Donne oltre i musei
L'happening gioioso di folle che ballano per strada
L’abbiamo vista all’inaugurazione della Quadriennale a Roma. Dirigeva le evoluzioni di majorette negate e pattrinatrici in tuta rossa, che ballavano al ritmo di “Bella Ciao”. Anche lei si dimenava ancheggiando con una telecamerina in mano, come una menade gioiosa al suono dell’orchestra. Regista attentissima, seguiva i movimenti della sua troupe composta da ragazzi di comunità, disabili, vecchi, acrobate improvvisate, e riprendeva le coreografie dei danzatori comparsi d’improvviso dagli spalti dietro l’orchestra. Tutto intorno il pubblico applaudiva ipnotizzato, mandando tweet, postando instagram, stregato dalla potenza dell’improvvisazione di “Protest Forms: Memory and Celebration”. “C’è tutto in questa performance, c’è il mondo della tv, il gusto ludico, l’ironia, la caricatura, l’attenzione alle masse”, segnalava la collezionista Giuliana Setari, amica e mecenate di Marinella Senatore, l’artista italiana oggi fra le più richieste nel mondo per le sue performance partecipative. Non per niente sabato scorso a “Artissima”, la grande fiera torinese, è stata lei a inaugurare la sezione Per4m, arrivata alla terza edizione. Unica italiana, è stata selezionata con artisti di altra generazione dal collettivo di curatori olandesi If I Can’t Dance, I Don’t Want to Be Part of Your Revolution, perché la performance, da quando se ne mettono in vendita le tracce: testi, elaborati grafici, disegni, video, ha smesso di essere una rappresentazione immateriale, per entrare a pieno titolo nel mercato dell’arte.
La performance di Marinella Senatore, “There is More than One Way to Be a Partisan”, è avvenuta nel pomeriggio all’ingresso del Lingotto e la sera nel gran finale in piazza Emanuele Filiberto: “E’ cosa tutta centrata sulla canzone di protesta, come strumento per la rivoluzione, la resistenza e l’emancipazione”, annunciava l’artista giorni prima, elencando il programma: rumba congolese e varie danze di comunità, postcoloniali o di protesta, i canti dei Canuts, operai tessili lionesi artefici delle famose rivolte ottocentesche alla Croix-Rousse, e i canti della Comune di Parigi e degli anarchici catalani durante la repressione franchista. Il coro era su un camion, “come una piattaforma simbolo di resistenza”. Il momento clou è stato la danza di orsi, affidata a un gruppo di romeni che vivono in Val di Susa, con ballerini travestiti da orsi, musicisti che tenevano la ritmica e violinisti che suonavano musica folk anche occitana e provenzale. C’era anche la nazionale di pattinaggio di danza sul ghiaccio, con l’aggiunta di hoopers, danzatrici che utilizzano l’hula-hoop, di acrobati che interpretano canti danzanti, e di “majorette sulla sessantina” dotate per l’appunto di un’istruttrice di 65 anni. “Sarà un momento di coesione sociale inclusivo di duetti di tip tap tipo Break dance” avvertiva l’artista, dopo aver scoperto a Parigi le coreografie free style dei ballerini di tip tap che ogni sera si riuniscono dietro la Gare du Nord per improvvisare nuovi passi, fronteggiandosi come gang ostili…
Marinella Senatore è un’artista cosmopolita ma è nata e cresciuta in una modesta famiglia di Cava dei Tirreni, padre impiegato alle Poste, madre insegnante. Ha un timbro di voce vellutato e parla un italiano smaltato privo di inflessione. Prima di Artissima, l’abbiamo incontrata a Roma tra un viaggio e l’altro, perché da anni conduce vita nomadica tra Londra, Berlino, New York, dove per il 2017 ha in programma una mostra al Queens Museum, e Parigi, dove in primavera porterà al Centre Georges Pompidou “The School of Narrative Dance Paris”, una delle sue performance più famose. Adesso sta per partire per Miami Beach, perché a fine mese, con il collettivo di artisti cubani Los Carpinteros e il catalano Miralda, inaugurerà il Faena Forum al Faena Art Center progettato da Rem Koolhaas per due collezionisti argentini, Alan Faena e Ximena Caminos, “ricchi da fare schifo” come lei stessa segnala. Per l’apertura curata da Claire Tancons, ha in mente una versione caraibica di “The School of Narrative Dance”. Anche a Miami proporrà un evento a vocazione sociale, che cambia la geografia dell’arte: “Un’enorme processione con la partecipazione delle tante comunità multiculturali di cui la Florida pullula, con migliaia di persone che sfileranno lungo la costa dell’Oceano, sulla strada, venendo dal mare, dal fiume, girando fra i palazzi ultramoderni”.
Un momento di “Modica Street Musical”. Altre performance di Marinella Senatore hanno inaugurato la Quadriennale a Roma e la sezione Per4m di Artissima, sabato scorso a Torino
Gli occhi di Marinella Senatore sono scurissimi e vellutati come la sua voce. Spesso bistrati di nero, sembrano due fari accesi fra la montagna scarmigliata dei capelli che le scendono sino alla vita. Su di lei sono state scritte 18 tesi di laurea, tra università italiane e straniere. In dieci anni ha coinvolto nelle sue performance 76 mila persone, che lei sostiene di avere conosciuto singolarmente, scegliendole una per una, per farle partecipare alle sue fantasmagorie. “I numeri sono enormi, ma a rendere il processo innovativo è l’attenzione al singolo e l’importanza che diamo alla sua vita e ai suoi bisogni”, ammette contemplando una coppa di fragole con gelato al cocco. E se uno le domanda dove nasca l’arte partecipativa, quale sia l’origine della “devozione radicale” che la spinge a coinvolgere il pubblico, a mettersi all’ascolto di ogni singolo individuo, lei insiste dolcemente sull’affettività, sull’energia delle persone, che per lei rendono il suo lavoro distante anni luce dall’arte relazionale in voga negli anni Settanta: “Quella era una relazione meccanica, astratta, strutturale. Oggi invece si creano relazioni vere. Da ogni singolo partecipante alle mie performance io cerco di fare venire fuori i sogni, i desideri irrealizzati, le frustrazioni e l’intenzione di mettersi in gioco, anche solo per un giorno, offrendo a tutti una possibilità: ballare, cantare, suonare, fare qualcosa di diverso anche solo per un’ora. Avere una persona invece di un’altra cambia il risultato finale. E in fondo, è proprio questo a dare dignità nuova alle persone, anziché manipolarle e offenderle, in un rapporto di narcisismo artistico”.
Perciò, sembra remoto il rischio di nutrire effimere illusioni nell’esercito di volontari partecipanti alle sue performance: “Sul set si accendono delle micce. Ho visto gente cambiare vita nelle prove di danza. Io sono il garante della loro dignità nella performance e dopo. Non offro lo showbusiness, ma un’esperienza umana di dignità, di empowerment. In quel momento, i partecipanti si sentono non un fallimento, perché non hanno lavoro, sono analfabeti, ma una potenzialità. Da volontari, cercano qualcosa che possa servire anche dopo. E infatti se qualcuno ha il desiderio di conoscere i miei saperi, la mia pratica filmica, io li formo e alla fine vanno via mostrando ai membri della loro comunità che hanno imparato qualcosa, che sono diventati qualcuno”.
Esperienza maieutica e sociale, l’arte partecipativa di Marinella Senatore è innanzitutto frutto di estrema sensibilità, un atto di solidarietà che nasce dalla precarietà e dal dolore. “Sono malata”, confessa l’artista con sorriso disarmante; e ci tiene a far sapere che la sua è una malattia autoimmune, molto debilitante. Tutti nella sua famiglia ne sono affetti, e così entriamo nel suo romanzo domestico: le sorelle, diplomate anche loro al conservatorio, la maggiore in violoncello, e come lei in violino la minore, che suona in un gruppo rock. La madre, insegnante elementare a San Valentino Torio, ha una “congiuntivite mostruosa che da vent’anni la obbliga a portare gli occhiali da sole”. Il padre, capofamiglia sin dai tredici anni, quando venne abbandonato dal proprio genitore, è un autodidatta grande amante della cultura: “Con in tasca solo il diploma di terza media, ha imparato inglese e francese da solo, è diventato programmatore informatico, e quando noi figlie preparavamo la maturità, si studiava i nostri programmi”.
La malattia di Marinella Senatore si chiama Lupus e, nel suo caso, attacca il sangue sino a provocare ischemie, ictus, trombosi. L’unica profilassi è un anticoagulante che la obbliga a sottoporsi due volte al mese ai test di coagulazione, programmando le tournée in funzione degli ospedali. “In America il test costa troppo, ma i medici ormai me lo fanno gratis”. Di questa malattia che le impone una dieta all’ingrasso (niente verdure verdi, e molti carboidrati) che in dieci anni le ha sconvolto il fisico (“ero un filo, ora guarda come sono diventata grassa…”) Marinella Senatore ha fatto uno strumento di forza, tant’è che i dottori non si spiegano come possa avere tanta energia. “Probabilmente a darmela è la stessa malattia che mi ha salvato la vita”. Nel 2004 Marinella Senatore è stata quattro mesi in ospedale, ricoverata al Fatebenefratelli per un trombo di 55 cm alla gamba sinistra, che le era arrivato allo stomaco. All’inizio, fu una prognosi riservata di tre giorni. “Ma io sono sopravvissuta e mi sono alzata con le mie gambe”, racconta con gli occhi che le si illuminano. “A quel punto, avrei potuto vivere nel modo più semplice possibile, con questa sentenza sulla testa, o cambiare aria. Ho scelto la seconda e sono partita per la Spagna. La malattia è stata un grandissimo calcio in culo, che mi ha dato il coraggio di diventare me stessa, di rispondere alla spinta che avevo dentro per trovare la mia strada. Da allora, misteriosamente, non si è mai aggravata”.
In Spagna Marinella Senatore prende la seconda laurea. Poi, quasi per gioco, ottiene un posto per insegnare Linguaggio audiovisivo all’Università Complutense. Nel 2006, realizza il primo progetto partecipativo per la Galleria Civica di Trento, “All the things I need”, un musical con quaranta trentini. Il curatore era preoccupatissimo, ma il successo è tale che per lei segna la svolta. Da allora inviti a pioggia – al Moma di New York curatrice Laura Barreca, alla Biennale di Venezia, a Palazzo Grassi e al Museum of Contemporary Arts di Chicago curatore Francesco Bonami, alla Fondazione Sandretto di Torino, alla Triennale di Milano – e premi prestigiosi come il Maretti a Napoli e nel 2014 il Premio Maxxi per “The School of Narrative Dance”, che per cinque mesi ha coinvolto più di trecento persone, trasformando “la piazza del museo romano in una scuola democratica e alternativa dedicata alla collettività”, come ha scritto il presidente Giovanna Melandri.
Il lavoro corale, Marinella Senatore da violinista l’ha imparato suonando in orchestra, al conservatorio di Napoli, di Salerno e altrove. Ma la regia delle masse in movimento l’ha appresa sul set. Entrata al Centro sperimentale di cinematografia, a Roma ha seguito i corsi in direzione della fotografia di Giuseppe Rotunno, il mago di Federico Fellini. Poi, in dieci anni di gavetta sui film trash, ha scoperto “la natura narrativa dell’illuminazione del set che non è mai un mero dato tecnico”, sperimentando la struttura del lavoro collettivo che oggi dà vita alle sue performance. Ma il passaggio dalla tecnica all’arte avviene grazie a Martin Scorsese, che gira a Cinecittà “Gangs of New York” e arruola l’allieva di Rotunno fra gli assistenti alle luci. Se la vocazione è forte sin dall’inizio, la chiamata si compie con la malattia.
“Ho sempre voluto fare l’artista, ma non volevo essere un’artista incolta. Per questo, ho deciso di andarmene a studiare in Spagna, dove ora sto finendo una tesi di dottorato sulle discipline dello spettacolo come strumento di aggregazione comunitaria, con particolare riferimento al musical, formula che permette a tutte le classi sociali, anche le meno abbienti, di ritrovarsi in una storia comune”. L’illuminazione iniziale, Marinella Senatore dice di averla avuta a tredici anni: “Vidi al cineforum i film di Greenaway, Jacques Rivette, Derek Jarman e sentii la risonanza; questa è la bellezza, pensai e da allora il mio amore per il cinema non si è mai spento. Nel mio lavoro sul set, con le luci, le riprese, le inquadrature, la macchina fissa, i video, i disegni, trovavo una formidabile analogia con la pittura e con le immagini dei film di Visconti, Antonioni, Fellini, Germi, Bob Fosse. Questi sono stati per me i veri libri”.
Arte corale, scenica, totale, l’arte partecipativa di Marinella Senatore implica dunque non solo un intreccio di discipline, ma insieme di competenze accumulate col tempo. Del resto, i video che lei stessa realizza, girando fra i suoi danzatori, acrobati, cantanti e musicisti improvvisati, servono “non per far vedere le performance a chi partecipa, ma come memoria dell’esperienza fatta, come ricordo bello…”. E hanno una funzione maieutica: “Riprendere è così naturale che mi consente di dare la carica, di stare vicina a chi partecipa alle mie performance. Coinvolgere i cittadini è molto cool, ma è un lavoro immane. L’artista ha un ruolo nella società, ma io credo nel bene comune, che va dal basso verso l’alto: teatro e cinema, in fondo, mi hanno insegnato quello che volevo imparare. Ma molto resta ancora da fare”, dice l’artista citando le lunghe sessioni di scrittura che ha appena concluso con “MétallOpérette”, la pièce in due atti, prodotta dai Laboratori di Aubervilliers, dove il libretto sugli scioperi degli anni Settanta è un’opera collettiva scritta da decine di persone che hanno partecipato alle varie fasi della performance. Così, oltre la Scuola di danza narrativa e i laboratori di scrittura, Marinella Senatore, adesso, ha altri due sogni da realizzare: creare una piattaforma che funzioni anche senza di lei, “come un ombrello a disposizione di chi ha un’idea”; e tornare a studiare, “a insegnare un po’ di più perché a me fa bene”, per raccontare a modo suo le tante cose incredibili che in dieci anni è riuscita a realizzato con 76 mila esseri umani: “E infatti, non sono sposata, no ho neanche un gatto, però ho tanto affetto da queste persone”.
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