L'Italia come una Ferrari

Giuseppe De Filippi

Dalla Formula 1 alle strade della California fino al modello Marchionne. Perché il Cavallino rappresenta quello che nessuno vuole ammettere: il simbolo dell’Italia che ce la fa

Se guidi una Ferrari ti accorgi subito che non potrai mai utilizzarne tutta la potenza. Ti piace sentire che c’è, che il motore risponde subito, ti esalta con il suo rombo/urlo, proponendoti tutti quei cavalli, ma tu, per quanto coraggio e soprattutto tecnica abbia, devi anche saper controllare la pressione sull’acceleratore. Un pilota bravo (e tu seduto accanto fingendoti tranquillo) ti farà sentire che la velocità si conquista più con la frenata, forte, al momento giusto (cioè tardissimo, pressoché post mortem, per te che fai il passeggero) che con le accelerate alla cieca sul rettilineo. E ti farà sentire che in curva bisogna tirare fuori il massimo dalla scelta anticipata e ben calcolata delle traiettorie e poi, e lì servono davvero lo scatto e la reattività del motore, estrarre tutto il possibile dalla ripresa di velocità appena le ruote sono dritte.

 

L'equilibrio
tra potenzialità
di mercato, qualità
del prodotto, sfruttamento
del marchio, selezione della clientela, innovazione 

Chi guida la Ferrari (intesa come azienda) ti dirà più o meno le stesse cose. La potenza di quel marchio va gestita con la bravura e il coraggio di un pilota esperto. Quel cavallino è meravigliosamente forte ma attenti a non farlo correre via, a non farlo passare da rampante a imbizzarrito. Le vendite aumentano continuamente (tranne una mini pausa che non fa testo) dal 1993 a oggi. Ma appunto le vendite per la Ferrari-azienda sono l’acceleratore spinto in rettilineo della Ferrari-macchina. Non ci vuole molto, anche un guidatore da gran premio della tangenziale sa affondare il pedale sul dritto. Certo, non se ne potrebbe fare a meno, e ridurre i volumi di vendita sarebbe censurabile, ma la bravura vera non è lì. E’ nel bilanciamento, che va continuamente ristabilito (non si può fare una volta per tutte), tra potenzialità di mercato, qualità del prodotto, sfruttamento del marchio, selezione della clientela, marginalità (cioè percentuale di ricavi rispetto al prezzo di vendita), investimenti in ricerca e sviluppo, innovazione. Per restare al nostro pilota significa, in sostanza, che mentre dài tutto sul rettilineo devi anche ricordarti che dopo c’è una curva, e che dopo ce ne saranno altre e tutte diverse tra loro.

 

Ricordiamoci dei tanti elementi da tenere in equilibrio per guidare la Ferrari-azienda. Contano tutti allo stesso modo, o almeno nessuno di essi potrebbe mancare, ma potenzialità di mercato e qualità del prodotto sono in testa perché rappresentano le condizioni di partenza. Sono però Sirene più accattivanti di quelle schivate da Ulisse. Spesso ci si ferma lì, e sono dolori e dispiaceri. Quante aziende abbiamo visto chiudere, spesso nella massima dignità e coscienza di aver ben lavorato, e portare con sé la fine di un certo prodotto fatto bene o di un marchio che sembrava indistruttibile. Erano bravissimi, i più bravi a fare una certa cosa. Ma, appunto, erano solo bravi, e dimenticavano tutto il resto. Tralasciavano la giusta chimica che lega le premesse (saper fare e avere un mercato potenziale) alle successive realizzazioni (gestire la clientela, curare il marchio, innovare, guadagnare il massimo da ciascuna vendita). La storia aziendale della Ferrari, di questi esaltanti settant’anni, sta proprio in questo miracoloso equilibrio: non farsi imbrigliare dall’idea di essere i più bravi, ma continuare a essere i più bravi.

 

Tante altre volte invece abbiamo sentito dire: quelli lì sono la Ferrari del mare e quegli altri la Ferrari della neve, o la Ferrari delle cucine o degli elettrodomestici. Quello è davvero uno sventolio di bandiera a scacchi. Hai vinto, sei diventato il marchio dei marchi. Una specie di simbolo della qualità. Un’altra Sirena, certo, altrettanto traditrice. Ma, e sia lodato il dio della concorrenza, non puoi finirne irretito. Perché, sempre sia lodato, ci sono altri che provano a scalzarti, perché anche in un settore così complesso come le auto sportive di lusso, si può essere aggrediti dai rivali. E nei suoi settant’anni la Ferrari qualche volta i sani morsi della concorrenza li ha sentiti, e forse è stato l’affondo di quei denti a far passare anche i momenti più difficili, sia per l’assetto aziendale e gestionale sia per quello proprietario.

 

Scontando tasse
e interessi, i guadagni sono a quota 950 milioni, a fronte
di un fatturato atteso intorno ai 3,3 miliardi

La marginalità la sistemiamo subito. Con un paio di numeri che probabilmente si possono paragonare a quelli di pochissime aziende manifatturiere. A 950 milioni per il 2017, nelle ultime indicazioni disponibili, troviamo l’Ebitda (cioè tutti i guadagni realizzati scontando tasse, pagamento di interessi passivi, svalutazioni del capitale e degli investimenti) a fronte di un fatturato atteso intorno ai 3,3 miliardi. Siamo nella zona di quello che il presidente e amministratore delegato Sergio Marchionne si è dato come obiettivo della gestione della Ferrari: non solo essere considerati e riconosciuti come prodotto di lusso (che, per capirci, nel mondo dell’auto vuol dire stare sopra alla categoria che definiscono premium) ma avere anche indicatori e marginalità da mercato del lusso. Insomma: produrre automobili sportive ma guadagnare, per ogni pezzo venduto, nella stessa proporzione in cui guadagnano marchi come Hermès.

 

Il mercato va rispettato, i suoi segnali non possono essere trascurati. Ma la Ferrari deve anche riuscire a dimostrare e confermare che il mercato lo sta creando e che non si fa dominare dalla domanda, come ha dimostrato riuscendo ad ampliare la sua presenza mondiale, ormai arrivata a 60 paesi. 

 

Continuiamo, insomma, ad avere a che fare con la ricerca di un giusto, difficile, equilibrio dinamico. Certo per i puristi produci auto sportive, scomode, difficili, ma che regalano emozioni meravigliose. Poi piano piano ti accorgi che ci sono fior di clienti che quelle auto le usano per andare a prendere l’aperitivo (vabbè, mettiamola così) a Ocean Drive e che nello stradone di Miami c’è forse la maggiore concentrazione mondiale di macchine col Cavallino per ogni metro quadro. E girano scoperti, rispettando i limiti di velocità, guidando con un braccio solo mentre con l’altro salutano e gesticolano. gente che in passato non avresti proprio inserito tra i clienti assolutamente giusti dell’auto sportiva, ma a quella clientela si è saputo comunque dare un prodotto. Fuori dal circuito, fuori dalla pista, il compromesso fu vincente, e risale ormai a molti anni fa. Trasferire la sportività dentro alla guidabilità, senza sprecare nulla dell’una e dell’altra. E senza togliere nulla ai contenuti racing del marchio. Questo è un altro dei crinali su cui si è saggiamente sviluppata la storia dei settant’anni dell’azienda. Con il coraggio di innovare, come quando arrivò il cambio al volante, semiautomatico, quello con le due alette che poi è stato usato da pressoché tutti gli altri costruttori, spodestando il tradizionale cambio manuale. Un progetto cui Enzo Ferrari aveva pensato fin dal dopoguerra, messo su carta e anche in pista, in modo sperimentale, negli anni Settanta e poi accantonato, per la Formula Uno, dopo un parere negativo di Gilles Villeneuve. Quindi ripescato e trasferito prima nelle vetture da corsa e poi in tutte le Ferrari in un periodo che va dalla fine degli anni Ottanta fino ai primi anni Duemila. Vari sviluppi e miglioramenti, ma ora il cambio robotizzato a doppia frizione è diventato lo standard di qualità.

 

Trasferire la sportività nella guidabilità, senza sprecare nulla dell'una
e dell'altra. E senza togliere nulla
ai contenuti racing
del marchio. Questo
è un altro dei crinali
su cui si è sviluppata
la storia dei settant'anni dell'azienda. Con
il coraggio di innovare, come quando arrivò
il cambio al volante 

E nelle ultime vetture uscite da Maranello la fusione tra sportività e guidabilità funziona in modo speciale. L’ultima creatura, la 812 Superfast , è un mostro di potenza che però si può guidare anche con le massime gentilezza e morbidezza possibili, oltre a stare seduti comodi con connessioni internet e altre mollezze che avrebbero orripilato i primi costruttori di sportcar. E nasce proprio con questi obiettivi, levigando le asperità delle precedenti 12 cilindri, prima la F12 berlinetta e poi ancora di più la F12 Tour de France. Ottime, per carità, ma un tantino difficili alla guida. “Un cavallo imbizzarrito”: ce le descrive così perfino uno dei piloti collaudatori di Maranello. Nella 812 cominciano a diffondersi in modo sempre più rilevante i sistemi di assistenza automatica alla guida. Che per una sportiva sono la gestione computerizzata delle curve e del rapporto tra sterzo e frenata. Oltre a un sempre maggiore uso dell’elettronica. Mentre si affaccia la motorizzazione ibrida. Un primo esperimento è stato già messo su strada, con una serie limitata di LaFerrari, e c’è subito da rilevare come il contributo della propulsione elettrica abbia aumentato la possibilità di sviluppare potenza, facendo superare i 900 cavalli. Dal 2019 comunque gran parte delle motorizzazioni di Maranello saranno ibride, con la garanzia che l’apporto dell’elettrico non toglierà nulla al suono del motore. Vendere di più? Marchionne dà il suo assenso con la cautela ma anche l’ineluttabilità di un papa che esorti a rivedere o a istituire un dogma. Si farà, in parte si sta già facendo. Marchionne, con tono pontificale, ha indicato la possibilità e anche la necessità (ma senza fretta) di raggiungere quella clientela possibile che ancora non si affaccia, che magari non osa avvicinare l’apparato commerciale della Ferrari, ma ne sente fortemente il desiderio. Non il “vorrei ma non posso”, no, quelli no, si rivolgano ad altri costruttori, che su quella condizione umana hanno creato il loro business (la stilettata viene dal personale di Maranello). Ma un mondo che, si direbbe con linguaggio da Prima Repubblica, sta cominciando a creare le condizioni per, sta convergendo verso, sta maturando in direzione di. Per ora questo mondo di neoferraristi è attirato con le motorizzazioni a 8 cilindri. Una specie di primo passo per entrare nel circolo riservato del Cavallino, nel quale poi, perdurando le disponibilità economiche, si tende a restare, tanto che una parte interessante del mercato Ferrari è di accumulo, si tratta cioè di persone che ne hanno già una e ne comprano altre e potendo altre ancora. Oppure è di sostituzione, con clienti che passano da un modello a un altro, ma ugualmente restano fedeli al marchio. Insomma, gente da trattar bene. Alcuni di loro animano i tre grandi circuiti del Ferrari Challenge, Far East, Europe e Usa, correndo da privati con le vetture di Maranello. La loro è la passione allo stato puro e probabilmente sono stati anche i principali destinatari dell’aumento progressivo della computerizzazione delle auto. Per raggiungere risultati medi o anche medio-alti è diminuito il fattore umano, in sostanza la macchina fa molto più di prima da sola, mentre per essere molto più bravi della media torna a essere rilevante l’abilità del pilota. Ma il divertimento aumenta per tutti, e con esso il business delle gare. Il mercato, quindi, che sia fatto di nuovi ferraristi o di appassionati che rimpolpano il già ricchissimo garage di casa, verrà parzialmente accontentato, con l’incremento della produzione fino a 10.000 vetture nel 2019. Incremento che non richiede investimenti fissi nelle linee produttive. La capacità degli impianti di Maranello è già sufficiente per arrivare a quell’aumento di vetture da offrire. Servirà un’ulteriore crescita del personale, che, comunque, ha fatto registrare stabilità o tendenza verso nuovi ingressi fin dagli anni Novanta (oltre a restare uno dei posti più ambiti in cui lavorare).

 

Il marchio. Cominciamo dalla regola dei due minuti, non molto nota forse, ma enunciata a chi scrive, c’era anche Mina Piccinini (allora tra i responsabili della comunicazione), a New York da Sergio Marchionne, quando era da poco arrivato alla guida di quella che si chiamava ancora Fiat e non aveva ancora assunto la presidenza di Maranello. Il fatto che la rivelazione e l’immediato test della regola dei due minuti sia avvenuto a New York non è particolare buttato lì per darsi arie da giramondo ma per sottolineare ulteriormente il valore della regola. L’enunciato è semplice: lasciate una Ferrari parcheggiata in una strada a vostra scelta ed entro due minuti qualcuno si fermerà a osservarla. Come si diceva, a maggior ragione il test è valido se fatto a Manhattan e dove effettivamente lo facemmo, girando l’angolo da una delle sedi commerciali del gruppo, in una strada dove non mancavano i segni dell’opulenza. Prima della scadenza indicata da Marchionne la regola venne rispettata, con un trio di cultori delle auto di lusso a sezionare con lo sguardo la Ferrari parcheggiata. Per Marchionne quello era un modo esemplificativo per dire che non c’era neppure la minima intenzione di spingere la proprietà a cedere un marchio di quel valore. Serviva una conferma, per contrastare le voci sempre insinuanti, e Marchionne ha continuato a dare per anni, conferme della indisponibilità a vendere, fino ad arrivare a una responsabilità diretta, personale, dopo aver sostituito Luca di Montezemolo (la cui guida dell’azienda, a parte le questioni sportive, andate bene per diversi anni con una coda poi di sofferenza sotto l’offensiva di rinnovamento e investimenti fatta dai concorrenti, ha lasciato condizioni ottimali sia per l’aspetto produttivo sia per quello commerciale). Il valore del Cavallino (ma poi vedremo che i marchi sono più di uno) è stabilmente sopra i 4,5 miliardi di euro, ha perso qualche posizione nella classifica mondiale del valore e della notorietà, ma per l’ingresso di nuovi marchi legati all’economia di internet. 

 

Dal 2019 gran parte delle motorizzazioni
di Maranello saranno ibride, con la garanzia che l'apporto dell'elettrico non toglierà nulla al suono del motore. Vendere di più? Marchionne dà il suo assenso con cautela. Previsto un incremento della produzione fino
a 10.000 vetture
nel 2019  

Il Cavallino ha una storia molto studiata, l’ultima sistemazione grafica è del 2002, con la corretta postura delle gambe, per non dare l’impressione che l’araldico quadrupede appoggiasse solo su una delle posteriori, e con una migliore definizione dell’occhio. Il più grande del mondo adorna la parte rivolta al cielo del tetto del Ferrari World di Abu Dhabi, il più grande parco tematico al mondo legato alla casa automobilistica, al quale ora se ne affianca un altro in Spagna. Accanto a quel simbolo c’è il cosiddetto rettangolo, cioè la scritta Ferrari, con una font che la rende caratteristica e che farebbe pensare ad auto da corsa anche se ci fosse scritto “termosifoni” o chissà cosa. Un altro pezzo di valore che va a incrementare il patrimonio costituito dal possesso dei due marchi. Ma non finisce qui, perché c’è anche lo scudetto della Scuderia Ferrari, quello col tricolore sopra in orizzontale e le lettere in corsivo maiuscolo S. F. sotto, più legato al mondo delle corse. Come usarli? A Maranello c’è una doppia strategia. Da una parte, nei negozi Ferrari, viene dato spazio totalmente ed esclusivamente allo scudetto. Che diventa simbolo della sportività (più che del possesso di una vettura) legata al mondo Ferrari. Un simbolo universale, applicabile a molti oggetti, dai portafogli agli orologi, dalle tazzine alle posate. E’ l’immagine delle corse, dei tifosi che sventolano la bandiera col Cavallino e il Tricolore per tutto un gran premio, dove magari sono arrivati due giorni prima, dormendo nei sacchi a pelo, e che forse una Ferrari non la guideranno mai, ma sono attaccati visceralmente alla parte sportiva di quell’avventura.

 

Poi c’è l’uso, fuori dall’auto, degli altri due marchi. Il Cavallino usato sulle vetture e il rettangolo. Per entrambi vale la regola dell’utilizzo solo per prodotti che siano veramente “la Ferrari” del loro campo. E’ successo ad esempio col prodotto di punta di Poltrona Frau, quella più presidenziale che potreste immaginare (e di cui teniamo riservato il prezzo), potrà succedere con altri prodotti di lusso, dall’orologeria all’abbigliamento, che saranno ritenuti meritevoli. Per queste due strade, il mercato automobilistico era escluso dal calcolo, si arriva alla valorizzazione superiore ai 4 miliardi dei vari marchi della casa.

 

"Noi non abbiamo difficoltà a trovare
il personale anche più specializzato - dicono
a Maranello - anche perché siamo attrattivi, tutti vogliono venire
a lavorare in Ferrari, e ciò vale anche per gli ingegneri più specializzati e più ricercati". In pista, Vettel con il Cavallino fino al 2020

La regola dei due minuti è fantastica, ma non bisogna dare mai niente per acquisito. Qualche anno di distrazione, senza innovare e senza sostenere la ricerca, e i minuti diventerebbero 4 e poi 8. Ricerca e sviluppo sono tuttora nella parte alta delle medie nell’automotive (anche se Ferrari distribuisce dividendi), ma questa fase di rinnovamento delle motorizzazioni, spinta anche dalle questioni giudiziarie sulle emissioni e dalle regole sempre più stringenti, sta spingendo tutti i costruttori di automobili a investimenti spaventosi e quindi serviranno sforzi speciali per stare al passo con i progressi generali attesi sul mercato. Il passaggio all’ibrido per gran parte dei motori Ferrari dal 2019, di cui accennavamo prima, è la dimostrazione che la volontà c’è e che ci sono anche le realizzazioni pratiche. In più c’è l’investimento in formazione per garantire energie intellettuali a tutto il distretto dell’auto di lusso che, grazie soprattutto alla presenza storica della Ferrari, si sta consolidando in Emilia Romagna. “Noi non abbiamo difficoltà a trovare il personale anche più specializzato – ci dicono a Maranello – anche perché siamo attrattivi, tutti vogliono venire a lavorare in Ferrari, e ciò vale anche per gli ingegneri più specializzati e più ricercati. Però ci siamo resi conto che le tante aziende del nostro indotto, sempre di altissima qualità ma meno note nel mondo, cominciavano a faticare nel reperimento e nella formazione del personale”. Così è nata l’idea di affiancare al tradizionale rapporto con l’Università di Modena, che resta il principale luogo di formazione dei grandi tecnici Ferrari, quello con un nuovo polo centrato su rete universitaria che, attorno al polo di Bologna, sta costruendo la Motor Valley, l’accademia dell’auto sportiva e di lusso. Assieme a Ferrari sono della partita anche diversi altri grandi costruttori di automobili e di due ruote che gravitano nella zona. E va osservato che neppure in Germania è nato qualcosa del genere. Ci sono sì i centri di ricerca dei grandi gruppi, ma il lavoro congiunto di diverse aziende per dar vita a un centro di ricerca di eccellenza e di riferimento per l’intero distretto è, un po’ a sorpresa, una realizzazione italiana. La partenza è stata lenta, anche per l’avvio dei corsi un po’ in fretta e furia e per i criteri di ammissione molto stringenti. Ma, secondo i responsabili dell’ateneo, si dovrebbe arrivare rapidamente ai 50 iscritti previsti come obiettivo iniziale. Tra gli iscritti vengono segnalati curriculum di altissimo livello. “Se anche ne avessimo solo 25 avviati a risultati così brillanti sarebbe comunque un successo per la nostra iniziativa”, ha detto il responsabile del corso intervistato dal Corriere della Sera.

 

Il mercato, la concorrenza, premono, ma sono concetti un po’ strani in casa Ferrari. L’idea, la tradizione tramandata, è che i clienti, come abbiamo visto, appartengano a una specie di club di affezionati, un mondo chiuso ma fedele. Ovviamente non è più esattamente così, e i nuovi ricchi, molto ricchi, dei paesi emergenti hanno dimostrato che con i grandi clienti nuovi gli spazi ci sono ma bisogna conquistarli. Però la cosa che più avvicina, in modo che più plastico non si potrebbe, al concetto e alla pratica della concorrenza sono le corse. Ogni quindici giorni un bel pezzo di mondo segue i gran premi e lì vede rappresentata la sfida tra costruttori di auto e quella tra grandi piloti. Il match lo conosciamo bene, da qualche anno è fatto dal duo Mercedes, prevalente fino all’anno scorso, e Ferrari, con qualche inserimento di Red Bull. Quest’anno sappiamo bene che c’è maggiore equilibrio e abbiamo visto, dopo le inquadrature con cuffie e aria concentrata, sorridere a parlare con soddisfazione più volte Marchionne a fine corsa mentre abbracciava Sebastien Vettel. E il pilota proprio due giorni fa ha firmato il prolungamento di contratto con la Ferrari fino al 2020.

 

La vettura 2017 va più forte, con una svolta evidente in meglio a inizio estate, e vince, grazie al gioco di squadra, anche quando si rompe il volante. I risultati sono arrivati dopo momenti di tensione, di scontri, di polemiche anche velenose. Molti nomi sono cambiati nella prima linea (com’è nello stile di Marchionne) e sono state definite nuove responsabilità. Anche con coraggio, perché, appunto, nelle corse si è facilmente esposti a qualunque critica e non ci sono infingimenti. Alla fine c’è un risultato chiaro e durante la gara le qualità delle varie vetture sono facilmente valutabili. Le critiche arrivavano subito, a ogni scivolone, ma il clima è cambiato dopo la doppietta in Ungheria, con la straordinaria vittoria di Vettel. L’affetto e la passione sono tornati, e verrebbe da dire anche il pieno e totale rispetto per le scelte della Scuderia.

 

Magari, volendo essere un po’ venali, si potrebbe dire che il miglior modo per sentirsi affettuosamente vicini all’azienda e alla Scuderia è stato quello di comprare le azioni in Borsa. Dal collocamento nel gennaio del 2016 a 43 euro sono arrivate a toccare un massimo di 98,75 euro, per poi riposizionarsi, di poco più in basso, sempre a livelli da cuccagna. Per la felicità tangibile sia dei fondi, che magari sono più smagati, sia di qualche tifoso che, certamente, all’avvio della quotazione non perse l’occasione di provare il brivido di essere socio del costruttore dell’auto dei suoi sogni. Sui titoli hanno influito sia i risultati in pista, ma in quei casi si è trattato di fiammate improvvise e un po’ da dilettanti, sia gli annunci su prodotti e risultati di mercato, e in quel caso si è trattato di rialzi più stabili nel tempo. Anche quando Marchionne ha mostrato, a modo, una disponibilità verso un Suv col Cavallino. Per la verità Marchionne disse “se faccio un Suv Ferrari ammazzatemi”, non proprio un’indicazione entusiastica. Ma poi ha un po’ smussato, ha lasciato intendere, non ha negato, ha alluso all’eventualità di valutare un lavoro fatto in proprio dal team di ingegneri per ragionarci su. L’idea che ha fatto passare, ed è bastato per dare una spinta al titolo, è che comunque si tratterebbe di qualcosa di mai visto. Un Suv che non fosse un Suv. Un’invenzione tutta nuova, fatta in casa, senza sbirciare altrove. Dove forse delle tre lettere dell’acronimo, dando per scontate la “s” di sport (che è l’essenza ferrarista) e ovviamente la “v” di vehicle resterebbe da valorizzre la “u” di utility, intesa come soddisfazione di necessità pratiche. Beh, questa è una strada che, pur tra motori potentissimi e assetti da corsa (dopo una certa età la cosa più difficile è salire e scendere da una Ferrari) , Maranello ha cominciato lentamente a percorrere, come dicevamo prima a proposito di una belva da 800 cavalli come la 812. Allora, ragionando su una sportcar resa un po’ più comoda e in grado di rispondere anche a qualche maggiore domanda di praticità, anche nell’uso quotidiano, potrebbe nascere l’embrione di idea per questa innovativa vettura, in grado di infiammare la Borsa solo venendo nominata.

 

Le peculiari regole
del mercato olandese, dove l'azienda è quotata, fanno sì che
le partecipazioni di Exor e Piero Ferrari, insieme, valgano per più del 50 per cento dei diritti di voto in assemblea, rendendo quindi Maranello non scalabile neppure con intenzioni ostili e tanti soldi 

E in Borsa di Ferrari ce n’è un bel pezzo, con il 67 per cento dei titoli lasciati sul mercato. Mentre Exor (famiglia Agnelli) possiede il 23 per cento e Piero Ferrari (figlio del Drake) il 10. Tra Exor e Piero Ferrari c’è un patto parasociale, sancito prima del collocamento in Borsa, che vincola i due azionisti a un accordo di lungo periodo. Le peculiari regole del mercato olandese, dove l’azienda è quotata, fanno sì che le partecipazioni di Exor e Piero Ferrari, insieme, valgano per più del 50 per cento dei diritti di voto in assemblea, rendendo quindi Maranello non scalabile neppure con intenzioni ostili e tanti soldi. Quotazione olandese ma fisco italiano per gli utili operativi e le altre attività strettamente aziendali (ci tengono a ripeterlo dal quartier generale emiliano). Marchionne è presidente fino al 2021, stando ai bonus, costituiti da pacchetti di titoli, che gli sono intestati a bilancio appunto fino a quella data. Quasi ogni settimana è a Maranello, dove resta spesso anche per la notte. Potrebbe quindi restare capo di Ferrari anche dopo aver eventualmente lasciato Fca. Circostanza che ha acceso speculazioni sia sulla vita autonoma, sempre di più, di Ferrari, sia sul ruolo che verrebbe accresciuto per Marchionne, anche come azionista, con la buonuscita, sempre eventuale, da Fca.

 

Il 9 e 10 settembre il momento più importante dei festeggiamenti dei settant’anni da quando Enzo Ferrari accese la 125S, prima auto alla quale aveva dato il suo nome, dopo la stagione nell’Alfa Romeo. Si sono celebrate le rosse in 60 paesi , tra poco si tornerà in Italia, passata una settimana dal Gran Premio di Monza 2017. Sventoleranno le bandiere di una passione nazionale e mondiale. Il tributo dato al saper fare, perché quello che vediamo come un mito in realtà è il frutto del lavoro di un’azienda. Forse quel mito rosso Ferrari ha attraversato le epoche del nostro paese, le crisi, le contestazioni, le scemate collettive e le tragedie, perché guardando la corsa in tv o leggendone dai giornali si scopriva che, anche vivendo in un paese molto strambo e magari in una famiglia sgangherata, da qualche parte, in qualche officina, c’era gente che sapeva lavorare e produrre macchine meravigliose. Che si poteva correre, anche se tutta la potenza di una Ferrari non la avreste saputa mai usare e non la saprete mai usare.