Ma anche 5 Stelle
C’era una volta il mondo semplice dei “ma anche” di Walter Veltroni (prima del rilancio cinematografico-televisivo), un mondo dove i comizi in cui tutto poteva convivere con il contrario di tutto erano materia intelleggibile (esempio: siamo progressisti ma anche legati alla tradizione; ecologisti ma anche per il progresso tecnologico-industriale; per la bici ma anche per la Fiat). Poi però le cose si sono complicate: sbarco dei Cinque stelle in Parlamento, passaggio da due a tre poli. Ed ecco che i “ma anche”, oltre a farsi modalità comune di eloquio politico (pure fuori dal Pd), sono diventati cifra di comportamento ondivago sotterraneo e materia impalpabile di cui sono fatti i sogni di gloria (uno su tutti: andare al governo, ma anche no, ché forse è meglio limitarsi a buttare giù il governo degli altri). In giorni di lotta pre-referendaria, poi, il “ma anche”, in versione Cinque stelle, si tramuta in formula di mantenimento dell’identità multipla nel Movimento politicamente ibrido nato dal web, multiplo per definizione (uno vale uno, e gli uni insieme fanno la rivoluzione) e condannato a mostrarsi in un modo e nel suo contrario. (Segue rassegna arbitraria dei principali “ma anche” targati M5s).
Il “No anche” al referendum. L’Espresso ha titolato direttamente “referendum, la grande assenza del M5s”, con articolo di Marco Damilano in cui si parlava di “buco vistoso” nella campagna grillina per il No. Un No dichiarato ma non del tutto agìto, nonostante le peregrinazioni motociclistiche estive di Alessandro Di Battista e nonostante il tour referendario vero e proprio, che in questi giorni arriva nei pressi di Palermo. E anche se oggi i deputati regionali e nazionali del M5s si aggireranno per le piazze siciliane per spiegare perché è “indispensabile votare ‘No’ al quesito referendario del 4 dicembre”, e anche se ogni volta che qualche giornale estero interpella i Cinque stelle il No viene presentato come ultima spiaggia prima dello sfacelo, non si teme lo Tsunami all’orizzonte (l’Espresso scrive: “Il Movimento lotta, si batte, ma senza troppo clamore. Resta in un ruolo laterale, se non marginale…”). Certo è che l’argomento referendum non è la prima scelta sulle bacheche Facebook e sul blog di Grillo, dove fino a pochi giorni fa spopolava il più tradizionale argomento unisci-popolo: taglio degli stipendi ai parlamentari. Poi, poche ore fa, l’indizio finale di lotta “con riserva”: Beppe Grillo che scrive: “Renzi vuole un confronto tv con me? Retorica lattante… Se mi vuoi mi trovi in piazza, tra la gente #IoDicoNo… Facciamo così: Vuoi confrontarti in Tv? Abbiamo un vicepresidente della Camera bello, giovane, pronto a sopportarti. Io non ti lascio lì a dire panzane senza darti un taglio secco, lo sai bene, lo ho già fatto nello streaming”. I Cinque stelle dicono insomma No con l’idea di dire No a Renzi, ma stando attenti a non farsi troppo identificare con gli alleati “partitocratici”: minoranza pd con Massimo D’Alema deus ex machina, Forza Italia, Lega. La pancia del web, infatti, potrebbe non sopportare il “dialogo” con gli altri avversari del referendum renziano – dialogo che in altri tempi è stato rifiutato in blocco.
Roma. C’è un prima e un dopo Virginia Raggi, spartiacque che impone al M5s un gigantesco “ma anche” interiore: se prima dell’elezione della sindaca a Cinque stelle, infatti, si poteva urlare genericamente, in piazza, e senza paura di dover poi prendere decisioni difficili, “onestà-onestà” e “legalità-legalità”, dopo l’elezione della sindaca gli imperativi morali devono per forza virare in real-politik: e dunque i “mai e poi mai” indagati in squadra si tramutano in “ma anche” indagati in squadra, innocenti fino a prova contraria (vedi caso Muraro, punto di svolta dell’altalenante arantismo grillino). Per non dire dello psicodramma consumatosi in questi giorni in Campidoglio sul tema “ambulanti”: “Legalità-legalità”, certo, e quindi, fino a pochi mesi fa, “orrore orrore” per i suk urbani senza scontrino e per i camion bar incongrui, ma anche “sì” alla mozione che impegna la sindaca ad attivarsi presso il governo per “ottenere la proroga delle concessioni di vendita su strada fino al 2020”. E anche se Raggi si è affrettata a dire che i Cinque stelle “non fanno favore ai Tredicine”, famiglia a lungo monopolista nel commercio ambulante, i nemici di Raggi hanno colto l’occasione per sottolineare che “i paladini della legalità inciampano sulle bancarelle”. Intanto Roma, croce e delizia per un M5s che vuole essere di piazza “ma anche” di governo, si era già rivelata terreno di contraddizione sul tema monnezza: “Sui rifiuti una nuova èra”, diceva il mantra da campagna elettorale. Poi però si era fatto strada il dubbio: e se servisse riaprire, vista “l’emergenza”, l’impianto di Manlio Cerroni a Rocca Cencia, bestia nera dell’ex sindaco Ignazio Marino? Fatto sta che il voler essere a tutti i costi “nuovi” diventava arduo, una volta aperta la cosiddetta scatola di tonno anche in Campidoglio (intanto Marino lanciava online la sua profezia: “Tutto tornerà come prima”). E nell’empasse del “ma anche” generale che incombe sul Campidoglio, alla sindaca non resta che sparare metaforicamente sulla “Nuvola” di Massimiliano Fuksas, edificio congressuale d’archistar appena inaugurato all’Eur.
Donald Trump. Elezioni americane, che fare e che dire? Se, nel Movimento, Hillary Clinton è sempre stata vista come vertice mondiale della “casta” (con diversi gradi di complottismo sugli amici al Bilderberg), come si può dire, oggi, vista la situazione dei sondaggi Usa, che sotto sotto sarebbe comunque meglio la Clinton di Donald Trump? (Tocca infatti tenere a bada l’elettorato grillino proveniente da sinistra, comunque riluttante di fronte al candidato conservatore e che fa battutacce). Ma non si può dire, “meglio Clinton”, e infatti, nel M5s, non si dice quasi nulla, tantopiù che Beppe Grillo, in giorni ancora lontani dal grande martedì elettorale Usa, e cioè in primavera, si era così espresso su Wired: “Il messaggio è sempre lo stesso: bisogna guardare al mondo al contrario: quando i media danno addosso totalmente a qualcuno, vuol dire che è nel giusto”. E se l’intervistatrice Gaia Berruto gli chiedeva: per lei è quindi nel giusto Trump?, Grillo rispondeva “forse Trump è meno peggio” della Clinton, anche se, essendo Trump, comunque, un candidato “espresso dagli Stati Uniti” (che per l’ex comico sono “dalla parte sbagliata della storia”), la sua eventuale vittoria non poteva essere vista come “una cosa straordinaria”.
Prima variante di politica estera 1: terrorismo, Putin, Siria. Un tempo (nel 2014) Alessandro Di Battista, deputato terzomondista a Cinque stelle e membro del Direttorio, scriveva post di questo genere: “… Se a bombardare il mio villaggio è un aereo telecomandato a distanza, io ho una sola strada per difendermi, a parte le tecniche nonviolente che sono le migliori: caricarmi di esplosivo e farmi saltare in aria in una metropolitana… Non sto né giustificando né approvando, lungi da me. Sto provando a capire. Per la sua natura di soggetto che risponde ad un’azione violenta subita il terrorista non lo sconfiggi mandando più droni, ma elevandolo a interlocutore”. Poi Di Battista aveva addolcito i termini della dichiarazione, ma non si era mai arrivati al vero ribaltamento dell’idea di “dialogo” a oltranza fino al marzo scorso, quando, sempre più decisi ad apparire “forza di piazza ma anche di governo” i Cinque stelle, nel frattempo mostratisi più russofili, si erano buttati su una posizione più dura: terroristi uguale nemici, punto. E sempre Di Battista, reduce da un incontro col presidente della commissione esteri della Duma, Alexey Pushkov, aveva detto: “In Siria i russi hanno avuto degli atteggiamenti diversi rispetto al pantano che spesso è stato fatto dalle potenze occidentali” (ma visto che i russi sono intervenuti supportando Assad con raid aerei, la frase poteva suonare come un: dialogare combattendo). E non basta: il deputato aveva parlato anche della necessità di una “crescita significativa della collaborazione tra i servizi di intelligence della Federazione russa e quelli dei paesi della Ue e della Nato… Vai a spiegare a Vladimir Putin che Di Battista, per “collaborazione”, intendeva qualcosa di più blando di ciò che il presidente russo, all’Onu, aveva descritto come “coalizione internazionale contro il terrorismo, come facemmo contro il nazismo”.
Seconda variante di politica estera: Brexit e Euro. Ciò che si poteva dire da agenti di “Tsunami” nel 2013 non si può dire da aspirante forza di governo nel 2016. E dunque altro che “ma anche” era stato, nel M5s, prima e dopo il voto inglese sulla Brexit, nel giugno scorso. I Cinque stelle, infatti, in Europa alleati degli euroscettici dell’Ukip, per evitare l’identificazione non molto “istituzionale” con i sostenitori del “Leave”, dopo il voto si erano dovuti attestare su una posizione più sfumata, con varie gradazioni di “Sì Europa, No Euro”, “Sì Europa, Nì Euro”, “Nì Europa, No Euro”. E già il 23 giugno, sul blog di Grillo, compariva la seguente dichiarazione: “Il Movimento 5 stelle è in Europa e non ha nessuna intenzione di abbandonarla. Se non fossimo interessati all’Unione Europea non ci saremmo mai candidati; qui, invece, abbiamo eletto la seconda delegazione italiana. L’Italia è uno dei paesi fondatori dell’Ue, ma ci sono molte cose di questa Europa che non funzionano. L’unico modo per cambiare questa ‘Unione’ è il costante impegno istituzionale, per questo il Movimento 5 stelle si sta battendo per trasformare l’Ue dall’interno”. (E pazienza se nel M5s c’era chi, come Di Battista nel 2015, si era precedentemente spinto a evocare un “nazismo centrale nordeuropeo che produrrà sempre più schiavi a danno dei paesi del sud Europa”).
Piccole imprese, ma reddito di cittadinanza. Per la libera iniziativa economica e contro la tassazione eccessiva a opera della “casta” (cavallo di battaglia dei comizi di Beppe Grillo ai tempi della cavalcata verso il Parlamento), “ma anche” paladini della decrescita felice e di un certo statalismo assistenziale con reddito di cittadinanza.
Unioni civili. A favore ma senza accenni alle adozioni (così avevano votato gli attivisti consultati online sul blog di Grillo). Ma anche “liberi tutti” quando si vota in Parlamento, e anche se si parla di stepchild adoption (così aveva decretato Beppe Grillo alla vigilia del voto sulla legge Cirinnà). Risultato: ribellione della base, e astensione del M5s sulla legge.
Immigrazione. A parte il drammatico caso d’inizio 2014, quando sul tema “abolizione del reato di immigrazione clandestina” ci si era trovati, presso i Cinque stelle, con molti parlamentari e gran parte degli attivisti sul web favorevoli, e con Grillo e Casaleggio contrari, nel mondo a Cinque stelle si può essere, sull’argomento, per “accogliere con juicio”, ma anche, come disse Grillo sempre nel 2014, per “rispedire i cosiddetti clandestini a casa loro”.
Legge elettorale. Sulla legge elettorale il “ma anche” è un non detto: trattasi di combattere l’Italicum, ma anche di starsene tutto sommato quieti, ché l’Italicum non modificato, alla fin fine, può favorire il Movimento. Tra questi due estremi, la posizione ufficiale del M5s. Cioè il “democratellum”, sistema elettorale approvato dagli attivisti sul web nel giugno 2014, un sistema proporzionale con collegi medio-piccoli, senza premio di maggioranza e con le preferenze. Al grido di “l’Italicum va cancellato”, nel settembre scorso i Cinque stelle avevano presentato anche una mozione (prima del voto contro l’Italicum di Sinistra italiana). A parte quel piccolo fuoco, il M5s è contro l’Italicum, ma anche non troppo combattivo sull’Italicum, tantopiù che la legge elettorale è legata nel dibattito al referendum (e che paradossalmente al M5s converrebbe, da questo punto di vista, un Renzi vincente con Italicum invariato). Capita così che si passi dal “ma anche” al cosiddetto benaltrismo, via di fuga per tutte le occasioni: che se ne occupi il Pd, è il sottinteso, “per il paese” c’è “ben altro da fare”.
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