Cosa sono i miracoli
Come si scelgono? Chi decide quando sono veri o falsi? L’atto divino è una questione di fede, ma non solo. Perché la battaglia sui miracoli è diventata oggi un termometro perfetto per misurare il futuro della chiesa. Inchiesta sul Mistero
Sessantanove. Sono i miracoli accertati avvenuti a Lourdes, lì dove oggi sorge il Santuario di Nostra Signora con messe plurilingue e seguitissimo Rosario trasmesso in diretta tv, e poco più d’un secolo e mezzo fa c’era solo la grotta di Massabielle, dove Maria apparve per la prima volta l’11 febbraio del 1858 alla giovane e analfabeta Bernadette Soubirous. Sessantanove, catalogati in modo rigoroso dal Comitato medico internazionale locale: dottori e specialisti che esaminano i tanti dossier che di volta in volta finiscono sul tavolo dell’Ufficio delle constatazioni mediche del Santuario. Talmente certosine sono le indagini che guai a parlare di miracoli: questo è affare del vescovo diocesano, a loro compete solo prendere atto che di scientifico nelle guarigioni c’è poco. O che esse quantomeno non sono razionalmente ed empiricamente spiegabili.
Si legge sul sito ufficiale: “I membri del Comitato medico internazionale di Lourdes rifiutano di argomentare sui qualificativi di una guarigione ‘eccezionale, inattesa, inspiegabile o non spiegabile nello stato attuale della scienza’”. Conta solo il dossier medico completo e conta, in fin dei conti, la statistica: quant’era probabile la guarigione data la situazione pregressa e la cartella clinica a disposizione? Obietta lo scettico: c’è sempre il classico fattore psicosomatico. E pure questo viene indagato, così come l’eventualità d’una guarigione spontanea, che è possibile a leggere la letteratura medica. La procedura è semplice: ci si riunisce una volta l’anno, si esamina tutto il materiale, si vota. A maggioranza dei due terzi si decide se la guarigione è spiegabile o non spiegabile. Fine. Dire che è (o non è) un miracolo sarà compito della chiesa, del vescovo titolare della diocesi in cui risiede il guarito. Non c’è altro.
Dal febbraio del 2012 è attivo a Loreto, presso la delegazione pontificia del Santuario della Santa Casa, l’Osservatorio medico permanente “Paleani”. Il suo fine è di valutare i casi di guarigione scientificamente inspiegati. “Prima di tutto, noi non usiamo la parola miracolo neanche per scherzo”, premette il professor Fiorenzo Mignini, che dell’Osservatorio è il responsabile. “Parliamo di guarigioni inspiegate o inspiegabili. Procediamo con metodo clinico rigoroso, il lavoro è lungo. Definiamo una guarigione inspiegata se riteniamo che in questo momento (e preciso, in questo dato momento) la letteratura internazionale e gli esperti non riescono a fornire un’ipotesi sulla guarigione. Parliamo invece di guarigione inspiegabile se di mezzo c’è il fattore tempo, e cioè se essa è avvenuta in un tempo inferiore a quello che di norma serve perché si verifichi. Faccio un esempio: se una frattura si rimargina in dieci minuti quando occorrerebbe molto più tempo, siamo davanti a un fenomeno che avviene in un lasso temporale troppo breve per essere scientificamente spiegata”.
La Basilica della Santa Casa a Loreto
A Loreto l’elenco di grazie ricevute è lungo, si perde in secoli di devozione, dal più semplice dei pellegrini a illustrissimi uomini di chiesa. Pietro Barbo, e siamo in pieno Quattrocento, fu colpito dalla peste mentre si trovava ad Ancona. Chiese, moribondo, d’essere portato a Loreto, sapendo che là qualcosa di misterioso c’era e che poteva mutare il corso della vita. Invocò Maria Santissima, guarì e fu eletto Papa col nome di Paolo II. La Madonna gliel’aveva predetto, disse poi.
“Nel 2012 abbiamo sistemato l’archivio, che era in condizioni non buone, anche perché non esisteva una struttura definita come l’Osservatorio, che nasce con decreto del delegato pontificio”, dice Mignini. “Abbiamo analizzato tutte le segnalazioni, ma da qui a parlare di guarigioni inspiegabili ce ne vuole. Il metodo è rigoroso”, ripete ancora. Ed è quello, nelle sue linee essenziali, delineato nel Settecento da Prospero Lambertini, cardinale di Santa Romana Chiesa e poi Papa Benedetto XIV: Primo: la malattia deve essere grave, incurabile o difficoltosa a trattarsi. Secondo: la malattia non deve trovarsi all’ultimo stadio o al punto di poter guarire spontaneamente. Terzo: nessun farmaco o trattamento deve essere stato utilizzato, o in tal caso deve aver prodotto nessun effetto. Quarto: la guarigione deve essere avvenuta in modo istantaneo o con eccezionale rapidità. Quinto: la guarigione deve essere perfetta (non difettosa o parziale). Sesto: nessuna crisi deve aver preceduto la guarigione; in tal caso, essa potrebbe essere considerata come naturale. Settimo: non devono esserci una o due recidive. Insomma, parlare di miracoli è tutt’altro che semplice se si tratta la faccenda con serietà.
Loreto parla chiaro: “1.256 segnalazioni esaminate in un lasso temporale che va dal 1886 al 2016. Tra queste – dice il prof. Mignini – 215 avevano una documentazione medica parziale, e quindi non erano esaminabili. 31 avevano una documentazione medica consistente, ma non completa. E pure con queste ci siamo fermati subito, non essendo esaminabili”. Severità? Sì, perché solo così si fa un buon servizio alla chiesa. Fondamentale è che non ci sia recidiva nella malattia. Si spiega così il fatto che delle 1.254 segnalazioni di cui sopra, solo una, a oggi, abbia buone possibilità di essere giudicata inspiegabile. Il caso è ancora al vaglio degli esperti, manca poco per il verdetto. E’ una guarigione che risale al 1997, tecnicamente si tratta della chiusura spontanea di un foro maculare miopico con recupero della capacità visiva.
Evento (la spontaneità) considerato impossibile. La donna, affetta quindi da una cecità parziale per quattro anni, guarisce improvvisamente. Un recupero che si mantiene ancora oggi, senza segni di recidiva. Le segnalazioni sono tante, arrivano dai medici dei pellegrinaggi, sono loro a rappresentare un primo necessario filtro. Ma poi le indagini proseguono con meticolosità assoluta. Dopotutto, dice il prof. Mignini, “a Lourdes hanno esaminato circa settemila casi. Di questi, solo sessantanove sono stati giudicati come inspiegabili”. Un numero infinitesimale rispetto alle tante segnalazioni finite sul tavolo del Bureau. E comunque sempre di casi, di guarigioni si tratta. Non di miracoli. Non ancora, almeno. Ma che cos’è un miracolo? Come può essere definito? Ha scritto san Tommaso che “si dice miracolo in senso stretto un fatto che si verifica fuori dell’ordine della natura. Tuttavia per parlare di miracolo non basta che il fatto avvenga fuori dell’ordine di una natura particolare, perché altrimenti scagliare una pietra in alto sarebbe un miracolo, essendo contrario alla natura della pietra. Si dice invece che un fatto è un miracolo se è al di là dell’ordine di tutta la natura creata”. Cioè inspiegabile, non dimostrabile.
Il caso più celebre, documentatissimo con atti notarili e testimonianze plurime (tutte univoche), è quello di Miguel Juan Pellicer, contadino spagnolo di Calanda che si vide ricrescere la gamba che tre anni prima, nel 1637, gli era stata amputata. Vittorio Messori raccontò la faccenda “sconcertante” in un libro di successo, Il miracolo, uscito per Rizzoli quasi vent’anni fa. L’evidenza costringe ad accettare il mistero: Miguel Juan quella gamba non ce l’aveva più e in un’ora se la vide ricrescere, per intercessione di Nostra Signora del Pilar, dedicataria del Santuario sulla cui soglia per anni il contadino mendicò. Tutto verificato e documentato, c’è il rogito del notaio reale. Il vescovo, prudentissimo com’era consuetudine, limitò al massimo i testimoni. Nessuna contraddizione nei racconti, troppi occhi avevano visto la stessa cosa per poter essere faccenda di truffatori, visionari o soggetti mentalmente disturbati. Pochi anni fa, qualcuno ha sostenuto che in realtà il fortunato aveva un fratello gemello e che, insomma, era tutto un bell’imbroglio. “Nessun fratello gemello”, ci dice Messori: “I registri parrocchiali parlano chiaro, il ragazzo conservò per tutta la vita i segni sulla gamba, la cicatrice eredità dell’amputazione. E poi l’Inquisizione spagnola favoriva tutto meno che la superstizione. I grandi inquisitori erano essenzialmente degli scettici, prontissimi a mettere in gattabuia chi parlasse di miracoli. Il processo sul caso di Calanda si svolse sotto gli occhi sospettosi dell’Inquisizione e va ricordato che tale processo fu voluto e portato avanti dal comune, non dalla chiesa”.
Eppure c’è sempre chi diffida, non crede, cerca il cavillo che possa negare quella che appare anche a occhi neutrali e senza le lenti del fervore devozionale come una cosa inspiegabile. “Ma questo è un marchio del Dio cristiano. Pascal costruì la sua apologetica sul Deus absconditus, il Dio nascosto”, osserva Messori. Tradotto: “Per preservare la nostra libertà, Dio non pone mai l’uomo dinanzi a un’evidenza schiacciante. Dio non vuole metterci con le spalle al muro, vuole che la nostra libertà sia salvaguardata. Per dirla ancora con Pascal, Dio dà abbastanza luce per credere ma lascia abbastanza ombre per non credere. Ergo, lo scetticismo è fisiologico”. Vittorio Messori lo chiama “il Dio del chiaroscuro”, e la definizione calza bene considerata la teoria (variegata) di miracoli o pseudo tali e di guarigioni che ogni giorno portano subito a intravedere l’intervento determinante della mano divina. Insomma, il cuore della questione sul credere o meno al miracolo è la libertà. “Ci si chiede spesso perché Dio non appaia dalle nuvole con il suo barbone dicendoci che esiste e che dobbiamo seguire la sua legge”. Risposta: a Dio non serve. “Dopotutto, l’esistenza dell’Inferno è la massima prova che Lui, pur amando le sue creature, lascia che esse si dannino. Rispettando così la loro libertà. All’inferno non ci manda Dio, ma ci andiamo noi abusando di queste nostre libertà”. Ciò detto, non c’è legge che abbia almeno un’eccezione.
Il caso di Calanda, milagro de los milagros, è esemplare. Poi ci sono quelli noti, vuoi perché i media li rimbalzano e amplificano, vuoi perché sono quelli che attirano le masse adoranti. Madre Teresa di Calcutta è santa dopo la constatazione che la guarigione di un uomo brasiliano, ridotto in fin di vita da otto ascessi multipli cerebrali con (citiamo il referto medico) “idrocefalo ostruttivo”. Speranze di sopravvivenza poche. Eppure guarì, in modo inspiegabile, ha certificato all’unanimità la consulta medica della Congregazione per le cause dei santi. Era il 2008, i chirurghi portarono il paziente in sala operatoria, estremo e disperato tentativo di salvargli la vita. La moglie, insieme a parenti e amici, si ritirò nella cappella dell’ospedale, invocando l’intercessione della beata Teresa. E qui il mistero entra in gioco: a causa d’un problema tecnico, l’intervento fu rimandato. Il chirurgo uscì dalla sala operatoria e quando vi rientrò, mezz’ora più tardi, trovò il paziente sveglio, cosciente e seduto sul letto. La tac diede il responso: nel cervello non c’era più traccia del male. Sano come se nulla fosse accaduto. Come se il calvario umano fosse stato null’altro che un incubo notturno.
Eppure, Messori è sicuro che anche qui, in casi come questo, andando a cavillare, si scoprirebbe qualcosa in grado di scalfire anche le più solide certezze. Si prenda Lourdes, cui Messori – oltre a decine di anni di studi sul tema – ha dedicato pure il libro Bernadette non ci ha ingannati (Mondadori): “Si calcola che i pellegrini che in un secolo e mezzo sono sfilati davanti alla Grotta siano più o meno settecento milioni. I fatti accertati sono pochissimi. Il che dimostra quanto alto sia il grado di severità. Ci sono ottomila dossier, ma ve ne sarebbero molti di più se i presunti miracolati denunciassero la guarigione avvenuta (non lo fanno perché temono di essere costretti a sottoporsi ad anni di visite e consulti). Eppure, se uno volesse andare a cercare il dubbio, lo troverebbe: in tutti questi prodigi si può trovare un qualche elemento contrario all’ipotesi soprannaturale”. Cade il mito di Bernadette? No, semplicemente “anche a Lourdes continua a vigere la legge della libertà. L’atteggiamento del credente deve essere quello di non mettere l’interlocutore con le spalle al muro”. C’è un’innata diffidenza della gerarchia verso i tanti episodi denunciati a ogni latitudine del globo terracqueo.
Diffidenza “doverosa e benefica”, sottolinea Messori, anche perché la gente “è fin troppo pronta a gridare subito al miracolo”. La chiesa, da sempre, parte da un atteggiamento scettico. “E fa bene”, chiosa lo scrittore cattolico. A Lourdes il più fiero avversario delle voci che circolavano sulle apparizioni fu il parroco del luogo, che considerava Bernardette non una veggente bensì una visionaria. Ai fenomeni di Massabielle non prese mai parte un sacerdote, perché il parroco (con l’appoggio del vescovo) l’aveva proibito. Esiste, in rete, una “Guida ai luoghi miracolosi d’Italia”. Un elenco che cita seicento siti, con tanto di motivazione annessa. Esempi presi a caso: a Crema “la Madonna mosse gli occhi per molti mesi”, a Cavalese “la statua mariana non vuole rimanere sepolta”, a Cavarzere “il Crocifisso abbassò la testa”. Seicento casi.
A Lourdes i miracoli accertati sono – conviene ripeterlo – sessantanove. Gli ultimi tre riguardano donne italiane. Anna Santaniello, data della guarigione 19 agosto 1952 e riconoscimento avvenuto solo nel 2005. Citiamo: “Affetta da dispnea intensa e persistente, conosciuta anche come malattia di Bouillaud, causa di disagio nel parlare, impossibilità a camminare nonché gravi attacchi di asma, cianosi del viso e delle labbra, edema crescente agli arti inferiori”. Nel 1952 si recò a Lourdes in pellegrinaggio con l’Unitalsi, distesa su una barella. Portata alle piscine, ne uscì da sola, sulle sue gambe. Più tardi, Anna Santaniello avrebbe detto che davanti alla grotta non pregò per se stessa, ma per un tale Nicolino, un ventenne che aveva perso l’uso delle gambe.
Il secondo caso risale al 1965 (riconoscimento avvenuto nel 2012). Si tratta di suor Luigina Traverso. Paralizzata e costretta a stare a letto, ottenne dalla Superiora della sua comunità il permesso di recarsi a Lourdes. “Il 23 luglio durante la partecipazione, su di una barella, all’eucaristia, al passaggio del Santissimo Sacramento, sente una forte sensazione di calore e benessere che la spinge ad alzarsi. Il dolore è scomparso, il suo piede ha recuperato la mobilità”. Guarigione inspiegabile numero sessantanove: Danila Castelli. Sottoposta a isterectomia e annessectomia, nel 1982 subì una parziale rimozione del pancreas. L’anno successivo, le viene diagnosticato un tumore nella zona rettale, vescicale e vaginale. I tanti interventi chirurgici non portano a nulla. Nel 1989 si recò a Lourdes, entrò nelle piscine e ne uscì “completamente guarita”. Nessuna traccia del male, certificò il Bureau delle constatazioni mediche. Guarita in modo “completo e duraturo senza alcun rapporto con gli interventi e le terapie subite”. Il caso forse più celebre, però, è quello di Jean-Pierre Bély, il cinquantunenne francese affetto da sclerosi a placche che guarì dopo aver sentito, mentre era in pellegrinaggio al Santuario mariano, una voce interiore dirgli “alzati e cammina”.
Numeri a ogni modo esigui. Si spiega presto, insomma, la prudenza della chiesa, che indaga, discute e decide se constat o non constat de supernaturalitate. Ne sanno qualcosa a Medjugorje, dove il nodo è ben lungi dall’essere sciolto, nonostante le rassicurazioni vaticane che entro la primavera del 2016 si sarebbe saputo qualcosa sulle apparizioni mariane in terra bosniaca. E’ passato quasi un anno da quella data ipotizzata per l’annuncio e nulla s’è saputo. A Lourdes ci hanno messo quattro anni per dire che sì, Maria Immacolata era davvero apparsa a Bernadette Soubirous nella grotta di Massabielle. E gli scettici ci sono sempre stati.
Emile Zola visitò la cittadina francese nel 1892, prese molti appunti per quello che sarebbe diventato un libro (Viaggio a Lourdes) e concluse ironico: “Vedo soltanto stampelle, nessuna gamba di legno”. Aggiunse: “Mostratemi una gamba o un braccio ricresciuti e allora anche io crederò”. “In un certo senso concordavo con lo scrittore francese”, dice Messori. “Pensavo che se Dio avesse fatto ricrescere una gamba, lì tra tutti gli ex voto che un tempo popolavano la grotta di Massabielle, ci saremmo arresi all’evidenza”. Il fatto di Calanda è nient’altro che “un segno di sano materialismo cristiano”. Beh, “se sono cristiano sono necessariamente un materialista”, osserva lo scrittore cattolico. Dopotutto, “credo nel fatto che alla vita eterna sono chiamato con tutto me stesso, non solo lo spirito o solo la materia. E’ proprio in questa unità che noi siamo salvati. Mi fa molto più paura un certo spiritualismo cristiano oggi così à la page. Quando si dice ‘voglio salvarmi l’anima’ direi che siamo fuori strada. Io voglio salvare me stesso, la resurrezione dei corpi lo sta a dimostrare, Gesù ha lasciato la tomba vuota, mica è volato in Cielo con il suo spirito senza il corpo!”.
E di diffidenza nella chiesa ce n’è tanta, anche se sarebbe buona cosa distinguere: un conto è la prudenza che pone un freno all’entusiasmo popolare, altra cosa è quella diffidenza clericale “che fa parte della protestantizzazione del cattolicesimo”, osserva Messori. “Per il protestantesimo ufficiale, infatti, il miracolo non è possibile”. Lo scriveva bene qualche decennio fa il celebre teologo evangelico Rudolf Bultmann nel saggio Neues Testament und Mythologie: “Non ci si può servire della luce elettrica e della radio, o far ricorso in caso di malattia ai moderni ritrovati medici e clinici, e nello stesso tempo credere nei miracoli proposti dal Nuovo Testamento”.
Affermazione “del tutto ingiustificata”, scrisse il padre gesuita Giovanni Blandino in un numero della Civiltà Cattolica del 1982, aggiungendo che “la tendenza a negare il miracolo, cioè a negare la possibilità di una deroga (o eccezione) alle leggi naturali dovuta a un intervento immediato di Dio, è oggi abbastanza diffusa anche nell’ambito teologico cattolico e si può ritrovare sia in opere specialistiche di teologia sia in opere divulgative sia anche in catechismi. Qualche esempio? “Per Kasper – scriveva sempre Blandino – un’analisi storico-critica della tradizione dei miracoli giunge alla conclusione che non è possibile negare un nucleo storico di questa tradizione. Gesù ha compiuto delle opere straordinarie che lasciarono stupefatti i contemporanei”. E ancora, sempre Kasper sosteneva che “un intervento divino, concepito come un agire immediato-visibile di Dio, è un assurdo teologico”. Pure Bruno Forte, allora semplice giovane teologo, concordava con il collega tedesco, quando spiegava che “parlare di miracoli come di sospensioni inspiegabili di leggi della natura significa porsi al di fuori dell’orizzonte della Scrittura”.
C’è poi quel legame, sottile e spesso confuso, tra i miracoli e le cosiddette esperienze di pre-morte, cioè di quelle persone ordinarie che si trovano in uno stato di morte clinica a che raccontano di essersi ritrovate in un altro mondo, un modo magnifico, e di aver dovuto abbandonarlo per tornare sulla terra. Di cose del genere sappiamo quasi tutto, anni fa (soprattutto d’estate) di programmi che trattavano esperienze di pre-morte, angeli misteriosi e spiritualismo con vaghi richiami alla fede cristiana ce n’erano a bizzeffe. Ora a parlarne esplicitamente è Patrick Theillier, che per dieci anni ha lavorato come medico proprio all’Ufficio delle constatazioni mediche del Santuario di Lourdes. E’ appena uscito un suo libro per San Paolo, Quando la mia anima uscì dal corpo. Racconta proprio di questo e la prefazione – fatto che merita segnalazione – è di un alto esponente della gerarchia cattolica, il vescovo di Bayonne, mons. Marc Aillet.
E’ proprio il presule francese a definire i contorni della faccenda, scrivendo che “una guarigione inspiegabile è dichiarata miracolo quando l’autorità ecclesiastica competente vi riconosce un segno della potenza e dell’amore di Dio presente nella vita degli uomini, in grado di fortificare la fede del popolo cristiano”. Theillier scrive che “le numerose testimonianze che sono state date a Lourdes a partire dal 1858 mostrano chiaramente delle similitudini fra le esperienze di pre-morte e le guarigioni miracolose. I miracoli, come tali esperienze, sono dei segni basati sulla testimonianza di coloro che li hanno vissuti”. Qui Theillier compie forse un passo di troppo, se rimaniamo fedeli ai canoni citati prima dal professor Mignini, che di miracoli non vuol parlare ma solo di guarigioni inspiegate o inspiegabili. Il medico francese va oltre: “I miracolati (non importa se riconosciuti ufficialmente o no, ma che vivono una guarigione inspiegabile dalla scienza) testimoniano un cambiamento completo nel loro modo di concepire la vita. Per tutti c’è un prima e un dopo, proprio per chi ha avuto una Nde (near death experience): la loro vita è trasformata a tutti i livelli”.
A parte questo, Theiller si chiede: “Se non ci sono spiegazioni dal punto di vista medico a una guarigione miracolosa che presenta caratteristiche sconosciute alla medicina, in particolare l’istantaneità e perfezione della guarigione, senza convalescenza, perché non si dovrebbe cercare di capire ciò che avviene?”. In fin dei conti, chi guarisce è una persona normale. E allora, da dove viene questa possibilità? “L’origine – scrive sicuro il medico – è di un altro ordine. Certo, queste guarigioni avvengono in maggioranza in un contesto di fede. Ma alcune di esse avvengono altrove, per esempio durante il viaggio di andata o di ritorno, o in qualunque altro posto (sei episodi dei sessantanove accertati riguardano persone che non s’erano recate nella città francese, ndr). Alcune persone sono guarite a Lourdes senza sapere veramente che cosa rappresenta questo luogo, o senza la fede, o appartenendo a un’altra religione. Molti guariti – prosegue – non si aspettavano di guarire. Dunque non è determinante la fede nella guarigione, e si può dire che la guarigione miracolosa non dipende da colui che viene guarito. Eppure avviene in lui un processo guaritore. Se non viene né dal corpo né dallo psichismo, la sua origine non può essere che l’anima spirituale”.
Eppure, a Lourdes come in tanti altri santuari, a stupire sono spesso i miracoli invisibili, poco pubblicizzati, meno appariscenti. Adolphe Retté ne parla ne Il Vagabondo della Madonna. Un soggiorno a Lourdes (1912). Più che fermarsi a guardare le stampelle poste davanti alla grotta, su cui tanto ironizzò Zola, Retté rimase colpito dalle piccole storie di conversione o di rafforzamento della fede pur non avendo ottenuto un miglioramento delle condizioni fisiche. La battaglia allora era al culmine, gli avversari delle apparizioni s’impelagavano in spiegazioni razionali che venivano smontate l’una dopo l’altra. “Gli uni dissero che è l’acqua delle piscine”, scriveva Retté. “Spiegazione la più debole, poiché se bastasse bagnare con acqua ghiacciata un tubercoloso all’ultimo stadio, ovvero un malato affetto da carie delle ossa, per guarirlo istantaneamente, perché la medicina non ricorrerebbe a questa rudimentale terapeutica? Altri increduli si appigliano all’autosuggestione. Non si è mai riusciti a suggerire a moribondi, colpiti da cancro o lupus, ma immuni da malattie nervose, di guarire subitamente e completamente per uno sforzo di volontà”.
Qualche anno fa ci fu un’altra disputa tra scienziati circa la possibilità di credere o meno ai miracoli. Iniziò il fisico Lawrence Krauss, secondo cui i miracoli hanno a che fare con la magia e l’irrazionale. Sulla rivista conservatrice First Things, giunse la replica di un suo collega, Stephen Barr: “Non c’è alcuna contraddizione storica tra le due idee, come dimostra il fatto che molte delle leggi fondamentali della fisica sono state scoperte e prendono il nome da uomini che nei miracoli hanno creduto”. Quindi l’ironica chiosa: “Sarebbe senza dubbio una grande sorpresa, per Krauss, apprendere che tanti fisici nel campo della fisica delle particelle e della cosmologia sono devoti cristiani che credono nei miracoli”.
E la sorpresa sarebbe ancor maggiore se Krauss, aggiungiamo, leggesse la storia di Jacalyn Duffin, storica della medicina, presidente emerito dell’American Association for the History of Medicine e della Canadian Society for the History of Medicine e soprattutto atea. Trent’anni fa, in Vaticano era in ballo la causa di canonizzazione della beata Marie-Marguerite d’Youville, religiosa vissuta nel Settecento grazie alla cui intercessione si sarebbe verificata una guarigione. Era necessario un parere terzo, e alla professoressa Duffin fu inviato un reperto (anonimo) consistente in una parte di midollo osseo attaccato dalla leucemia. Il responso dell’esperta fu chiaro: impossibile che quel frammento appartenesse a un uomo o a una donna ancora in vita. Le spiegarono che, invece, quel midollo malato corrispondeva a una persona in forma, perfettamente guarita. “Non so spiegarmi come quella paziente sia ancora viva. Anche se sono ancora atea, credo ai miracoli. Eventi straordinari che accadono e per i quali non vi sono spiegazioni scientifiche”, avrebbe detto più tardi, aprendosi consapevolmente alla possibilità che il Mistero possa dire la sua anche dinanzi alle certezze, più o meno presunte, della scienza.
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