo di tecnologia sorprendentemente raffinato.
Qui entra in gioco Keith Houston, citato all’inizio di questo articolo. Houston è l’autore di “The Book”, libro dal titolo programmatico uscito quest’anno negli Stati Uniti. E’ anche, si potrebbe dire, il più recente esponente di un movimento intellettuale che sta acquistando rilevanza crescente in mezzo mondo. “The Book”, uscito per i tipi di W. W. Norton & Company, è un’opera storiografica e al tempo stesso una dichiarazione d’amore nei confronti dell’oggetto-libro, smembrato, riprodotto e raccontato in tutta la sua fisicità. “Questo è un libro sui libri”, scrive Houston nell’introduzione di “The Book”. Poche pagine dopo aggiunge, in un eccesso di chiarezza: “Questo non è un libro sugli ebook. Questo libro è sui libri corporei che sono venuti prima, sulla combinazione irrimediabilmente analogica di carta, inchiostro, cartone e colla con cui abbiamo vissuto e da cui siamo dipesi per così tanto tempo. E’ su libri che hanno una massa e un odore, che si sentono in mano quando li togli dalla libreria e che fanno un thump quando li fai cadere”.
Pochi altri autori recenti hanno avuto parole tanto appassionate per la fisicità di un libro, e nella sua “esplorazione da copertina a copertina dell’oggetto più potente del nostro tempo” Houston traccia la storia lunghissima e in molti casi avvincente che ha portato nel corso dei millenni alla formazione dell’oggetto-libro così come lo conosciamo oggi. Houston ha un amore viscerale e in certi casi sensuale per il libro, è un nerd della carta, un geek della rilegatura, un narratore dello scarso fiuto per gli affari di Gutenberg, delle trame di corte di Cai Lun, il presunto inventore cinese della carta, e delle maestose biblioteche di Eumene di Pergamo. E’ anche un divulgatore meticoloso delle minuzie tecniche della stampa a caratteri mobili, dell’ordine delle fibre di papiro negli antichi rotoli, della composizione chimica degli inchiostri cinesi. Ma non è l’unico.
Più o meno in concomitanza con l’uscita di “The Book”, lo scrittore Mark Kurlansky ha pubblicato “Paper. Paging through history”, un libro che, come è facile immaginare, parla della storia della carta. Soltanto negli anni recenti, come ha notato tra gli altri Dennis Duncan sul Times Literary Supplement, la pubblicazione di volumi sulla carta e sul libro di carta si è ampliata a dismisura. Nel 2011 Robert Darnton, storico di fama internazionale, ha pubblicato “Il futuro del libro”. Nel 2012, Ian Sansom ha scritto “Paper: An elegy”. Nel 2014 sull’argomento sono stati pubblicati tre studi notevoli: “On Paper: The everything of its two-thousand year history”, di Nicholas Basbanes; “White Magic: The age of paper”, di Lothar Müller e “The Paper Trail: An unexpected history of a revolutionary invention” di Alexander Monro. Insomma, il libro-oggetto inteso come tecnologia, e in alcuni casi più specifici la carta come vettore di cultura, conosce un revival importante anche negli studi. E questo, considerando la temperie di distruzione digitale di questi anni, è un dato rilevante che può essere messo in connessione alla guerra odierna tra libro ed ebook. Forse è nella lunga storia dell’oggetto-libro il segreto per cui la sua fisicità non ci ha stancato, come invece sta succedendo con i cd musicali o i giornali di carta.
In “The Book”, Houston racconta la storia dell’oggetto-libro trattando una a una le parti che lo compongono: la pagina, il testo, le illustrazioni, la forma. Ciascuna di esse è il frutto di millenni di evoluzione e di invenzioni perfezionate nei secoli, di trovate geniali misconosciute e riscoperte, e soprattutto di un lavoro portato avanti in parallelo da grandi civiltà in tutti gli angoli del globo, dalla Cina imperiale al mondo ellenistico, dai regni mesoamericani all’Inghilterra della rivoluzione industriale. L’impressione che ne deriva è che non solo il libro è forse la più antica tecnologia ancora in uso, ma che nessun’altra tecnologia abbia mai ricevuto l’attenzione e lo studio continuato di uomini d’ingegno per un periodo di tempo altrettanto lungo (millenni). Al confronto, la tecnologia ancora incerta degli ebook non regge.
Prendiamo l’esempio delle illustrazioni. Tra i primi “libri” illustrati a noi pervenuti ci sono le copie del “Libro dei morti” degli antichi egizi, risalenti più o meno alla metà del Secondo millennio a. C.. La tradizione delle illustrazioni muta e passa di mano, dai manoscritti miniati dell’Europa altomedievale alle stampe in xilografia cinesi della fine del Primo millennio fino ad Alois Senefelder, misconosciuto inventore della litografia a cui Houston dedica un intero capitolo, e giù ancora lungo un progressivo affinamento della chimica e della meccanica di stampa che ha portato alle illustrazioni perfette dei libri di oggi. Le immagini, al contrario, sono uno dei talloni d’Achille degli ebook. Mettiamo da parte i brillanti schermi lcd e oled di tablet e smartphone, che molte persone usano per leggere ma che non sarebbero gli apparecchi adatti, e prendiamo i lettori di ebook, quelli con inchiostro digitale che dovrebbe simulare la pagina stampata, e che l’industria ha designato come i sostituti del libro di carta. I lettori di ebook, per ora, non hanno colori, e tutte le illustrazioni sono in un grigino piatto. Gli schermi degli ebook hanno delle difficoltà a gestire lo zoom e spesso hanno una risoluzione scarsa, per cui oltre che grigie le illustrazioni sono sgranate e difficili da ingrandire. Alcuni dei migliori laboratori della Silicon Valley e non solo stanno lavorando a questi problemi, in pochi anni gli ebook hanno fatto passi enormi, presto avremo i colori e lo zoom e già adesso gli schermi iniziano a uscire ad altissima risoluzione. Ma qualche anno di ricerca semplicemente non può battere il prodotto di millenni di storia dell’umanità migliorato secolo dopo secolo.
Eppure, è proprio l’emergere dell’ebook che ha prodotto l’esplosione di nuovi studi sul libro di carta a cui assistiamo in questi anni. “Questo non è un libro sugli ebook”, scrive Houston. Ma “The Book” e tutti gli studi sulla carta usciti negli ultimi anni sono libri sull’ebook, nella misura in cui la lettura digitale ci ha portato a riconsiderare il libro cartaceo come un pezzo di tecnologia e a metterlo a confronto, per ora vincente, con la tecnologia emergente.
Nella guerra tra ebook e libro di carta, chi è furbo si gode il meglio dei due mondi e sceglie come leggere a seconda delle esigenze, ma anche i più estremisti talebani del digitale faticano a negare che certi sommovimenti emozionali sono possibili solo con il libro di carta. Per esempio quella compulsione per cui entri in libreria per comprare un volume ed esci pensando che dovrai montare un nuovo scaffale in casa, o l’incapacità cronica di certe persone di buttare anche i volumi più muffiti. I libri di carta sembrano avere una componente soprannaturale, e uno dei personaggi più notevoli del libro di Houston è l’impresario che finanziò Johannes Gutenberg nell’invenzione della stampa a caratteri mobili, un orafo di Magonza che prestò a Gutenberg una somma esorbitante con un interesse del 6 per cento, a patto che l’inventore prendesse il suo figlio adottivo come apprendista. Dopo il primo finanziamento, l’orafo fece altri prestiti a Gutenberg, e questi soldi consentirono la creazione della magnifica Bibbia di Magonza. Ma dopo qualche anno, visto che Gutenberg non restituiva le somme prestate, l’orafo intentò una causa contro il suo debitore, la vinse e fece confiscare tutte le macchine per la stampa. Insieme al figlio adottivo, che nel frattempo aveva imparato i segreti della nuova tecnica, si mise sul mercato e derubò Gutenberg del suo successo. L’orafo che consentì la creazione del libro si chiamava Johann Fust, ma in molte cronache il suo nome si scrive Faust. Secondo alcuni studiosi, fu lui a ispirare Christopher Marlowe.
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